mercoledì 31 dicembre 2014

credo sia questa la buona scuola

fonte: comune.info

Credo sia questa la buona scuola

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di Rosetta Cavallo*
All’uscita da scuola qualche giorno fa ho ritrovato una mia ex alunna, specialissima e simpaticissima. Appena mi ha visto, mi ha chiamato e con uno splendido sorriso è corsa ad abbracciarmi.
Sembra essere passato così poco tempo da quando arrivò in prima elementare. Me lo ricordo come se fosse ieri. Una bellissima bambina, sempre sorridente, che si rifiutava di entrare in classe e si nascondeva il viso dietro lo zaino o il giubbotto. Oppositiva e piena di paure. Non amava essere osservata, preferiva scappare, rifugiarsi in un angolo e coprirsi per non farsi vedere. Non c’era verso di abbracciarla e tranquillizzarla. Non c’era verso di placare i suoi timori.
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Ed io ero in preda al panico più di lei. Provavo a prendermene cura, ma venivo ripagata con qualche morso e qualche spinta. Ogni mattina una sfida nuova. Ogni volta un impasto e un reimpasto di percorsi e strategie. Se mi fermo a pensare a quei momenti mi viene ancora un gran magone. Mi veniva da piangere, mi sentivo completamente impotente.
Poi finalmente ho scoperto che amava la musica e così rispolverai tutti i miei cd. Le sue canzoni preferite diventarono la mia colonna sonora. Dopo qualche tempo i suoi sorrisi divennero amichevoli e le sue mani cominciarono a cercare le mie e a stringerle con gioia e con affetto. E fu così che cominciò a fidarsi di me, fu così che iniziammo a parlare e poi cantare le lettere dell’alfabeto … A mimare le consonanti e le vocali. Ad usare un colore per ogni cosa e non più il nero per tutto quanto. E poi imparò a leggere, scrivere, a mostrare il suo bel viso e stare insieme a tutti gli altri.
Sì, credo sia questa la buona scuola, quella fatta dai docenti che non si arrendono, che lottano, convinti. Quelli che vanno avanti senza se e senza ma, perché sanno che quando incontrano le mani di un bambino toccano il cielo con un dito.
Non so se oltre ad insegnarle a leggere, scrivere e giocare con i compagni le ho insegnato altro. Lei certamente ha insegnato tanto a me e mi ha reso una persona migliore. A vederla ora, mi viene ugualmente da piangere ma stavolta sono lacrime di gioia.

* maestra in una scuola pubblica di Faenza (Ravenna)

domenica 28 dicembre 2014

maerata e recanati: "scuola sicura"

fonte: vivimacerata

"Scuole sicure": la Provincia appalta due importanti progetti a Macerata e Recanati

immagineDue importanti progetti di Edilizia scolastica stanno per andare in cantiere. La Provincia ha appaltato i lavori per consolidare il corpo ovest del Convitto dell'Istituto tecnico agrario “G. Garibaldi” di Macerata, e per ristrutturare la palestra geodetica del Liceo “G. Leopardi” di Recanati. Entrambi i progetti sono finanziati dal Governo nell'ambito dell'intervento “Scuole sicure”: 425 mila euro sono destinati all'Ita e 285 mila euro al Liceo. È confermato nella delibera Cipe che riprogramma il Fondo di sviluppo e coesione, sovvenzionando i progetti ammessi in graduatoria, presentati da Province e Comuni nel bando del Decreto del fare dell'anno scorso. Entrambi i lavori dovranno cominciare e terminare entro il 2015.

Per quanto riguarda la palestra del Liceo scientifico di Recanati, gli interventi consistono nella sostituzione della pavimentazione in gomma, ormai deteriorata, e del telo in Pvc con una struttura fissa composta da pannelli termoacustici e impermeabilizzanti. Anche le porte in cattivo stato saranno cambiate.
All'Agraria, invece, sarà consolidata e restaurata tutta l'ala ovest del Convitto.

In particolare si procederà a rifare il solaio di copertura, a consolidare il solaio del primo piano e a sistemare le facciate. All'interno, per rispondere al rilevante trend di crescita delle iscrizioni, verranno ricavate tre nuove aule dall'attuale spazio biblioteca. A questo scopo saranno anche realizzati nuovi bagni, sostituiti gli infissi e sistemati ed integrati gli impianti elettrico e termico.

Per il presidente Antonio Pettinari si tratta di un risultato concreto del lavoro dell'Amministrazione provinciale, fin dall'inizio del mandato impegnata per rispondere in maniera adeguata alle esigenze delle scuole, pur tra le difficoltà e gli ostacoli legati al Patto di stabilità, cogliendo ogni opportunità per intercettare le necessarie risorse, soprattutto non vincolate dal Patto. “Continueremo a prestare la massima attenzione ai nostri edifici scolastici - ha dichiarato oggi, nel corso della conferenza stampa di presentazione dei progetti - convinti che sedi sicure e funzionali siano la prima condizione per consentire ai ragazzi di formarsi al meglio”.

Insieme a Pettinari c'erano Antonella Angerilli e Vittoria Michelini, dirigenti  dell'Agraria di Macerata e del Liceo di Recanati, e Romano Carancini e Francesco Fiordomo, sindaci di Macerata e Recanati, che hanno manifestato soddisfazione per entrambe le opere, molto attese dalle rispettive comunità.
dalla Provincia di Macerata
www.provincia.mc.it

L’insegnamento della religione non è titolo valutabile per l’abilitazione ad altri insegnamenti

fonte: la tecnica della scuola

L’insegnamento della religione non è titolo valutabile per l’abilitazione ad altri insegnamenti

da La Tecnica della Scuola
L’insegnamento della religione non è titolo valutabile per l’abilitazione ad altri insegnamenti
L.L.
Per il Tar di Catania il servizio degli insegnanti di religione è prestato sulla base di specifici profili di qualificazione professionale che, di per sé, non costituiscono titolo di accesso ad altri insegnamenti
La recente sentenza del Tar Sicilia – sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), n. 2772/2014, ha deciso nel merito del ricorso tra un’insegnante di religione e il Miur, per l’annullamento di un provvedimento con cui il Provveditore agli Studi di Catania aveva disposto la esclusione della ricorrente dalla sessione riservata di esami finalizzata al conseguimento dell’abilitazione nella scuola secondaria, avendo la stessa prestato servizio nell’insegnamento della religione cattolica.
Tale sessione riservata di esami per l’abilitazione all’insegnamento prevedeva l’esclusione della validità dei servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica, in quanto non prestati su posti di ruolo, né relativi a classi di concorso, esclusione che secondo la ricorrente era da considerare illegittima.
Il Tar ritiene infornato il ricorso.
Infatti, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che “il requisito cui fa riferimento l’art. 2, comma 4, della legge n. 124/1999 per l’accesso alla sessione riservata di abilitazione, ed integrante lo svolgimento di pregressa attività didattica, giustifica modalità agevolative di accesso nei ruoli docenti solo ove tale attività sia stata svolta secondo regole dettate dallo Stato, nonché in corrispondenza di materie individuate dallo stesso come parte del processo formativo della pubblica istruzione. Poiché l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche non corrisponde a scelte squisitamente didattiche, ma ad un impegno assunto dallo Stato rispetto ad altro Ente sovrano, al cui magistero resta direttamente connessa una dottrina, con modalità di selezione del tutto peculiari, lo svolgimento di detta attività non può integrare gli estremi del requisito richiesto dal detto art. 2”.
Come già ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 343/1999, le particolari modalità di reclutamento dei docenti di religione da parte dell’ordinamento ecclesiale senza ingerenze da parte dell’Amministrazione scolastica, l’inesistenza di un ruolo che li ricomprenda e la circostanza che i contenuti del loro insegnamento non siano curriculari e i relativi programmi non siano soggetti ad approvazione da parte dello Stato, secondo il Tar inducono ad escludere i dubbi di costituzionalità sollevati dal ricorrente.
Le norme in materia di reclutamento del personale della prevedono, infatti, modalità semplificate di accesso ai ruoli del personale docente, mediante concorsi per soli titoli, riservati a chi sia in possesso di un duplice requisito: abbia in precedenza superato prove di concorso o di esame, anche ai soli fini abilitativi, ed abbia maturato una consistente esperienza didattica, acquisita con l’insegnamento, svolto sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, corrispondente a posti di ruolo o relativo a classi di concorso. La sessione per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, riservata ai docenti che abbiano prestato tale servizio, è considerata utile anche per acquisire uno dei requisiti necessari per l’ammissione al concorso per soli titoli di accesso ai ruoli. Tale meccanismo si basa dunque sullo stretto collegamento tra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento prestato e superamento di prove di esame, sempre nel contesto del medesimo ambito disciplinare.
Inoltre, “l’insegnamento non costituisce una generica e comune esperienza didattica da far valere in ogni settore disciplinare, ma uno specifico elemento di qualificazione professionale per impartire l’insegnamento corrispondente al posto di ruolo cui si intende accedere. Difatti, nello stesso contesto normativo, il legislatore ha disposto che il servizio riferito ad un insegnamento diverso da quello inerente al concorso non sia valutato quale titolo”.
Non è da ritenersi una via d’uscita l’apertura interpretativa, effettuata da altra parte della giurisprudenza amministrativa orientata a non precludere l’ammissione alla sessione riservata degli esami di abilitazione anche se l’insegnamento sia stato prestato per una classe di concorso diversa da quella per la quale si sia chiesto di partecipare, perché tale discorso vale per classi di concorso affini, per le quali lo stesso titolo di studio, in base al quale si è prestato il servizio, dà accesso ad entrambe le classi considerate. Non è invece assimilabile a questa situazione quella degli insegnanti di religione, il cui servizio è prestato sulla base di specifici profili di qualificazione professionale (determinati con l’intesa tra autorità scolastica e Conferenza episcopale italiana), i quali, di per sé, non costituiscono titolo di accesso ad altri insegnamenti.
Quindi, è legittima la mancata valutazione dell’insegnamento di religione quale titolo di servizio valutabile ai fini dell’ammissione alla sessione riservata di abilitazione all’insegnamento e l’esclusione della docente di religione, in quanto non era in possesso dei titoli di servizio pregresso espressamente richiesti.

presepe si presepe no

fonte: la scuola di mafalda


presepe si, presepe no: gli auguri scomodi di don tonino bello (di alex corlazzoli)

Presepe sì, presepe no, a scuola. Stavolta il dibattito di questi giorni non è sul crocifisso ma sul presepe. Il preside dell’istituto “De Amicis” di Bergamo ha invitato a non fare il presepe ed è scoppiato il finimondo. “La scuola pubblica – ha spiegato il dirigente Luciano Mastrorocco – è di tutti e non va creata alcuna occasione di discriminazione. In classe ognuno può portare un contributo, ma accendere un focus cerimoniale e rituale può risultare soverchiante per qualcuno, che potrebbe subire ciò che gli appartiene. Non sono l’anticristo, ma questo è l’orientamento che ho dato all’istituto da otto anni, da quando sono arrivato qui. E’ stato un modo per rispettare tutti”. L’avesse mai detto. Immediata la reazione dei genitori: “E’ giusto far crescere i figli secondo il nostro credo, poi da grandi saranno liberi di seguirlo o no”.
Peccato che i primi anni di scuola siano quelli che formano una persona: educarla in una scuola laica o cattolica non è la stessa cosa. Così come avvalersi dell’ora di religione o meno.
Il sottosegretario all’Istruzione Roberto Toccafondi non ha fatto mancare il suo commento: “Un atto privo di ragioni e di laicismo esasperato. Il Natale è la memoria di un fatto storico e non solo un avvenimento di fede per molti credenti”. Va detto che anche la nascita di Maometto è un atto storico!
E via con le dichiarazioni dei politici: da Carlo Giovanardi che in realtà propone una provocazione interessante, “se in Italia dovessimo seguire le farneticanti motivazioni del preside del De Amicis dovremmo abrogare la festività del 25 dicembre”; a Matteo Salvini che improvvisamente si preoccupa anche del presepe portandone uno davanti all’ingresso della scuola.
Non è mancata la riflessione degli intellettuali della sinistra radical chic. Michele Serra su Repubblica parla di un “Natale che qui non è solo una ricorrenza religiosa ma un momento identitario” senza spiegare a quale identità fa riferimento perché chi scrive non si identifica, per esempio, nel Natale. Corrado Augias, prova invece a ritrovare il senso di quelle statuine. Non so da quanto tempo Augias, Serra, Salvini e Giovanardi non mettano piede in una scuola ma dovrebbero sapere che in molte scuole il Natale “occupa” le aule con lavoretti di vario genere fatti nelle ore di educazione artistica al posto di insegnare ai nostri ragazzi l’importanza dell’arte nella nostra cultura; con canzoncine di Natale (dal classico “Tu scendi dalle stelle” a “Natale puoi dare sempre di più”) preparate (ahimè) nelle ore di educazione musicale per la consueta “rappresentazione natalizia” davanti a mamma e papà con tanto di lacrimuccia agli occhi e una spruzzata di inutile nostalgia per il tempo che passa.
In una scuola laica e “aperta a tutti” il Natale va vissuto comprendendo il valore che ha per un cristiano e può essere l’occasione per parlare dell’importanza della festa anche in altre religioni. Il 3 gennaio 2015 è la festa di Mawlid in cui si ricorda la nascita del profeta Muhammad mentre il 5 gennaio si celebra la nascita del Guru Jayanti.
Ora il crocifisso e il presepe piuttosto che la sura del Corano o la mezuzah allo stipite della porta, ben vengano se non sono solo un simbolo, una tradizione, una suppellettile. Va spiegato ai bambini. Quei pastori, quel Cristo che si fa bambino, quella giovane madre che partorisce, quel bue e quell’asino hanno un significato. Lo possono avere anche per un ateo. Il perpetuarsi di un rito svuota il significato profondo di un evento che può coinvolgere anche i nostri fratelli musulmani o induisti.
Un anno in una scuola mi obbligarono a far fare “qualcosa” alla mia classe in occasione dell’inutile “saggio natalizio”. Con i miei ragazzi lessi Gli auguri scomodi di don Tonino Bello. Forse, dovrebbero leggerli anche Salvini e Giovanardi o rileggerli Serra e Augias. Dovrebbero meditarli tutti coloro che fanno un presepe o che accendono una lucina in classe:

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. 

Alex Corlazzoli | il fatto quotidiano | 9 dicembre 2014

non è un paese per bambini

fonte: vivalascuola
Non è un Paese per bambini
Bambini in Italia: fra indigenza, città senza servizi e una scuola dimezzata
L’Atlante dell’infanzia di Save the Children. Oltre 1,4 milioni di minori in povertà assoluta, la vita in aree metropolitane spesso prive del necessario, un’istruzione insufficiente (tempo pieno per non più del 50% degli istituti). Appartamenti inadeguati e più di 65.000 nuclei familiari sotto sfratto; 3 milioni di piccoli non hanno letto un libro nell’ultimo anno; solo il 6% gioca libero in strada
Le città e le metropoli sono l’habitat prevalente dei bambini e adolescenti in Italia: il 37% di essi – 3 milioni e 700.000 – si concentra nel 16,6% del territorio nazionale, cioè nei grandi centri urbani o nelle aree circostanti. Città più matrigne che materne, invase di macchine e pericolose – tanto che solo il 6,4% di bambini gioca libero per strada – e spesso prive di spazi per garantire lo svago dei più piccoli: solo 1 bambino su 4 gioca in media nei cortili e meno di 4 su 10 nei giardini, con significative differenze territoriali. Ma per un certo numero di bambini, la disponibilità di luoghi di vita e gioco accettabili non c’è neanche in casa: quasi un minore su 4 vive in famiglie che dichiarano di abitare in appartamenti umidi o con tracce di muffa alle pareti e sono un milione e 300 mila i minorenni le cui famiglie denunciano situazioni di sovraffollamento, in un paese nel quale anno dopo anno cresce l’emergenza abitativa: nel 2013 sono ben 65.000 i nuclei familiari (molti dei quali con bambini) ad aver ricevuto un’ingiunzione di sfratto per morosità incolpevole (+8,3% rispetto all’anno precedente).
Non solo povertà materiale. D’altra parte, come indicano i dati sui consumi, la povertà assoluta delle famiglie è cresciuta ulteriormente nel 2013 e riguarda ormai il 13,8% dei minori – oltre un milione e 400 mila tra bambini e ragazzi (con un incremento del 37% di minori interessati dal fenomeno rispetto al 2012) – mentre più del 68% delle famiglie sono costrette a tagliare sugli alimenti o a comprare cibo di qualità inferiore. Ma la povertà dei minori in Italia non è solo materiale. Tre milioni 200.000 bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni (il 47,9% del gruppo di età) non hanno letto un libro nel 2013 e circa 4 milioni (il 60,8%) non hanno visitato una mostra o un museo. Non viaggia né si apre a nuovi mondi e persone il 51,6% di under 18 che vive in famiglie che non possono permettersi nemmeno una settimana di ferie l’anno lontano da casa. Lo sport grande assente nei pomeriggi del 53,7% degli adolescenti (15-18 anni), che non fanno alcuna attività motoria continuativa nel tempo libero. Pomeriggi non occupati neanche da attività scolastiche dato che, nella migliore delle ipotesi, il tempo pieno c’è solo nel 50% delle scuole elementari e medie di alcune regioni, con picchi in negativo in regioni quali Campania (con il 6,5% delle scuole primarie a tempo pieno) o Calabria.
Orizzonti sempre più angusti. Questi alcuni dati diffusi oggi da Save the Children e tratti da “Gli orizzonti del possibile“. Il 5° Atlante dell’Infanzia (a rischio) in Italia, la pubblicazione che – con l’aiuto quest’anno di circa 40 mappe e delle suggestive foto di Riccardo Venturi – analizza la condizione dell’infanzia nel nostro paese, nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro” per il contrasto della povertà educativa.
Gli orizzonti a disposizione dei nostri bambini sono sempre più chiusi: si riducono gli spazi di autonomia, socialità, svago, e si riducono gli spazi mentali, le opportunità di formazione e crescita intellettuale e relazionale, sospingendo sempre più bambini ai margini. E’ sotto gli occhi di tutti il disagio di tante “periferie“: luoghi deprivati di verde, spazi comuni, trasporti efficienti, scuole a tempo pieno e sempre più popolati da giovani coppie con bambini. Le periferie dei nostri giorni sono le nuove città dei bambini”.
Ma un cambiamento reale è possibile. “Da qui dobbiamo cominciare se vogliamo riaprire spazi di futuro e opportunità per l’infanzia nel nostro paese“, è il commento di Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia.
Inoltre in questa quinta edizione dell’Atlante dell’Infanzia abbiamo voluto dare voce a una molteplicità di interventi e pratiche coraggiose e innovative che dimostrano che riaprire gli orizzonti dei minori e delle loro famiglie non solo è possibile ma è già a portata di mano. Esperienze come quelle delle scuole che hanno deciso di condividere i propri cortili con il quartiere, a Torino, o dei ragazzi che sfidano gli spazi cittadini facendo parkour a Roma o in altre città. Un cambiamento reale è possibile ad esempio umanizzando i percorsi nascita, realizzando più servizi per la prima infanzia, aprendo e rinnovando le scuole, intervenendo nelle periferie con nuove opportunità sociali e culturali, ripensando l’utilizzo degli spazi pubblici. Sono esempi positivi ma che per produrre cambiamenti tangibili debbono essere replicati su vasta scala e andare di pari passo con un’azione determinata da parte del Governo per aggredire le gravi povertà sociali ed educative che affliggono milioni di minori“, continua Neri.
Aperti 11 punti luce. “Per rispondere concretamente all’avanzare della povertà educativa, soprattutto nelle periferie urbane, con il lancio della campagna Illuminiamo il Futuro nel maggio scorso, Save the Children ha aperto 11 Punti Luce in 8 regioni e un altro sarà inaugurato con il nuovo anno, in collaborazione con associazioni partner. Si tratta di spazi ad alta densità educativa in zone prive di servizi e opportunità, dove bambini e adolescenti possono studiare, giocare, avere accesso ad attività sportive, culturali e creative.
Inoltre i minori in condizioni accertate di povertà, vengono sostenuti da una dote educativa, un piano formativo personalizzato che consente ad esempio l’acquisto di libri e materiale scolastico, l’iscrizione a un corso di musica o sportivo, la partecipazione ad un campo estivo o altre attività educative individuate sulla base anche delle inclinazioni del singolo bambino.
Sono circa 1.800 i bambini che nel 2014 hanno frequentano i Punti Luce aperti da Save the Children in Italia. La previsione è di supportarne 4000 entro il 2015, assegnando 1.000 doti educative e di aprire ulteriori Punti Luce. Ma soprattutto, ciò che vogliamo, è che vi sia una assunzione di responsabilità collettiva contro questa piaga che pregiudica il presente e il futuro di moltissimi bambini“, spiega Raffaela Milano Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children, l’Organizzazione che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti.
Aree ad alta intensità educativa. “E’ necessario e urgente varare un piano nazionale di contrasto della povertà minorile, che preveda, tra l’altro, l’estensione della cosiddetta nuova social card, ora sperimentata solo in poche città, a tutte le famiglie in povertà assoluta con minori, semplificando i criteri di accesso e rafforzando le misure di accompagnamento e valutazione. Allo stesso tempo vanno previsti interventi mirati per le aree più deprivate sul piano dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza e delle opportunità educative. Per le periferie urbane più carenti, dove vivono moltissimi bambini, proponiamo di attivare “aree ad alta densità educativa, sul modello francese delle Zones d’Education Prioritaires, all’interno delle quali garantire un forte rafforzamento delle offerte educative, scolastiche ed extrascolastiche, valorizzando le risorse locali e mobilitando fondi europei“, conclude Raffaela Milano.
Bambini metropolitani. Una popolazione complessiva di poco più di un milione e mezzo di bambini, pari al 16,1% dei minori italiani, vive sparpagliata nel 70,3% dei comuni italiani, mentre il rimanente 84% risiede in 2400 centri di taglia superiore. Guardando meglio si scopre poi che il 37% di tutti i minori italiani (3 milioni e 700 mila bambini e adolescenti) vive concentrata nel 16,6% del territorio nazionale – la superficie delle istituende città metropolitane -, e che 1 milione e mezzo di bambini crescono all’interno degli 11 grandi centri urbani con una popolazioni superiore ai 250 mila abitanti: metropoli come Roma, in testa alla classifica per numerosità totale con quasi mezzo milione di minori, o come Napoli, Milano e Torino, dove si incontrano più di mille bambini per chilometro quadrato.
10 milioni di minori, 37 milioni di macchine. L’esplosione automobilistica degli ultimi decenni – con oggi 37 milioni di macchine per 10 milioni di minori – ha cambiato radicalmente le abitudini delle famiglie e il rapporto con gli spazi e i tempi della vita quotidiana. La strada si è fatta luogo di transito delle preoccupazioni dei genitori e ha perso la sua vocazione naturale di luogo di incontro, apprendimento e gioco, avventura e conoscenza. In media, tra i bambini 3 – 10 anni, solo 6 su 100 la utilizzano per giocare (6,4%), con picchi in Umbria (14%) e Trentino, e deserti ludici nel Lazio (2,5%), in Liguria, Piemonte e Campania. Ma anche i cortili condominiali sono uno spazio di gioco solo per il 25,5% dei bambini (3-10 anni) con maggiore fortuna per i bambini dell’Emilia Romagna (39,2%) e il picco in negativo della Basilicata (11,2%). Per non parlare dei prati o campi, spazi ludici solo per un 14,2% di fortunati, che diventano ben il 41,2% nella provincia di Bolzano per assottigliarsi a uno sparuto 3,9% in Sicilia. I parchi pubblici restano lo spazio di gioco più frequentato (dal 38,4%) dai minori nella fascia di età 3-10 anni, con, tuttavia, grandi differenze territoriali: mentre al Nord e al Centro vi fanno ricorso in media più di 2 bambini su 3 (e in quasi tutte le regioni del Nord più di 1 bambino su 2), al Sud, dove l’offerta di spazi attrezzati è sensibilmente ridotta, la fruizione dei giardini scende al 16% e sale al 12% la percentuale di bambini che gioca nei vicoli.
Stanze poco accoglienti e precarie. Circa 700.000 bambini e ragazzi vivono in famiglie che dichiarano il loro appartamento poco luminoso, 1 milione e 300.000 in famiglie che denunciano situazioni di sovraffollamento, carenza di servizi e problemi strutturali, 2 milioni e 200.000 minori – quasi uno su quattro – in nuclei familiari che dichiarano di abitare appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano. Nel 2013, 65.302 famiglie (+8,3% rispetto al 2012) hanno ricevuto l’ingiunzione di sfratto per morosità e 31.000 sono stati gli sfratti effettivamente eseguiti.
I disconnessi culturali. I dati sulla partecipazione dei bambini e dei ragazzi italiani ad alcune attività culturali sono poco incoraggianti: quasi 5 minori 6-17 anni su 10 non hanno mai letto un libro durante l’anno (47,9%), 6 su 10 non sono stati in un museo (60,8%), 7 su 10 non hanno visitato un’area archeologica (73,7%) e non sono andati a teatro (72,1%), più di 8 su 10 non hanno ascoltato un concerto (84,9%). Grandi sono anche in questo caso i divari territoriali: ad esempio, la percentuale dei minori che non leggono oscilla dal 69,5 della Calabria al 25,7% del Trentino.
L’avanzata delle povertà. La deprivazione culturale va di pari passo con quella economica: 1 milione 434.000 (pari al 13,8% del totale dei minori) sono gli under 18 in povertà assoluta, quindi addirittura privi del necessario per vivere un vita quotidiana dignitosa. Di essi 376 mila minori (67 mila bambini fino a sei anni e 309 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 17 anni) si sono aggiunti nel solo 2013, in particolare nel Mezzogiorno dove la percentuale di minori in povertà assoluta sale in media al 19%, con punte in Calabria (29%), Sicilia (24,7%), Sardegna (22,2%), Puglia (18,2%).
2 milioni 400 mila sono invece i minori (quasi 1 su 4, per l’esattezza il 23%) in povertà relativa, cioè in famiglie con un reddito molto basso e quindi costrette a tagliare dove possibile, diminuendo la qualità e quantità di cibo, per esempio (il 68,9% di nuclei con bambini è in questa situazione), o rinunciando a viaggi, cultura, sport, svaghi. Non si permettono mai un viaggio e una vacanza lontano da casa il 51,6% di famiglie con almeno 1 minore, a fronte del 40% nel 2010. Fanno sport solo il 46,3% di adolescenti, in particolare le ragazze praticano sport molto meno dei maschi (40,1% contro 50,7%), con picchi di inattività soprattutto nel Mezzogiorno (dove la percentuale di teen ager inattivi schizza in avanti di 22 punti percentuali).
L’arretramento dei servizi per la prima infanzia. Nell’anno scolastico 2012/2013 soltanto 13,5 bambini tra 0 e 2 anni su 100 frequentavano i nidi pubblici e convenzionati. Nonostante il varo di un Piano Straordinario nel 2007, interrotto poi bruscamente nel 2010, negli ultimi 10 anni in Italia l’indicatore di presa in carico è aumentato di appena 2 punti percentuali, rimane lontano dall’obiettivo europeo del 33%, e continua a presentare fortissime disparità territoriali tra Nord e Sud del paese. Non solo. Negli ultimi due anni si osserva una leggera flessione dei bambini che frequentano i nidi comunali e gli altri servizi integrativi, imputabile in parte alle difficoltà dei comuni a garantire i servizi in tempi di tagli ai bilanci, in parte alle difficili condizioni economiche delle famiglie durante la crisi.
Scuole a “tempo limitato” e open spaces. Anche la scuola fa acqua da molte parti, documenta il 5°Atlante dell’Infanzia. Il 70% degli edifici ha più di 30 anni e il 43% bisognoso di interventi di natura edilizia; ai problemi strutturali si aggiungono fattori come l’invecchiamento, la precarizzazione e i bassi livelli di formazione e di valutazione del corpo docente, i cui standard di perfezionamento e di formazione continua sono inferiori di oltre 10 punti ai loro colleghi europei. Altro fattore determinante è la limitazione del tempo scuola: in nessuna delle regioni italiane le scuole primarie e medie a tempo pieno superano il 50%; per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, l’unica regione a superare la soglia del 40% è la Basilicata, mentre in ben 6 regioni la percentuale di copertura scende sotto il 15%.
Un sistema scolastico inadeguato. Un insieme di cose che spiega, almeno in parte, le basse competenze di tanti studenti italiani nei programmi di valutazione internazionali e gli alti livelli di dispersione scolastica: ben il 17% degli studenti interrompe il percorso scolastico fermandosi al diploma della scuola media. Una delle percentuali più alte d’Europa, con indici superiori solo per la Grecia (23%), Malta (21%), Portogallo (19%) e Romania (18%). “L’inadeguatezza del nostro sistema scolastico è il frutto di anni di disattenzione e briciole di investimenti che ci hanno posizionato in coda all’Europa in quanto a spesa pubblica per l’istruzione“, commenta ancora Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia.

formazione e percorsi didattici sul porrajmos, lo sterminio dimenticato, e la storia delle minoranze rsc

fonte: la scuola di mafalda

formazione e percorsi didattici sul porrajmos, lo sterminio dimenticato, e la storia delle minoranze rsc

Con la nota della Direzione Generale del MIUR dello scorso 9 dicembre per il personale scolastico  viene segnalata l’attività di formazione sul tema del genocidio subito dai Rom Sinti e Caminanti (RSC) nei campi di sterminio durante la seconda guerra mondiale, il porrajmos (guarda in proposito una lezione di Paolo Finzi: clicca qui).
La formazione in parola rientra nelle azioni della Strategia Nazionale Italiana a seguito della comunicazione UE n. 173/2011 che prevede l’adozione da parte degli stati membri di strategie nazionali di inclusione delle comunità Rom, Sinti e Caminanti.

La nota MIUR protocollo n. 18400 del 9.12.2014 : [clicca qui]

il libro nero della scuola italiana

 

fonte:la scuola di mafalda

il libro nero della scuola italiana

E' disponibile dal 3 Novembre 2014 il "Libro nero della scuola italiana" realizzato da Paolo Latella, professore e sindacalista lombardo, membro dell’Esecutivo Nazionale del Sindacato Unicobas Scuola, che fa riflettere sull’illegalità nell’istruzione italiana (pubblica e privata). Il libro svela i retroscena di un fenomeno inquietante e diffuso a macchia d'olio in Italia: la gestione anomala degli istituti privati che vivono grazie allo sfruttamento dei docenti bisognosi di lavorare. 
E fa riflettere sull’illegalità nell’istruzione italiana (pubblica e privata) e le pressioni della Cei, Compagnia delle Opere, Opus Dei per la completa parità scolastica delle scuole religiose. 
Un capitolo spicca tra tutti per interesse: quello dove campeggia la cartina della vergogna (a pag. 193 del libro) aggiornata ad ottobre 2014, cioè l'elenco delle province italiane dove sono state segnalate le scuole paritarie che non pagano gli insegnanti, o con compensi da fame, e che in cambio rilasciano la certificazione del punteggio per inserirsi in graduatoria e sostenere i percorsi abilitanti riservati. 
Per questo documento il prof. Paolo Latella ha ricevuto minacce di morte. Le indagini sono tuttora in corso.

IL LIBRO NERO DELLA SCUOLA [clicca qui]

(il libro è scaricabile gratuitamente in formato pdf)

le linee guida scuola e adozione

FINALMENTE FIRMATE LE LINEE GUIDA SCUOLA E ADOZIONE

Logo CAREÈ con grande orgoglio e soddisfazione che le 25 associazioni del Coordinamento CARE accolgono la firma da parte del Ministro Stefania Giannini delle LINEE DI INDIRIZZO PER FAVORIRE IL DIRITTO ALLO STUDIO DEGLI ALUNNI ADOTTATI elaborate da Livia Botta, Marco Chistolini, Cinzia Fabrocini e Anna Guerrieri nell’ambito del Protocollo MIUR CARE del 26 Marzo 2013.
Le LINEE DI INDIRIZZO a tutela dei diritti delle bambine e dei bambini adottati, punto di arrivo di un lungo lavoro iniziato 4 anni fa con il Ministero, sono quindi finalmente disponibili e in tempo utile per le iscrizioni scolastiche dell'AS 2015/2016 e agevoleranno il percorso scolastico delle famiglie adottive e il lavoro quotidiano di Dirigenti e Insegnanti delle scuole Italiane. 
Le LINEE  DI INDIRIZZO, infatti, mettono a regime le buone prassi già sperimentate in tante parti d'Italia uniformando finalmente gli interventi in tutto il paese, regolando ad esempio le fasi di primo ingresso dei bambini adottati internazionalmente o la gestione dei dati sensibili per i bambini adottati nazionalmente. Il documento, denso di strumenti amministrativi concreti e di indicazioni operative approfondite,  è anche ricco di suggerimenti pratici sull'accoglienza e il primo ingresso, sulle fasi di passaggio e crescita dei bambini e dei ragazzi adottati, sul ruolo degli insegnanti di riferimento, sulla formazione del personale della scuola.
Un ringraziamento particolare lo facciamo al Ministro Stefania Giannini che ha tenuto fede all'impegno preso il 14 Ottobre 2014 nel corso della riunione del Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola (FONAGS) di cui il Coordinamento CARE è un componente. Un grazie va infine alla D.G. Per lo Studente, l'Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione e in particolare al Direttore Generale Giovanna Boda, che ha creduto a questo progetto fin dalle prime fasi, al Dirigente Giuseppe Pierro e alla Prof.ssa Francesca Romana Di Febo.

classi pollaio

Classi pollaio e handicap: la prima sentenza che impone di non sforare il tetto massimo di alunni
Con la sentenza 2250/14 il Tar Sicilia ha sdoppiato una classe quarta delle scuole superiori nel corso dell’anno scolastico. La classe, formata da 24 alunni di cui 4 con disabilità, eccedeva il tetto massimo di 22 alunni consentito per le classi con alunni disabili.
La classe in questione, derivante dalla fusione di due classi più piccole entrambe con alunni con disabilità, è stata riconosciuta dal Tar come composta da un eccessivo numero di alunni in risposta al ricorso presentato da genitori e studenti e supportato dai Cobas scuola di Palermo.
Secondo il Tar l’eccessivo numero di alunni oltre a compromettere la sicurezza degli alunni, va ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili.
La sentenza del Tar mette in discussione, quindi, va ad incidere sulla logica del risparmio con cui vengono formate le classi, una logica che negli ultimi 20 anni è stata quella che ha regolato la politica scolastica italiana. Il Tar impone, quindi, per la prima volta con una sentenza al riguardo, il rispetto del tetto massimo di 20 alunni nelle classi successive alla prima, come affermato dall’articolo 5 comma 2 del DPR 81/09.
La decisione del Tar Sicilia è stata motivata in questo modo: “[…] la circostanza che il regolamento di che trattasi [DPR 81/09, N.d.R.] contempli l’ipotesi della presenza di disabili unicamente per le prime classi e non anche per quelle intermedie impone un’interpretazione dello stesso dato normativo in linea con le esigenze di inclusione dell’alunno disabile così come tracciate dalla legislazione interna di riferimento e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Orbene, una lettura improntata a parametri di logicità impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le “classi iniziali” debba considerarsi valido per tutte le classi. […] È indubbio che l’esito complessivo dell’attività di didattica non può costituire parametro idoneo per verificare se lo svolgimento della stessa sia stata in linea con le norme che tutelano anche i diritti dei disabili non foss’altro perché al di là dell’esito dello scrutinio del corpo docente è indubbio che l’allocazione in una classe con un numero di alunni di gran lunga inferiore avrebbe certamente garantito per tutti un servizio quantomeno migliore oltre che in linea con le previsioni normative”

mercoledì 19 novembre 2014

trasparenza nelle università

Trasparenza nelle Università
Firma ora per difendere il nostro futuro

Quella sull’istruzione è la madre di tutte le battaglie. Chiediamo un meccanismo per difendere e incoraggiare chi segnala corruzione, malaffare, nepotismi e raccomandazioni nelle Università italiane.
Clientelismi, corruzione, baronato, raccomandazioni: quando qualcuno nel mondo dell’istruzione approfitta del suo ruolo per guadagnare un vantaggio personale distrugge molto più di quello che pensa.
Non è un caso che il diritto allo studio venga garantito dalla Costituzione: chi danneggia le nostre università aggredisce la fiducia nel sistema pubblico che è alla base del nostro domani.
Per questo la campagna Riparte il futuro vuole sostenere un meccanismo che possa esporre e arginare le illegalità che possono accadere dentro e fuori dagli atenei. Per farlo serve difendere e incoraggiare chi segnala corruzione, malaffare, nepotismi e raccomandazioni.
Chiediamo alle nostre università di stare dalla parte di chi ha il coraggio di esporsi, dotandosi volontariamente di regole che aiutino e proteggano chi segnala illeciti.
Gli atenei possono fare molto. La legge anticorruzione del 2012 ha infatti introdotto l'istituto del “whistleblowing”: letteralmente “suonare il fischietto”, un’espressione per indicare chi sceglie di rompere i muri del silenzio sulle illegalità a cui talvolta può capitare di assistere.
Chiediamo a tutti i rettori degli atenei pubblici italiani di sottoscrivere con noi un impegno a favore del whistleblowing.
Le università devono concedere una protezione efficace a chi denuncia episodi d’illegalità che avvengono al loro interno, incoraggiando la segnalazione di pratiche illegali e predisponendo massime tutele per chi ha il coraggio di parlare.
Vogliamo arrivare a un accordo con tutte le 66 università italiane ed è a loro che rivolgiamo questa petizione.
Chiediamo a tutti gli atenei italiani di deliberare una strategia per il whistleblowing costituita da 3 punti fondamentali:
  1. Tutelare chi segnala illeciti a cui ha assistito
    • tutela della riservatezza e dell’anonimato. L’identità di chi denuncia può essere resa nota solo col suo esplicito consenso;
    • onere della prova per gli enti universitari. Nel caso in cui un dipendente dell’ateneo ritenesse ingiusto il cambio di ruolo, di ufficio o di incarico subito dopo la denuncia di un illecito, spetterà a chi ha preso tale decisione dimostrare la propria buona fede, allontanando il sospetto che possa esserci un legame con la denuncia. Lo stesso varrà anche per lo studente “whistleblower”, qualora incontrasse pressioni e difficoltà nel portare avanti il suo percorso di studi.
    • tutela estesa, affinché venga protetto anche chi segnala episodi di illegalità al di fuori del settore in cui opera professionalmente.
    • adeguata campagna di informazione sull’importanza del whistleblowing per incoraggiare le segnalazioni.
  1. Protezione per tutti e a tutti i livelli:
  • per i lavoratori amministrativi degli atenei, affinché chi denuncia episodi di corruzione e irregolarità non debba temere mobbing, demansionamenti, licenziamenti;
  • per gli studenti, affinché non vedano compromessa la loro carriera universitaria per aver segnalato la mancanza di trasparenza nell’organizzazione delle lezioni, dei concorsi, degli esami, delle borse di studio, o per aver messo in luce comportamenti non conformi da parte di docenti e ricercatori, personale amministrativo, altri studenti;
  • per i docenti che segnalano episodi illegali con protagonisti altri colleghi, amministrativi, funzionari o studenti. La loro integrità deve diventare un incentivo e non un limite nell’accesso agli incarichi che contano all’interno dell’ateneo;
  • per i ricercatori di ruolo e quelli precari, che sono i meno tutelati perché possono trovarsi sottoposti a pressioni proprio per le loro condizioni lavorative e minacciati nel loro progresso di carriera e nella stabilizzazione professionale.
  1. Canali di segnalazione certi e semplificati:
  • predisporre un ufficio, una pagina web, una linea telefonica resi disponibili dall’ateneo a cui faccia capo personale di riconosciuta indipendenza e integrità;
  • creare un contatto diretto con l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), per legge anche Authorty per il whistleblowing, inviando ogni segnalazione a whistleblowing@anticorruzione.it, affinché registri ogni segnalazione dei whistleblowers e possa poi chiederne conto agli atenei.

giovedì 30 ottobre 2014

rapporto ocse 2014 sulla scuola italiana

fonte: la scuola di mafalda

il rapporto ocse 2014 sullo stato dell'istruzione in italia

Diamo uno sguardo al rapporto OCSE “Uno sguardo sull’istruzione 2014 – Italia” e iniziamo con gli aspetti positivi. Nel nostro paese: 
- “complessivamente il livello di istruzione è aumentato, specie per le donne” (nel 2012 il 62% dei nuovi laureati è di sesso femminile, rispetto a una percentuale di donne laureate del 56% nel 2000) 
- “la qualità dell’istruzione di base sta migliorando costantemente”, anche se nonostante i recenti miglioramenti registrati, il livello medio di competenze in comprensione dei testi scritti (lettura) e matematiche in Italia resta basso rispetto ad altri Paesi.
Ma le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro fanno diminuire la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell'istruzione. E’ infatti in costante aumento la percentuale dei 15-29enni senza attività lavorativa e che sono usciti dal sistema di istruzione (i cosiddetti NEET – Neither employed nor in education or training). Insomma, perché studiare se poi non riesco a trovare lavoro?
Il rapporto non manca di sottolineare che “tra i 34 Paesi esaminati con dati disponibili, l’Italia è il solo Paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è il Paese con la riduzione più marcata (5%) del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011”. Con l’avvento della crisi economica, pro­prio nel momento in cui tutti gli altri paesi hanno inve­stito sulla cono­scenza (+25% la Ger­ma­nia, +41% la Fin­lan­dia, con una media Ocse del 38%), il nostro paese ha tagliato la spesa del 3%.
Le spese in conto capitale (edilizia scolastica, acquisto di nuove attrezzature, ecc.) rappresentavano nel 2011 solo il 3,7% del totale della spesa per le istituzioni della scuola primaria, secondaria e post secondaria non terziaria, uno dei livelli più bassi tra i Paesi dell’OCSE.
Nel 2012 il 62% dei pro­fes­sori aveva più di 50 anni (48% nel 2002). È la più alta per­cen­tuale di inse­gnanti over 50 dei paesi Ocse. Il salario medio degli insegnanti della scuola primaria e secondaria inferiore è diminuito (in termini reali) del 2% tra il 2008 e il 2012. Le retribuzioni degli insegnanti con 15 anni di esperienza sono diminuite del 4,5% tra il 2005 e il 2012 per tutti i livelli d’insegnamento. Nonostante mal­pa­gati, i docenti hanno tut­ta­via con­ti­nuato a lavo­rare con pro­fitto (considerato l’aumento della qualità dell’istruzione di base) in classi sem­pre più nume­rose («pol­laio»). 
Secondo il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini “il Rapporto del governo ‘La buona scuola’ offre risposte concrete ai dati diffusi oggi dall’Ocse” [il comunicato del MIUR] poiché pone la scuola al centro dell’azione del governo. Quanto agli insegnanti, “il nostro piano - conclude Giannini - abolisce il precariato, immette nella scuola insegnanti che hanno in media 40 anni e apre le porte ai giovani neo abilitati con assunzioni per concorso. Questa è la nostra risposta”. Anche se, aggiungiamo, non si sa dove tro­verà i 4,1 miliardi di euro neces­sari.  

Il rapporto OCSE “Uno sguardo sull’Istruzione 2014 – Italia” [clicca qui]
“Uno sguardo sull’istruzione 2014 – Indicatori dell’OCSE – Sintesi in italiano” [clicca qui]
Il rapporto completo Education at a Glance 2014: OECD Indicators (in inglese) [clicca qui]

Rassegna Stampa:
- Gli occhiali da sole dell'OCSE, Guseppe De Nicolao, il manifesto, 9.9.2014 [clicca qui]

la buona scuola.........?

fonte: la scuola di mafalda

back to school con renzi l’americano (di anna angelucci)

Rem tene, verba sequentur, si diceva tanto tempo fa. E allora analizziamo le parole e ricostruiamo induttivamente il paradigma culturale sotteso alla recente proposta del Governo sulla scuola.
Il documento, da sottoporre nei prossimi due mesi a consultazione online e offline, è tutto un florilegio di anglismi: la scuola deve uscire dalla comfort zone e diventare l’avamposto del rilancio delmade in Italy. Dotarsi di insegnanti mentor capaci di proporre formazione online ma anche blended. Produrre piattaforme sperimentali con un design challenge lanciato presto da un hackaton mirante alla creazione di una app. Attrezzarsi per sfide di governance e policy a colpi di data school nazionali,
design di servizi opening up education, ovviamente riferita alle best practices.
Ma non basta: finalmente arriva la good law e il nudging sbarca al Miur perché «assicurare piena comprensione e chiarezza su quanto il Miur pubblica è un’azione di apertura e trasparenza di pari dignità rispetto all’apertura dei dati».
La buona scuola promuove il CLIL, cioè il Content and Language Integrated Learning, e alle elementari insegna il codingattraverso la gamification. Valorizza il problem solving, il decision making e, ove necessario, potenzia l’agri-business. Gli studenti diventeranno digital makers, si supererà il digital divide e riusciremo a intrattenere gli early leavers, ovvero quei «giovani disaffezionati» (sic) che la scuola oggi non riesce a tenere con sé. Per fare questo adotta il BYOD, bring your own device, ovvero «portati il tuo pc da casa». Ma, non paga, la buona scuola del governo proporrà school bonusschool guaranteecrowdfunding, emettendo all’occorrenza social impact bonds a beneficio dei privati che vorranno approfittare del succulento banchetto dell’istruzione imbandito da Renzi. Good appetite.
Ma l’anglofilia del documento non si esaurisce nella patina lessicale e nel registro linguistico. La buona scuola di Renzi è quella americana, autonoma nell’organizzazione, nella didattica e nei finanziamenti.
È la scuola intesa non come istituzione della Repubblica, costituzionalmente garantita a tutti e che offre pari opportunità di accesso critico alla conoscenza e al sapere, bensì come espressione differenziata, culturalmente marcata e competitiva, delle realtà e delle comunità locali: la scuola che si fa il suo progetto formativo e si cerca sul mercato qualcuno che abbia interesse a pagarlo.
La scuola, in America, è nata prima degli Stati Uniti, quando i coloni strappavano le terre ai Nativi e costruivano prigioni e saloon. Comitati locali le organizzavano, spesso in case private, si procuravano gli insegnanti, mettevano a disposizione i libri e la Bibbia non mancava mai. Oggi i comitati si chiamano Consigli Direttivi, sono composti da cittadini eletti e mantengono gli stessi compiti: adottano programmi didattici e gestiscono il bilancio. L’autonomia scolastica consente alle famiglie americane
il controllo sui contenuti dell’insegnamento — in Lousiana e nel Tennessee, la lobby creazionista ostacola tenacemente l’insegnamento dell’evoluzionismo — e permette ai funzionari eletti di imporre contenuti e metodi di insegnamento nei loro distretti scolastici.
La frammentazione della scuola pubblica americana ha prodotto e produce risultati scolastici così scadenti da indurre oggi il Congresso a forme di controllo centralizzato ex post. Standard e obiettivi di apprendimento nazionali da misurare con batterie di test dai cui risultati dipende la sopravvivenza o la chiusura delle scuole. Un rimedio peggiore del male, perché trasforma l’insegnamento in addestramento e, soprattutto, non solleva gli studenti americani dalle ultime posizioni nelle classifiche
internazionali. La buona scuola di Renzi è quella di un paese, l’America, in cui le scuole migliori sono private e costosissime; un paese in cui anche le scuole pubbliche, finanziate con la fiscalità municipale, possono avere rette molto elevate e dove le più accessibili si trovano nei quartieri deprivati e accolgono i poveri, gli svantaggiati, i discriminati. Un paese in cui la disparità economica è direttamente proporzionale alla disparità educativa.
C’è un passaggio, nel documento, in cui si dice che «ogni scuola dovrà avere la possibilità di schierare la squadra con cui giocare la partita dell’istruzione», ossia la libertà di scegliere i docenti che riterrà «più adatti» per realizzare la propria offerta formativa. La metafora calcistica di berlusconiana memoria, rivela esattamente qual è la direzione del governo: portare a compimento il processo di privatizzazione della gestione della scuola intrapreso da Berlinguer con la legge sull’autonomia e, contemporaneamente, completare il percorso di arretramento dello stato inaugurato da Tremonti, fino alla completa dismissione della scuola pubblica. Il preside-manager, costantemente
in cerca di sponsor per finanziare la sua scuola, sceglierà e licenzierà discrezionalmente i suoi docenti, affiancato in questo da un nucleo di valutazione in cui la presenza di esterni garantirà forme di controllo politico-culturale ma soprattutto il ritorno economico degli investimenti privati. 
L’esperienza di Channel One, che in America ha un contratto con 12.000 scuole, imponendo a milioni di studenti in classe dosi quotidiane della sua programmazione televisiva e pubblicitaria, dovrebbe indurre i cittadini italiani a una riflessione seria. Il resto del documento è pura demagogia. La proposta del servizio civile a scuola, la collaborazione con il terzo settore, l’ingresso del volontariato: un omaggio dell’esecutivo a certa cultura scoutista e democristiana; il riferimento alla sussidiarietà, una strizzata d’occhio a Compagnia delle Opere e a Comunione e Liberazione.
E infine, l’impegno di assunzione di 150.000 precari nel 2015, accompagnato dall’ignobile ricatto a milioni di insegnanti di ruolo che impone di rinunciare al loro attuale status giuridico e di restare inchiodati fino alla pensione al loro miserevole stipendio iniziale. Un impegno spacciato come scelta e come testimonianza della volontà del governo di investire nella scuola, in realtà ineludibilmente imposto dalla procedura d’infrazione avviata a Bruxelles contro l’Italia per la violazione della normativa
comunitaria sulla reiterazione dei contratti a termine.
Una promessa da far tremare i polsi in tempi di tagli draconiani e di riforme feudali imposte dalla Troika: ma forse, l’ennesima velleità di chi, assai pericolosamente, «vuo’ fa’ l’americano».

Anna Angelucci, Associazione Nazionale Per la Scuola della Repubblica
15.9.2014, il manifesto

mercoledì 29 ottobre 2014

ANCORA SU CLASSI POLLAIO.....

FONTE: UNA CREPA IN COMUNE

In Italia troppi alunni per classe (di P. Almirante)

Secondo il primo rapporto internazionale sull'Efficienza della spesa per l'educazione, condotto da Peter Dolton, esperto mondiale di economia dell'educazione della London School of Economics, insieme a Oscar Marcenaro Gutiérrez dell'Università di Malaga e ad Adam Still di Gems Education Solutions, tra i motivi della inefficienza della scuola italiana, e del consueto fondo della graduatoria dell’Ue, ci sarebbe anche l’elevato numero di alunni per classe.
Che appare strano, perché ci hanno sempre detto e ripetuto il contrario e cioè che in Italia ci sarebbero troppi docenti in rapporto agli alunni. E invece improvvisamente si scopre che, con dati ufficiali e quindi neutri, le denunce venute da tutta Italia contro le cosiddette classi pollaio hanno una loro circostanziata verità. Cosicché tra i motivi della inefficienza della scuola italiana, tastata dall’Ocse,  che ci sbatte  "tra gli ultimi della classe",  c’è  l’eccessivo numero di alunni per classe. Tanto che il rapporto suggerisce all’Italia,  per guadagnare qualche posto in classifica, di utilizzare due alternative: o aumentare gli stipendi degli insegnanti o ridurre il rapporto prof-studenti.
Ben sapendo che entrambi i suggerimenti sono inattuabili, questo primo rapporto, commissionato da Gems e presentato a Londra, e che  analizza "l'efficienza con cui vengono allocati i budget per l'istruzione in ciascun paese, conferma che  l'Italia potrebbe ottenere risultati Pisa ai livelli della Finlandia, se riducesse il rapporto insegnante-allievo da 10,8 a 8,2 alunni per ogni insegnante (-24,4%). O, in alternativa, se aumentasse lo stipendio degli insegnanti dalla media attuale di 31.460 dollari a 34.760 dollari, cioè un aumento del 10,5%.”
“Stando a questi calcoli l'Italia, per avere un migliore rapporto qualità-prezzo, dovrebbe spendere di più e ridurre il numero di allievi per insegnante o aumentarne lo stipendio".
Se dunque si dovesse prendere questa analisi internazionale con le dovute attenzioni, cercando gli opportuni ripari, si capisce bene che la scuola italiana non ha alternative di miglioramento, sia perché hanno bloccato i contratti e quindi anche gli aumenti salariali, e sia perché, oltre a mancare ancora scuole e strutture, nelle nostre aule scolastiche si può andare fino a un massimo di 29 alunni nella scuola dell’infanzia, 27 nella primaria, 30 nella secondaria di primo e di secondo grado. Ma anche oltre i 30 alunni per evitare di comporre classi inferiori a 27 che è il minimo per le classi iniziali.
(Pasquale Almirante, 7.9.2014, tecnicadellascuola.it)