FONTE: MICROMEGA
Febbraio, tempo di iscrizioni scolastiche.
Tempo anche in cui alunni e famiglie devono decidere se avvalersi o
meno dell'insegnamento della religione
cattolica.
Nulla di nuovo, nulla di strano. Eppure “Avvenire”, quotidiano dei
vescovi italiani, segnala quest'anno una “grave anomalia”: intere
classi di studenti potrebbero non scegliere l'ora di religione.
di Adele Orioli
Per
gli studenti è tempo di iscrizioni per il prossimo anno scolastico
(entro il 28 febbraio) e “Avvenire”, il quotidiano dei vescovi italiani,
ci informa allarmato
dell'esistenza di una “strana confusione”, a suo dire foriera di gravi
danni per alunni e famiglie, per quanto riguarda l'Insegnamento della
Religione Cattolica (Irc).
Ma facciamo un passo indietro.
All'atto dell'iscrizione in una scuola pubblica di ogni ordine e grado
viene di norma consegnato un modulo (modello B) con il quale è possibile
scegliere se avvalersi o meno dell'Irc; i non avvalentesi devono invece
attendere l'inizio dell'anno scolastico per ricevere un ulteriore
modulo (modello C) e decidere se frequentare la cosiddetta ora
alternativa. Questi inspiegabili mesi di “differita” portano quasi
sempre al risultato, facilmente prevedibile, di procrastinare, in alcuni
casi
sine die, l'organizzazione, la programmazione e l'avvio degli insegnamenti alternativi alla religione.
In
questo modo, prima ancora del suono della campanella, vengono posti su
un piano differenziato e fortemente discriminante nell'accesso
all'offerta formativa tutti coloro che scelgono a febbraio di non
frequentare religione a settembre. Questo nonostante l'ormai acclarata
obbligatorietà dell'attivazione di corsi alternativi (Consiglio di
Stato, sentenza n. 2749 del 7 maggio 2010), con costi a carico dello
Stato e non del singolo istituto (nota Miur 22 marzo 2011) e nonostante
sia possibile ottenere un risarcimento pecuniario in caso di
inottemperanza della scuola (ordinanza del tribunale di Padova n. 1176/
2010). Non a caso proprio sul punto specifico è attualmente pendente al
Tar del Lazio un ricorso promosso dall'Uaar, volto a far annullare la
consegna posticipata del modello C.
Quest'anno però l'allegato
tecnico alla circolare Miur di gennaio – ma non la circolare stessa –
parrebbe invece se non suggerire quantomeno consentire (da qui l'allarme
dei vescovi) la distribuzione in contemporanea al modello B anche del
temutissimo modello C, garantendo quindi non solo parità di trattamento a
tutti gli studenti, frequentanti o meno l'Irc, ma permettendo anche
alle dirigenze scolastiche una funzionale organizzazione anticipata dei
corsi.
Nicola Incampo, responsabile Irc del sito culturacattolica.it
ci
avverte di come non sia questione di poco conto: fornire entrambi i
moduli comporterebbe infatti “gravi anomalie”. Quali siano, queste
possibili anomalie, non è necessario arguirle con malizia, perché è lo
stesso Incampo a elencarne alcune: “la formazione di classi intere di
non avvalentisi, oppure la collocazione dell'ora di religione alla prima
o all'ultima ora di lezione, con un inevitabile svilimento della
materia”.
Che “Avvenire” difenda l'incongruente presenza dell'ora (ore, visto che fino alle medie
sono due a settimana) di religione cattolica in uno Stato che si definisce laico è pure comprensibile:
Cicero pro domo sua, e a ognuno il suo mestiere. Che ne faccia il simbolo della gratuità, del bello in quanto non comprabile, come nella recente
rubrica
di Andrea Monda, fa come minimo sorridere amaro, considerando il fatto
che il costo sostenuto dallo Stato italiano per insegnanti scelti dai
vescovi supera il miliardo di euro l'anno. Ma nel caso dei famigerati
moduli B e C, si vola decisamente più alto. Senza esitazione o pudore
alcuno si bollano come anomalie gravi, lesive di non ben precisati
diritti, le conseguenze che si creerebbero semplicemente esercitando,
così come dovrebbe essere garantito in una scuola pubblica, una completa
e paritetica libertà di scelta in ordine alla formazione religiosa
propria o dei propri figli. Conseguenze peraltro prevedibili e
“naturali”, dando credito all'evidenza di una progressiva
secolarizzazione della società.
Così come non si paventerebbe
alcuno “svilimento” se la materia fosse davvero considerata com'è
definita sulla carta dagli Accordi di Palazzo Madama del 1984, e cioè
facoltativa, altrettanto non dovrebbe rappresentare un problema la sua
collocazione oraria. Eppure, ante 1984, quando l'Irc era obbligatoria
salvo esonero, era la stessa Cei ad auspicare una sua collocazione alla
prima o all'ultima ora, per connotare la giornata scolastica in modo
religiosamente pregnante. Invece ora, secondo Incampo, gli studenti
“sarebbero tentati di non avvalersi anche solo per saltare un'ora di
scuola”. Vien da dire: embè? Se la forza di seduzione, si passi il
termine, di una materia facoltativa non è sufficiente ad attrarre
studenti il problema, ammesso che di problema si tratti, non si risolve
tramutandola in obbligatoria, imponendo subdoli e penalizzanti vincoli
al di sopra del dettato concordatario e costituzionale. Uno fra tutti,
l'attribuzione di crediti in sede di esame di maturità alla sola Irc. E
forse, tralasciando per un attimo i non risibili risvolti economici, il
nodo resta questo: se l'ora di religione non venisse in qualche modo
imposta, se qualsivoglia altra scelta non venisse ostacolata e privata
di pari dignità, crollerebbe il numero dei suoi frequentanti, mostrando
l'artificiosità dell'immagine che vede un'Italia sempre (e sempre più,
per taluni) cattolica e fotografandone una sicuramente più simile alla
realtà attuale.
Poco importa che trasformando nei fatti una
facoltà in un obbligo per l'intero percorso formativo in una scuola
pubblica sistematicamente e quotidianamente vengano limitati quando non
azzerati il diritto alla libertà di coscienza degli studenti e alla
libertà di educazione dei genitori. Anzi, al contrario, è proprio
l'esercizio di questi diritti, del diritto fondamentale di libertà di
religione (anche libertà
dalla religione), a venire senza
mediazione e senza scandali classificato come “grave anomalia” del
sistema-scuola, per risolvere la quale si auspica un immediato
intervento del Miur, nell'intento di evitare “disagi alle scuole e alle
famiglie”. Che poi non si vede in che modo si creerebbero, questi
disagi: il diritto all'educazione cattolica è in ogni caso garantito, e
anzi, stante il divieto esplicito di accorpare le classi per questa
materia, è sufficiente un solo alunno avvalentesi per rendere
obbligatorio un insegnante di Irc. Ma qui si torna, o meglio si dovrebbe
tornare, al vecchio discorso di elementare coerenza giuridica che,
mutatis mutandis,
è applicabile a tutti i temi sbrigativamente detti “eticamente
sensibili”, dall'aborto all'eutanasia, dai pacs al matrimonio
omosessuale. La constatazione che l'estensione di un diritto
(fondamentale per giunta) a nuovi soggetti non comporta in alcun modo la
lesione, l'erosione o l'esaurimento di un diritto altrui già tutelato
dall'ordinamento.
Così come il diritto all'interruzione di
gravidanza non tocca, anzi rafforza per mutuo riconoscimento, il diritto
a non abortire, così come la tutela di coppie dello stesso sesso non
annulla i matrimoni eterosessuali, altrettanto l'esercizio di una scelta
in condizioni paritetiche non lede il diritto di chi di scelta ne vuole
fare una differente. Eppure l'intervento di compressione richiesto al
Miur verrà probabilmente effettuato con celerità, considerata anche la
linea seguita dalle disposizioni ministeriali precedenti. In effetti, un
rischio lo si corre: il rischio di quella strana confusione che è la
libertà di scelta.
(6 febbraio 2014)