domenica 27 aprile 2014

il bricolage dei genitori.......


fonte: corrieredellasera

Il bricolage dei genitori per la scuola Senso civico o sconfitta della politica?

L’autonomia degli istituti incoraggia la partecipazione delle famiglie, che diventano cruciali per il reperimento dei fondi cronicamente mancanti. Il rischio: alimentare l’inerzia di ministero e istituzioni

di Silvia Ballestra


Un gruppo di studenti con le madri durante un’esercitazione di scienze in una scuola di Winnetka, Illinois (1947, foto Corbis) Un gruppo di studenti con le madri durante un’esercitazione di scienze in una scuola di Winnetka, Illinois (1947, foto Corbis)
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Da qualche anno, la scuola non è più solo quella dei bambini e degli insegnanti. Esiste anche una scuola dei genitori. I genitori sono spesso presenti (pure troppo, ci raccontano alcune cronache, ma questa è un’altra faccenda): vigilano, contribuiscono, partecipano. Spendono.
In un modo senza precedenti, infatti, in questi anni molti genitori italiani si sono abituati a dedicare tempo e denaro a quella che ritengono una opportunità centrale nella formazione dei figli. Un’istituzione che però, anno dopo anno, hanno visto smontare, impoverire, colpire con tagli ingiusti (e non staremo qui a ricordare che sin dalla materna, in alcune zone, fra cui la ricchissima Lombardia, tocca portarsi da casa sapone e carta igienica). Dal 1999, con l’istituzione dell’autonomia scolastica, padri e madri sono stati esplicitamente invitati ad affiancare insegnanti e dirigenti nell’impegno di ampliare l’offerta formativa di ogni singola scuola. Eccoli allora arrivare dopo l’orario scolastico per riunirsi, confrontarsi, concertarsi. Nella gestione ordinaria, i genitori vengono coinvolti nel reperimento dei fondi: se vogliono rafforzare le occasioni di apprendimento e renderle più varie — uno specialista, una madrelingua, una serie di laboratori, per intendersi, o ancora materiale particolare, attività curricolari ed extracurricolari, corsi vari — devono ingegnarsi per far arrivare i famosi «denari» che rimpinguino le casse. Fioriscono allora, ogni inizio anno, proposte, iniziative, gruppi e gruppetti: la commissione Cultura, la commissione Sport, la commissione Biblioteca e, last but not least, nelle scuole con il tempo pieno, la commissione Mensa.
Se l’ultima è una commissione di vigilanza e controllo, le altre si occupano, dunque, in soldoni, di fund raising o — è il caso della commissione Biblioteca — di erogazione di un servizio, il prestito libri, che pure prevederebbe competenze e impegno specifici. Ma va bene, ben vengano. Ben vengano genitori e nonni che si alternano al prestito libri, accogliendo bambini e ragazzi in ambienti curati e, a volte, da loro stessi ripristinati: muri ridipinti, libri ricatalogati, arredi scandinavi colorati e razionali acquistati con i suddetti fondi. E ben vengano anche tutte le attività che creano confronto e socializzazione. Ecco, allora, il teatro, la grande festa di Natale con i laboratori e la vendita torte, la corsa campestre che corona la fine d’anno con le batterie di classi che si sfidano al vortex (il lancio di un peso di gomma) e nel salto in lungo (lì si pagano iscrizione e divisa), la vendita grembiuli con il logo della scuola (scorrendo la mia rubrica del telefono ho trovato una misteriosa «Anna dei Grembiuli» e non capivo chi fosse: una nobile? una password? l’eroina di un libro?, poi mi sono ricordata che un grembiule sparisce o si sbrega solo e quando i grandi magazzini se ne sono già disfatti da un pezzo e, per fortuna, esistono le mamme dei grembiuli, che non si lasciano cogliere impreparate e te ne vendono uno in qualsiasi periodo dell’anno), le lotterie, le tombolate, il diario con gli sponsor, le feste, i mercatini e gli aperitivi.
Questo alle elementari. Passando alle medie, l’attività del comitato genitori — l’organo che organizza, struttura, presiede e anima tutte queste iniziative — comincia a perdere un po’ di giri: i genitori non accompagnano più i figli a scuola e dunque non si incrociano più tanto, si fatica a raggiungere quelli che lavorano, ci si fa vedere solo alle assemblee di classe (forse) e si è comunque un po’ tutti più stanchi, e anche attempati, e ci si limita a organizzare — con servizio d’ordine e sound-system, però — le feste per i teenager che nelle grandi città hanno pochi spazi e possibilità.
Bello, in fondo. Un segno di partecipazione e interesse nella cosa pubblica diretto, operoso, dinamico, che coinvolge nell’istruzione anche con l’esempio stesso: se la scuola è di tutti, così lo sarà ancora di più. Cresce il senso civico, si dà un esempio ai figli di tutti (pure di quelli che non possono esserci, o di quelli che se ne fregano), si vigila, si aiuta. Si è solidali, si provvede. E però. E però c’è il rischio che dal fare si passi allo strafare. Che dalla partecipazione si passi alla rassegnazione («o lo facciamo noi o non lo farà nessuno» è una frase ricattatoria che ho sentito spesso: ricattatoria non da parte dei genitori ma da parte di istituzioni silenti). Perché dalla (ancorché febbrile) ordinaria attività di commissione, nei casi eccezionali tocca rimboccarsi le maniche. Ed ecco i genitori che si improvvisano nel finesettimana imbianchini, carpentieri, idraulici, falegnametti bricoleur e si ingegnano a ripristinare infissi, rinfrescare muri scorticati, rimontare manopole di rubinetti, e così via.
Le foto di queste «incursioni» le abbiamo viste qualche volta sui giornali, o in qualche speciale delle trasmissioni di inchiesta: se da un lato fioccano gli elogi per lo spirito di iniziativa, dall’altro ci si rende tutti conto che si tratta di una sconfitta. La sconfitta delle istituzioni che dovrebbero occuparsene: lo stato disastrato in cui versano tanti edifici pubblici, vecchi, sfasciati, pericolosi (ahimè, anche qui le cronache sono drammatiche), lasciati andare per mancanza di fondi e a volte proprio incuria, è noto. Il problema dell’edilizia scolastica, un buon argomento da campagna elettorale. Il confronto con le scuole di altri Stati europei, pietoso e umiliante.
Qui il discorso sulla «scuola dei genitori» diventa ambiguo, scivoloso, contraddittorio. Una sera ho sentito in tv lo sceneggiatore de La grande bellezza complimentarsi con se stesso, orgoglioso di aver portato a scuola «tre computer vecchi». Ma i nostri bambini, ho pensato, non hanno diritto a computer nuovi, veloci? Non sono loro i «nativi digitali»? E la scuola che cos’è, una discarica dove smaltire qualche vecchio cassone con lo schermo catodico? E la burocrazia: una volta che in classe di mio figlio si è rotto il cavo della Lim (la tanto sbandierata Lavagna interattiva multimediale) è di nuovo partita la cordata dei genitori. «Una manciata di euro e i ragazzi avranno di nuovo il collegamento, ché ora che aspettiamo le delibere, i soldi del ministero e il resto, l’anno sarà bello che finito!». Ma — ho ribattuto — non è giusto. La prossima volta compreremo i banchi, le sedie». Risultato: il cavo è stato comprato da noi.
La questione però rimane: interessante il coinvolgimento dei genitori. Ma che non diventi un alibi per demandare, appoggiarsi, tagliare ulteriormente. I genitori vigilino, siano presenti, partecipino, ma non suppliscano. Anzi, pretendano che dirigenti scolastici, ministero e governi vari ritornino a fare il loro dovere in termini di spese e investimenti. Che militanza, forza, presenza di tutti si trasformino in stimolo e progresso. E non nel contrario.
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mercoledì 16 aprile 2014

IL MONDO HA BISOGNO DI DIFFERENZA

fonte: VIVALASCUOLA

Vivalascuola. Il mondo ha bisogno di differenza




Un programma di educazione alla differenza e prevenzione della discriminazione sessuale e dell’omofobia (vedi qui) avviato dal precedente Governo è stato bloccato dalla ministra Giannini dopo interventi di vescovi, associazioni cattoliche, politici di destra. Marina Boscaino ricostruisce questa vicenda e Matteo Viviano ci dice cosa ne pensa il Coordinamento dei Genitori Democratici. Ma con questa puntata di vivalascuola abbiamo voluto soprattutto capire: cosa fanno le maestre e le insegnanti quando fanno educazione alla differenza? Vogliono sostituirsi ai genitori? Vogliono istigare all’omosessualità, come vengono accusate di fare? Ci rispondono Clara Bianchi, Marta Gatti, Maria Donata Glori, Claudia Martini, Maria Cristina Mecenero, Sara Marini: ognuna, come è naturale, in modo differente.
Indice
(clicca sul titolo per andare subito all’articolo)
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- Marina Boscaino ricostruisce questa vicenda
- Cosa fanno le maestre e le insegnanti quando fanno educazione alla differenza? Ci rispondono:
- Claudia Martini
- Maria Donata Glori
- Maria Cristina Mecenero
- Marta Gatti
- Clara Bianchi
- Sara Marini
- La voce di genitori democratici ci è presentata da Matteo Viviano, Presidente del CO.GE.DE. (Coordinamento Genitori Democratici) della Liguria.
- MATERIALI: LA DISCUSSIONE
Educazione alla differenza: contro
- E’ un piano europeo, ci vogliono asessuati di Fabrizio Azzolini
- Una lobby per la devastazione antropologica di Gianfranco Marcelli
- Qualcosa di oscuro cerca di penetrare nella famiglia di Carlo Cardia
- L’omofobia? Un concetto poco chiaro di Gianfranco Amato
- Il governo deve intervenire di Gabriele Toccafondi
Educazione alla differenza: pro
- Altro che sesso, l’attacco è alla scuola pubblica di Domenico Pantaleo
- I condizionamenti di genere in Italia di Sara Marini
- In Italia esiste ancora una vera e propria repressione di Gianni Vattimo
- Rispetto delle scelte e della identità di ciascuno del Coordinamento Nazionale per la Scuola della Costituzione
- Parlare di omofobia è una battaglia civile di Rete Studenti Medi
- CONFRONTI: TRA IL DIRE E IL FARE
- DATI: MA ALLA FINE LA DISCRIMINAZIONE SESSUALE TRA DONNE E UOMINI ESISTE? L’OMOFOBIA ESISTE?
- SEGNALAZIONE
- LA SETTIMANA SCOLASTICA
- RISORSE IN RETE

martedì 15 aprile 2014

un orto in ogni scuola


fonte: comuneinfo

Ci vorrebbe un orto in ogni scuola



Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo
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di Luciana Bertinato
Un ricordo
Quand’ero bambina mi piaceva restare all’aperto a giocare con la terra, i sassi, i rametti e le foglie. Nei pomeriggi dopo la scuola, assolto il dovere dei compiti, raggiungevo gli amici nella segheria del nonno, un luogo fantastico avvolto dall’intenso profumo del legno appena tagliato.
L’orizzonte si apriva sui campi, dove noi saltavamo i fossi alla ricerca di fiori, insetti e rane, ci arrampicavamo sugli alberi e giocavamo a nascondino tra i tronchi accatastati all’aperto. Divertendoci abbiamo imparato a conoscere il nome delle piante, a distinguerne il colore, l’uso, la voce.
Poi all’imbrunire il rientro a casa felici, spesso con le ginocchia sbucciate, ma allora i genitori non ne facevano un dramma perché ci lasciavano liberi di avventurarci nei prati, nei cortili e nelle piazze per ore e ore. Oggi tutto è cambiato, ma forse qualcosa no.
Orti per conoscere il proprio corpo e riprendersi il tempo
Alcuni giorni fa, durante un’attività di laboratorio con la terra, ho rivisto la felicità e la spensieratezza della mia infanzia negli occhi dei bambini, intenti a dissodare con zappe, vanghe e rastrelli alcuni fazzoletti di terreno incolto, mettere a dimora semi di fiori, erbe aromatiche e ortaggi, annaffiare le zolle con la giusta quantità d’acqua.
Il lavoro della terra regala ai bambini una grande gioia, il rispetto per la natura, le conoscenze dei cicli delle piante e delle stagioni, del modo di produrre il cibo e di alimentarsi correttamente senza creare rifiuti.
Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo. La terra, vissuta come via educativa, è un’ottima maestra: spezza i ritmi frenetici che sono entrati con prepotenza nelle nostre aule, ci insegna a rallentare e a rispettare i tempi naturali, a saper attendere in quest’epoca senza più tempi di attesa.
Può essere inoltre un’occasione per ritrovare la buona abitudine al fare consapevole, a riflettere e a documentare, secondo le regole della pedagogia induttiva che parte dall’esperienza e ritorna ad essa trasformandola in concetti e apprendimenti duraturi. I ragazzini di oggi, che sanno utilizzare con facilità il computer e muovono velocissimi il pollice per scrivere i messaggi al cellulare, spesso sono incapaci di usare bene le mani.
Adoperare con precisione semplici strumenti seguendo una regola e sperimentare in forma creativa diversi materiali li stimola ad esercitare la manualità, necessaria allo sviluppo di abilità oculo-manuali e di controllo del tono muscolare. Prendersi cura della terra e dei suoi elementi favorisce l’acquisizione di una maggiore confidenza con il proprio corpo, l’autonomia, l’autostima, l’equilibrio. “Se faccio capisco, se ascolto dimentico. O la scuola è un laboratorio dove insieme si elaborano saperi e cultura o è una palestra dove si addestrano le nuove generazioni”, scriveva Célestin Freinet.
ort2Orti per la pace
Con l’obiettivo di educare alla cittadinanza attiva in tanti cortili delle nostre scuole sono nati gli orti didattici che uniscono la pratica alla teoria, recuperando abilità manuali perdute, e intrecciano scambi con la comunità: in ogni scuola si può trovare un papà o un nonno dal pollice verde disposti a dare una mano nella coltivazione.
Il discorso vale anche nei confronti dei genitori immigrati, come racconta l’esperienza della rete degli orti di pace: un bellissimo esempio di educazione alla multiculturalità. Sulla scia delle numerose esperienze attuate in mezza Europa, anche in molte città italiane si stanno diffondendo gli orti urbani, piccoli appezzamenti di terra pubblici messi a disposizione dei cittadini per seminare e raccogliere i frutti. Un modo utile per coltivare il risparmio consumando prodotti sani e a chilometro zero, semplice per recuperare gli spazi urbani abbandonati al degrado, importante per stringere legami tra le generazioni.
Se i ricordi sono tracce del nostro viaggio che il tempo leviga in forme e misure diverse, un piccolo orto può aiutare i bambini di questa generazione tecnologica a ritrovare un contatto autentico con la natura e, attraverso essa, un profondo legame con la vita.
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Fonte: “La Vita Scolastica
Luciana Bertinato ogni giorno in bicicletta raggiunge ventidue bambini e bambine, in una classe seconda a tempo pieno, alla Primaria “I. Nievo” di Soave (Verona). Dal 1995 fa parte della “Casa delle Arti e del Gioco”, fondata da Mario Lodi a Drizzona (Cremona), che promuove corsi di formazione per insegnanti e laboratori creativi per bambini. Altri suoi articoli sono qui.

EDUCARE AL GENERE

fonte:COMBIFEM (MONDO, DONNA, MISSIONE)
Educare al genere è urgente e necessario
La Società delle Storiche scrive una lettera aperta alla ministra Giannini e alla sottosegretaria Bellanova sugli attacchi ingiustificati ai corsi nelle scuole che trattano i temi delle differenze di genere.
 
Giulia.globalist.it
14.04.2014: All'on. Stefania Giannini
Ministra dell'Istruzione, Università e Ricerca
All'on. Teresa Bellanova
Sottosegretaria al Ministero del Lavoro

Vari organi di stampa e d'informazione hanno dato notizia del blocco deciso dal Sottosegretario di Stato Miur, on. Gabriele Toccafondi, al programma UNAR contro le discriminazioni "basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere", programma avviato dalla Ministra Carrozza. Altri episodi, istituzionalmente meno gravi, ma non meno rilevanti, hanno mostrato in atto una campagna di mobilitazione di settori dell'opinione pubblica contro l'introduzione della cosiddetta teoria del gender nelle istituzioni scolastiche del paese.

Vorremmo innanzitutto segnalare la parzialità e anche l'erroneità delle affermazioni che hanno accompagnato questi episodi, precisando la complessità della questione contro ogni pretesa riduzionistica. Non esiste, infatti, una "teoria del gender". Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l'ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell'essere uomo e dell'essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio.

Proprio per la sua notevole capacità analitica e il suo carattere non prescrittivo il gender ha aperto nuove e importanti direttrici di ricerca che nella comunità scientifica e nell'insegnamento superiore di molti paesi sono ormai riconosciuti e sostenuti, a differenza di quanto accade nel nostro Paese: del resto, la disinformazione di cui stiamo avendo prova in queste settimane conferma ampiamente il ritardo cumulato. In Francia, ad esempio, dal 2010 le disposizioni del "Programme d'Histoire-Géographie", così come quelle dell'insegnamento di "Sciences de la vie et de la terre", prevedono una trattazione articolata per sesso, genere e orientamento sessuale. Ciò che a nostro avviso risulta più grave, tuttavia, è che tali interventi censori vengano messi in atto da un organo dello Stato non in seguito a un serio dibattito culturale e scientifico, ma per effetto di pressioni politico-ideologiche ispirate alle posizioni espresse sul tema da alcuni esponenti del mondo cattolico. Anche per questo, riteniamo necessario affermare non solo la legittimità e serietà delle iniziative bloccate, ma anche l'urgenza di avviare l'educazione al genere nel nostro sistema scolastico, riprendendo il lavoro avviato nei decenni precedenti (in particolare col progetto POLITE, pari opportunità nei libri di testo), purtroppo ignorato nelle Indicazioni Nazionali per la scuola superiore del 2010.

Rifiutando di lasciare la dimensione educativa alla formazione offerta da agenzie extracurricolari, l'educazione al genere può contribuire ad una formazione civile e intellettuale più completa: essa aiuta a riflettere sugli stereotipi sessuali, che tanto facilmente vengono riemergendo nelle nostre società, a combattere i pregiudizi, a sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali ricevuti. Di qui l'aiuto che essa può dare allo sviluppo di una società più giusta e tollerante, aperta al riconoscimento delle differenze, nel segno di un approccio critico alle idee e ai saperi, di una lotta più consapevole contro le discriminazioni sessuali e l'omofobia, e di una prevenzione efficace e capillare di schemi di comportamento violenti, frutto di stereotipi del passato incapaci di dialogare con le esigenze e le realtà dell'oggi. Privare la scuola pubblica di questo ruolo ci pare miope e ingiusto.

Il Direttivo della Società Italiana delle Storiche

TEMPO PIENO

FONTE: TUTTOSCUOLA

Cinque anni fa - era l’anno scolastico 2008-09 - prima della “cura Gelmini”, il tempo pieno della scuola primaria accoglieva il 26,6% degli alunni frequentanti, per complessivi 684.622 unità.

Le classi organizzate a tempo pieno erano allora esattamente un quarto (25%) del totale funzionante per complessive 34.317 unità.

Con la riforma, cosiddetta del ritorno al maestro unico (obiettivo fallito), il tempo pieno veniva salvato e se ne annunciava il potenziamento, anche se penalizzato (come le altre classi a tempo normale) con la riduzione delle compresenze.

Nel corso di questi ultimi anni gli effetti di quella riforma si sono assestati e consolidati. Cosa è successo al tempo pieno? Cosa è cambiato?

In questo anno scolastico 2013-14 vi sono 172.137 alunni in più che frequentano il tempo pieno: un aumento favorito anche dall’incremento complessivo della popolazione scolastica. Ma, se si pone attenzione all’incidenza di alunni a tempo pieno, la nuova percentuale corrisponde al 33%, che è come dire che in Italia un alunno ogni tre frequenta il tempo pieno ( http://www.tuttoscuola.com/ts_news_630-1.docx ).

In particolare su un totale di 2.597.451 alunni iscritti alla scuola primaria statale, 856.759 frequentano classi a tempo pieno.

Poiché nel periodo considerato, il salasso degli organici deciso da Tremonti-Gelmini ha determinato la chiusura di circa 5 mila classi di scuola primaria (da 137.095 a 132.131), ci si chiedeva quale effetto vi sarebbe stato sull’offerta di tempo pieno.

Ebbene, nonostante la notevole riduzione del numero delle classi, il numero delle classi organizzate a tempo pieno è aumentato di 7.130 unità: erano infatti 34.317 nel 2008-09, sono quest’anno 41.447.

Insomma, pur con meno compresenze per tutti, cinque anni fa era iscritto al tempo pieno solo un alunno su 4, ora lo è un alunno su 3.

da Tuttoscuola

SCUOLA MATERNA:IL SENATO AL LAVORO SULLE NUOVE REGOLE

FONTE: CORRIERE.IT

Scuola materna, si cambia
Il Senato al lavoro sulle nuove regole

Un disegno di legge per la riforma: serve un miliardo e mezzo per finanziare le strutture

di Valentina Santarpia

 



La scuola dell’infanzia costituisce il primo livello di istruzione e ne hanno diritto tutti i bambini e le bambine tra i 3 e i 6 anni. Almeno un bambino su tre prima dei tre anni, e in almeno nel 75% del territorio italiano, deve avere diritto ad un posto nell’asilo nido. Il personale educativo, sia per i nidi che per le scuole materne, deve avere una preparazione universitaria. E, novità assoluta, le aziende possono erogare dei «ticket» asilo per aiutare le famiglie a sostenere i costi proibitivi dei nidi. Ecco i capisaldi del ddl 1260, in discussione in commissione Istruzione pubblica al Senato: «Un provvedimento che, una volta diventato legge, sarà una vera e propria rivoluzione», assicura la senatrice Francesca Puglisi, tra le prime firmatarie del disegno di legge. Il piano è, in effetti, ambizioso: si parte con un investimento di 150 milioni per arrivare, a regime, ad un miliardo e mezzo di euro per coprire l’educazione dell’intera fascia 0-6 anni. Dove si trovano tutti questi soldi? Per cominciare, bisogna «escludere dal patto di stabilità gli interventi pubblici relativi al funzionamento» dei servizi zero-tre e tre-sei anni.

Le liste d’attesa alla scuola materna
L’offerta per i bambini sotto i sei anni attualmente in Italia è insoddisfacente, questa è la premessa: il 18% circa di tutti i bambini sotto i tre anni riesce ad avere un posto in un asilo nido pubblico, mentre il 94% di quelli tra i tre e i sei anni può frequentare la scuola dell’infanzia. Se sul fronte dei nidi siamo ancora lontani dall’obiettivo del 33%, fissato dal Consiglio delle comunità europee, su quello delle scuole materne abbiamo già raggiunto il traguardo del 90% fissato dall’Europa, ma non possiamo comunque cantare vittoria. Perché i tagli degli ultimi anni hanno visto stranamente diminuire, anziché aumentare, le chance di frequentare la scuola dell’infanzia: dal 98% di qualche anno fa, complici i tagli e l’aumento dei bambini extracomunitari, sono tornate le liste d’attesa.



Se ci sono gli asili, le donne lavorano di più
E le opportunità purtroppo cambiano molto da regione in regione, con delle conseguenze inaspettate: «Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia hanno raggiunto già gli obiettivi europei, e infatti in queste regioni l’occupazione femminile ha raggiunto il 60% - sottolinea la senatrice Puglisi - In Calabria, dove invece i servizi per l’infanzia sono scarsi e malfunzionanti, le donne lavorano poco più che in Pakistan, il 30%». Le disparità regionali sono anche evidenti per quanto riguarda la divisione delle competenze e delle spese tra Stato e enti locali: in Emilia Romagna le statali sono il 18%, nelle Marche l’80%.Significa, per capirci, che il Comune di Ancora avrà molti meno pesi rispetto a quello di Bologna, anche in termini economici. L’obiettivo del ddl è superare anche quest’aspetto: riequilibrare cioè i trasferimenti monetari in maniera tale che il costo del servizio sia per il 50% a carico dello Stato e il 50% a carico degli enti locali (Regioni e Comuni). Laddove lo Stato non interviene direttamente, deve sostenere i Comuni.
Il ticket asilo
Non è solo una questione di spartizione: ma anche di costi che le famiglie devono sostenere per un servizio che dovrebbe essere garantito a tutti. Proprio per tutelare le tasche dei contribuenti, ci sono due novità importanti nel ddl. La prima, è la norma che prevede che «la partecipazione economica delle famiglie utenti alle spese di funzionamento dei servizi non può essere superiore al 20% del rispettivo costo medio rilevato a livello regionale». La seconda introduce una interessante novità: e cioè che le aziende possano fornire ai propri dipendenti dei «ticket nido», sulla falsariga dei ticket restaurant. Il principio è che le aziende che non riescono a fornire un asilo aziendale, possano fornire alle famiglie un contributo, attraverso apposite convenzioni, di 150 euro al massimo. «Quando il governo Berlusconi aveva provato a dare incentivi perché le aziende costruissero nidi aziendali, non c’erano state molte richieste: l’Italia è fatta di piccole e medie imprese, che non hanno la possibilità di creare nidi interni. Mentre il ticket potrebbe funzionare: è un modo per incrementare lo stipendio del dipendente, invogliandolo anche a fare meno assenze, senza gravarsi di costi eccessivi». Il costo del servizio inoltre dovrebbe diventare, con la nuova legge, totalmente deducibile e con l’IVA detraibile integralmente.