lunedì 2 giugno 2014

genitori: condanna, biasimo, assoluzione o supporto?


Medico e Bambino 5/2014
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Genitori e figli. Tema antichissimo. E tuttavia, da molte parti si
è parlato di una svolta epocale nel rapporto tra le generazio
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ni, e soprattutto nel ruolo genitoriale, sulla cui crisi profonda c’è
accordo generale. I genitori sono stati accusati, soprattutto, di
non esserci in quanto tali: secondo una separazione di ruoli
troppo netta e semplificante, la madre nel suo, centrato sull’a
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more, la relazione, il contenimento; il padre nel suo, di legge,
guida, riferimento. Fin qui, potrebbe essere semplicemente la
conseguenza del fatto che ormai quasi il 50% dei nuclei fami
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liari non hanno più la struttura tradizionale - padre, madre e fi
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gli biologici della coppia primaria - e i ruoli si sovrappongono,
si mescolano, si surrogano. Ma ai genitori viene anche rim
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proverato di essere ripiegati su di sé, volti all’eterna giovinez
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za, preoccupati dell’esteriore, dell’apparente, della salute fisi
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ca piuttosto che mentale dei propri figli, o di proiettare ecces
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sive aspettative sulle spalle fragili di una adolescenza che ini
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zia presto e pare non finire mai.
Fatto nuovo: si è cominciato a condannare i genitori non solo
per gravi violenze o trascuratezze, ma per essere venuti meno,
in un modo o nell’altro, alle proprie responsabilità: dimenti
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cando il bimbo in auto, non sorvegliandone la frequenza sco
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lastica, non concedendogli adeguato sostentamento. Al di qua
delle condanne, si è levato, dai media come dagli operatori che
hanno a che fare con bambini e ragazzi, un moto di biasimo ge
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neralizzato nei confronti di una generazione di genitori inca
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paci. Una diffusa (sia tra i giovani più attenti che tra i genitori
evergreen
) rivista settimanale ha titolato: “Il vero problema de
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gli adolescenti sono i genitori” (Jennifer Senior,
New York Ma
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gazine
, riportato su
Internazionale
, 23 aprile 2014). E a chi di
noi non è capitato, venendo a sapere di vicende più o meno
sciagurate di questo e quel giovane, di pensare (e dire) “beh,
con quei genitori...”. Ci sono, sì, anche gli avvocati difensori.
Recentemente sulle colonne del
Corriere
si è scritto: come è
possibile oggi, nella instabilità crescente dei rapporti familiari,
ritenere che mamma e papà siano l’origine unica delle “devia
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zioni” di un figlio? (Paolo Di Stefano,
Corriere della Sera
, 2
aprile 2014). Letture più complesse, e vie d’uscita possibili, at
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tingono a sociologia e psicanalisi. Dalla “modernità liquida” di
Zygmund Bauman, che tutto pervade e trasforma continuamente
vanificando ogni punto di riferimento, alle sue conseguenze: “I
genitori sono diventati troppo deboli a furia di ritenere i propri
figli troppo deboli di fronte alle minacce del mondo”, come so
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stiene lo psicoterapeuta francese Aldo Naouri. È il nostro Mas
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simo Recalcati, in un grande libro (
Il complesso di Telemaco
, Fel
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trinelli 2013), a proporre una via d’uscita, ardua ma possibile:
dal Padre “evaporato” al Padre che propone come sua eredità
non l’autorità padrona di ieri, né l’assenza di oggi, ma l’esem
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pio di un desiderio, di un progetto.
Noi pediatri, che abbiamo una tradizione sul tema, a partire
da Winnicott, dovremmo ritornarci su. Tra l’altro, oggi sap
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piamo che l’effetto dei genitori sulla psiche in formazione dei
figli, ipotizzato e riconosciuto da tempo, è misurabile anche in
termini neurobiologici. Solo per fare un esempio, la serie di ri
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cerche coordinate da Joan Luby a S. Louis (Maternal support in
early childhood predicts larger hippocampal volumes at school
age,
PNAS
, 2012) ha dimostrato che il volume dell’ippocam
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po (area cruciale per la memoria e la “coscienza temporale”)
dipende dalla qualità del supporto materno, oltre che dalle
condizioni sociali della famiglia e da eventi avversi sopporta
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ti da piccoli. E possiamo facilmente constatare che l’impatto del
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l’ambiente mediatico è oggi molto più forte che in passato, ed
è destinato ad aumentare, sia sui genitori che sui bambini, fin
da piccoli. Ne consegue che le differenze tra bambino e bam
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bino, che una volta facilmente si attribuivano all’influenza del
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la famiglia, ora tendono a diminuire, riflesso della società glo
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balizzata e dei suoi mezzi di comunicazione. I genitori, nel be
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ne e nel male, meno possono. E meno credono di potere. Infi
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ne, come ben sanno i pediatri e qualunque altro operatore ab
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bia a che fare con i bambini e le loro famiglie, i genitori di og
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gi - la gran parte di loro - non hanno molti punti di riferimento.
Molti li cercano, ma sono confusi, insicuri quando va bene.
Quando cioè non sono stati risucchiati dal vortice conformisti
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co e condotti a ridurre bisogni e possibilità dei figli al consumo
dell’oggetto, a coltivare le loro performance specifiche, a di
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fenderli anche di fronte all’indifendibile violazione delle libertà
altrui, a essere preda dell’ossessione del contatto continuo.
Che vi sia una richiesta, un bisogno, forse non sempre esplici
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ti, di guida, di modelli, non vi sono dubbi.
Non si tratta dunque di discutere di colpevolezza o innocenza.
L’interrogativo è un altro: lasciare i genitori perdersi nel frulla
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tore globalizzante, o cercare di supportarli nel loro ruolo? Cer
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to, con le “grandi” politiche, sociali, economiche educative.
Ma anche nel “piccolo”, che più è a nostra portata, con infor
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mazioni, con rassicurazioni, con esempi, e con un sostegno a
più mani quando serve. Ce ne siamo occupati in passato (Apol
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lonio MG, et al. Supporto ai genitori: serve?
Medico e Bam
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bino
2005;24(9):589-98) e la conclusione di oggi non è di
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versa da quella di allora: serve e quindi si deve fare; se gli ef
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fetti della inadeguatezza parentale sono quelli documentati
da più parti, come possiamo esimerci, ognuno dalla sua posi
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zione, da un tentativo serio di dare una mano? In che modo?
Le evidenze, nel frattempo, si sono articolate. Il sostegno serve
se è competente, se ha una certa continuità (almeno un anno,
il primo), se comincia presto (da prima della nascita). Non può
servire quando è episodico, o quando non lascia spazio al
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l’interazione, all’ascolto. Un lavoro australiano, ancora in re
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visione, ha preteso di misurare un effetto sulla
self-confidence
dei neo-genitori dopo una o due o più viste a domicilio di per
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sonale fino ad allora sconosciuto. Non è questo di cui c’è bi
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sogno, non sarà certo questo a fare la differenza.
La storia di “Nati per Leggere” può essere illuminante sul cosa
si può fare, e come, e quando. Se la voce autorevole, perché
percepita come tale, del pediatra, trova il modo e i tempi giu
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sti per spiegare che il bambino, ancora piccolissimo, capisce,
“riceve”, immagazzina, apprezza la parola, soprattutto se uni
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ta all’abbraccio, al contatto, alla voce conosciuta; se la stessa
voce fa vedere al genitore come il bambino è già interessato al
primo libro, quello delle facce (e ad alcune in particolare: quel
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la del piccolo che piange cattura moltissimo), lo manipola, lo
mette in bocca, lo fa suo. Se quel genitore ha avuto, e se gli è
stato dato, il tempo per vedere e ascoltare, se la sua mente non
era distolta da mille altre preoccupazioni, allora quel genitore
può sperimentare da solo la magia di scoprire che può fare
qualcosa di nuovo, di non immaginato, e di verificare come sia
utile e immediatamente buono per il proprio bambino. E per sé.
È un esempio di cose semplici che si possono fare, a partire da
subito. Piccole cose a cui ne possono seguire altre, nel gioco

nell’ascolto condiviso, nell’incontro con altri, che possono far
scoprire un modo di essere genitori, soddisfacente, costruttivo
di un ruolo, di una identità, e contrastante l’omologazione.
Perché si può parlare la propria lingua, raccontare le proprie
storie, far vedere il proprio viso, usare cose semplici e di poco
costo, non rincorrere il cambiamento continuo, ma godere (il
bambino lo fa) della ripetizione. Questo può contribuire a crea
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re i presupposti per rendere possibile la missione ultima di un
genitore: quella, come propone Recalcati, di trasmettere il de
-
siderio, far sentire la propria fiducia nelle visioni, nei progetti
e nella forza dei propri figli. Cose difficili da trasmettere, se non
si seminano e si coltivano dentro di sé.
Sono, queste, piccole cose importanti che possiamo proporre
come individui, e contribuire a rendere possibili come gruppi
di professionisti e di cittadini. Nei primi anni, i più importanti.
Poi, certo, potranno venire le scuole per genitori (non inutili, ma
capaci di seminare solo dove la terra è già buona), il lavoro de
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gli educatori, e infine l’influenza dei pari e dei media. A quel
punto si complicherà, molto, il lavoro del genitore, e noi pe
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diatri potremo poco o nulla. Ma se avremo contribuito a far im
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maginare, e fare, le cose in modo diverso, qualcuno se ne ri
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corderà, sia i piccoli una volta grandi, sia i grandi una volta di
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ventati più deboli.
Che supportare i genitori nel loro ruolo (che Freud definì im
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possibile) sia difficile, lo sappiamo. Che sia più importante di
quanto lo sia mai stato è una tesi che si può sostenere con buo
-
ni argomenti.
Giorgio Tamburlini

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