Scuola, come è andato a finire il Sistema Nazionale di Valutazione
di Marina Boscaino | 7 agosto 2013
Se abbiamo davvero a cuore il tema della valutazione, noi insegnanti dobbiamo capire due cose: 1) non si può cavalcare l’emergenza in maggio (quando si celebrano i test Invalsi) e dimenticarsene poi per tutto il resto dell’anno; 2) non si può più – grazie alla nostra precedente inerzia, ma anche per motivi di opportunità culturale e miglioramento del sistema scolastico – dire no senza se e senza ma alla valutazione; bisogna, casomai, prendere parte attiva al dibattito e contribuire concretamente alla determinazione di un’idea di valutazione culturalmente significativa, esigendo piuttosto quegli spazi che ci sono sempre stati negati e che noi abbiamo accettato ci venissero interdetti. Se non riflettiamo su questi elementi, qualsiasi posizione rischia non solo di diventare inattendibile, ma anche di essere irricevibile, considerando l’andamento delle politiche scolastiche su questo tema da Moratti ad oggi e l’arroganza istituzionale con cui è stato portato avanti.
Detto questo: perché nessuno parla del fatto che il 4 luglio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 il Dpr 80 del 28 marzo 2013, contenente il Regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione, entrato in vigore il 19 luglio? Eppure quel regolamento suscitò – dopo la sua approvazione surrettizia ed intempestiva da parte del governo Monti, ad abbondante scadenza di mandato – proteste sia nel merito che, appunto, nel metodo. Sono stati proprio l’inerzia e il disinteresse del mondo della scuola a far sì che nel silenzio generale dal prossimo anno il famoso sistema “a tre gambe” della valutazione (Invalsi, Indire, Ispettori) si applichi in quanto legge. Vuol dire aver abdicato a qualsiasi ruolo e funzione di “ricerca, sviluppo, sperimentazione”; aver cessato di proporre e di esigere un ascolto concreto, nonché il relativo riconoscimento che solo competenza, esperienza e statuto professionale di docenti possono condurre all’elaborazione partecipata di un sistema di valutazione che non sia – come quello che subiremo – piovuto dall’alto e basato su principi asfittici e non condivisi. Non abbiamo alcun diritto di lamentarci, dunque, dal momento che non abbiamo nemmeno tentato – con il nuovo governo – di spiegare il senso di un ostruzionismo a questo modello valutativo (che ora è legge), che non è mai significato ostruzionismo tout court alla valutazione, ma a un sistema di misurazione legato a doppio nodo con premialità, meritocrazia, egemonia di un organismo governativo (l’Invalsi), disinteresse per una concezione di valutazione che abbia come primo obiettivo l’intervento costruttivo su situazioni critiche o carenti.
I risultati dei test Invalsi, prontamente pubblicati dal Miur, hanno peraltro confermato quanto già si sapeva: tra le voci dei vari commentatori degli esiti poco lusinghieri emersi, ben ha spiegato Giorgio Israel, che sottolinea come il rincorrere “mode” didattiche nel nostro Paese, non ultimo il “teaching for testing” – la subordinazione della didattica alla risoluzione dei test come principale obiettivo – abbia ibridato le discipline e ne abbia impoverito la comprensione.
È di questi giorni la polemica su quello che sarà – e non poteva chiamarsi diversamente – il VCamp, annunciato dal commissario straordinario, Paolo Sestito, dell’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo d’istruzione e formazione): dal prossimo 25 agosto al primo settembre cento tra docenti e dirigenti di tutt’Italia parteciperanno a una scuola estiva di formazione sulla valutazione. Requisiti per la partecipazione: non meno di tre anni di ruolo per i dirigenti, cinque per i docenti, che dovranno essere stati collaboratori del dirigente scolastico, presidi incaricati o titolari di funzioni strumentali; il personale prescelto dovrà avere ancora davanti a sé almeno cinque anni di servizio da svolgere. Sono stati delegati a ciascun direttore di ogni Ufficio Scolastico Regionale l’individuazione e la segnalazione di 200 nominativi, tra i quali ulteriormente scegliere sulla base dell’esito di una selezione. Le spese di viaggio, vitto e alloggio sono a carico o degli aspiranti corsisti o degli uffici scolastici regionali di provenienza; quelle di partecipazione alla scuola estiva saranno a carico di Invalsi.
Piovono da più parti segnalazioni sulle pratiche non proprio trasparenti adottate per il reclutamento dei candidati. Del resto non è un mistero per nessuno che – trasversalmente, a parte rari casi sporadici, da destra a sinistra – chi ha messo finora mano al tema della valutazione – nella sequenza di ministri che si sono alternati dopo Moratti – ha preferito poter contare su personale disposto a battere i tacchi e mettersi sull’attenti di fronte alle pratiche pedestri e allo scimmiottamento delle metodologia di un’Europa di maniera, piuttosto che affrontare la complessità del problema, allargare il dialogo e accettare il dibattito critico, produrre ricerca, trovare soluzioni condivise. Ma la scuola in quanto tale ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale per assecondare l’affermazione del pensiero unico. Ora il nostro silenzio, l’assenza di informazione, le assemblee di formazione disertate, la solitudine in cui molti di noi si sono trovati ad intervenire, producendo uno sforzo di ricerca non riconosciuto e spesso inascoltato, ricadranno sulla scuola tutta, sui nostri studenti e su una classe docente che negli ultimissimi anni è stata capace di mobilitarsi consapevolmente, omogeneamente e coerentemente solo davanti al pericolo delle 24 ore. Troppo poco. Ci sono battaglie culturali e politiche che non possono essere lasciate a sparute avanguardie di volenterosi. http://www.ilfattoquotidiano.