venerdì 20 gennaio 2012


Vivalascuola. Gli adulti si impadronano della nostra vita


Pubblicato da vivalascuola su gennaio 16, 2012

Apatia, disinteresse per l’ambiente e per i coetanei, isolamento e chiusura rispetto a familiari e amici, frequenti mal di testa e, per i maschi, aggressività improvvisa, mentre le femmine spesso si sfiancano con maratone sui libri. “Sono i sintomi della ‘sindrome da prima superiore‘. Nel 2010 il 15,3% degli studenti di prima superiore non ha superato l’anno. Era il 15% nel 2009. Un dato decisamente più alto rispetto a quello dei bocciati alle medie: 4,3%”. Insomma, con il passaggio a liceo e istituti superiori, i bocciati quadruplicano. (vedi qui)

Gli adulti si impadronano della nostra vita

di Carla Melazzini
Per quanto difficile sia assumere il punto di vista di un altro molto diverso da noi, cercherò di descrivere l’esperienza di un alunno del biennio superiore attraverso i suoi propri occhi, fondandomi sull’osservazione quotidiana (e, spero, empatica) di quanto egli comunica con le parole, ma soprattutto con i suoi gesti e comportamenti.
Il ragazzo che entra in un istituto tecnico superiore porta sulle spalle dagli otto agli undici anni di scuola, che hanno agito su di lui in un triplice modo.

•Primo modo: spegnendo progressivamente quello che nel bambino è il bene più prezioso: la curiosità e il piacere di conoscere. (All’inizio di quest’anno ho chiesto alle due classi del biennio – una cinquantina di ragazzi dai 13 ai 18 anni – di formulare dieci perché che rivestissero ai loro occhi una importanza fondamentale. Il risultato mi ha lasciata stupefatta: il contenuto e soprattutto la formulazione dei perché erano quelli del bambino che si affaccia sul mondo ignoto: perché il mare è salato e infinito; perché la terra è rotonda e gira; perché il cielo è azzurro; perché si nasce; perché si muore; perché esistono tante lingue diverse; perché gli uomini sono così cattivi, e così via, come se fosse la ripresa di un discorso lasciato interrotto e senza risposte tanti anni prima).

•Secondo modo (in gran parte responsabile di quanto esposto nel punto precedente): trasformando la realtà viva in materie scolastiche che evitano le domande del soggetto e sono appannaggio inalienabile del docente, e sottraendo alle parole pressoché ogni rapporto con la realtà stessa.

•Terzo modo (che è la conseguenza naturale dei primi due): convincendo il ragazzo che per ciò che sta facendo a scuola non valga la pena di assumersi la fatica e il rischio insiti in ogni serio apprendimento.

Il risultato di questo triplice processo viene rovesciato addosso al ragazzo in forma capovolta, ossia: non sei disposto ad impegnarti ad apprendere le materie scolastiche che danno accesso alla conoscenza della realtà, cioè non sei scolarizzato né scolarizzabile.



Così recitano, nella sostanza, gli atti ufficiali che destinano i ragazzi o all’“inserimento immediato nel mondo del lavoro” (ineffabile eufemismo, specie nelle nostre contrade), o alle scuole di categoria B, professionali e tecnici.

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