sabato 17 maggio 2014

quanto costa mandare un figlio a scuola


fonte: save the children

Libri, corredo scolastico, spostamenti e mense: le spese che deve sostenere una famiglia per dare un'istruzione al proprio figlio sono altissime. E pensare che l'istruzione è un diritto.

   



Quanto costa mandare un figlio a scuola.
L’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita
Costituzione italiana, art. 34
Istruzione e studio sono diritti che alle famiglie italiane costano caro e amaro. Costano caro, perché durante gli anni della scuola i genitori sono costretti a sborsare somme di denaro che possono mettere in crisi bilanci familiari resi precari dalla crisi economica (secondo l’Istat le persone residenti in Italia a rischio di povertà ed esclusione sociale sono il 29,9% contro il 24,8% della media europea). Costano amaro anni dopo, quando il giovane, terminato il suo ciclo di studi, deve immettersi nel mercato del lavoro scontrandosi con disoccupazione e precarietà. Ma lo studio – come si osserva troppo di rado – svolge un ruolo sociale e politico al di là dell’accesso al mondo professionale, di cui pure dovrebbe fornire chiavi e mappa. Per questo motivo il diritto all’istruzione e quello allo studio (il primo riferito alla scuola dell’obbligo, il secondo a superiori ed università) sono contemplati nella nostra Carta costituzionale all’articolo 34:
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Cosa resta della fruibilità delle scuole e delle università italiane? La costruzione – lenta, inefficiente, parziale – di tutte quelle premesse necessarie a rendere l’istruzione accessibile potrebbe essere disfatta dalle conseguenze paralizzanti della crisi. Libri, trasporti, corredo scolastico, mensa e tasse potrebbero diventare un ostacolo – e per molti già lo sono – all’esercizio sancito dall’articolo 34 della Costituzione.
Rette, tasse e contributi
Libri
Corredo scolastico
Trasporti
Mensa
Esclusione dei genitori dal mondo del lavoro

Rette, tasse e contributi


300 € al mese, tanto costa iscrivere un bimbo ad un asilo nido comunale
Oss. periodico sulla fiscalità
I costi più salati, come ricordato dall’ “Osservatorio periodico sulla fiscalità” della Uil e ripreso da Linkiesta, sono all’inizio e alla fine del proprio ciclo di apprendimento. La copertura degli asili nido che dovrebbe essere secondo gli obiettivi europei del 33% (nella fascia di età 0-2 anni), ma arriva a stento al 26,5% con l’Emilia Romagna,  mentre la Calabria, con il 2,5%, dista quasi 31 punti percentuali dal target europeo. Una “rarità” che incide ai suoi costi: un asilo nido comunale costa in media di 300 euro al mese per bambino (con punte di più di 500 euro nel Nord). L’arrivo alla scuola primaria e secondarie comporta per le famiglie un significativo alleggerimento dei costi di iscrizione, poiché non bisogna pagare nessuna tassa in virtù dell’obbligo scolastico fino ai sedici anni.
24.000 € per un quinquennio di università tra tasse e libri
Oss. periodico sulla fiscalità
Per gli ultimi due anni di quarta e quinta bisogna pagare i tributi di iscrizione, frequenza, esame e diploma: circa 65 euro in due anni. Tuttavia alcune scuole chiedono il contributo libero – solitamente cento euro – sul proprio conto corrente ai genitori, che non sempre sono a conoscenza della facoltatività del pagamento. Il vero onere, tuttavia, viene da tutti i costi correlati, quali libri e corredo scolastico. Gli ultimi anni di istruzione tornano a diventare cari, con costi universitari che, pur cambiando per fascia di reddito, città e facoltà, hanno in comune rette semestrali, tasse regionali e libri la cui spesa complessiva ha un valore medio di 24.000 € in cinque anni per studente.

Libri


1.550 euro è il costo complessivo dei libri di cinque anni di liceo classico
Miur
Ogni anno il Ministero dell’istruzione prevede un tetto massimo di spesa libri per tipologia di scuola: nel 2012 nella scuola primaria ammontava a 147 euro in cinque anni, ma la cifra aumenta con l’arrivo nelle secondarie. Per il 2012/2013 i tre anni di secondaria di primo grado avevano un tetto di spesa di 543 euro, mentre in quella di secondo grado incide notevolmente la tipologia di scuola. Secondo il decreto del Miur, le più costose sono il liceo classico (1550 euro in cinque anni) e quello scientifico (1461 euro in cinque anni). Il decreto ministeriale 781/2013 ha ridotto per l’anno in corso i tetti di spesa per le secondarie del 10%, ma è previsto esplicitamente che si sfori tale soglia sempre del 10%.

Corredo scolastico

97-106 €: scrivere costa caro
Altroconsumo.it
Arriviamo poi al corredo scolastico, ossia all’acquisto di grembiuli e di tutti quegli elementi di cancelleria necessari allo studio (penne, matite, quaderni, righelli, etc.). Secondo un’indagine di Altroconsumo.it del 2012 è stata di 97 euro a bambino per prodotti economici e di 106 euro per quelli di marca, con un appiattimento al rialzo delle differenze. Infatti, mentre i beni della grande distribuzione (più economici) sono aumentati dell’8%, quelli di marca sono cresciuti del 3%.

Trasporti

Solo il 31,4% di bambini e studenti non ha spese di trasporto
Istat
Prima ancora di studiare, a scuola bisogna arrivarci. Statistiche aggiornate sull’argomento non sono disponibili, ma è possibile osservare quali sono i mezzi prescelti dagli studenti per raggiungere scuole ed università. Secondo i dati Istat riferiti all’anno 2013, la maggior parte di bambini e studenti universitari si reca a scuola o all’università muovendosi a piedi (29%) o in bici (2,4%), mentre il restante 68,6% dovrà sostenere costi per abbonamenti e carburanti.
Valori riferiti al 2013 sullo spostamento verso i rispettivi luoghi di istruzione di bambini di scuole di infanzia e primarie e studenti di secondarie ed università fino a 35 anni di età.

Mensa

72 € la soglia minima a Vigevano
Save the Children Italia
Il prolungamento degli orari scolastici impone spesso agli studenti di restare nell’istituto ad ora di pranzo, dando modo di poter usufruire – secondo regole stabilite singolarmente da ogni comune – del servizio di refezione scolastica. L’associazione Save the Children ha monitorato 36 comuni italiani per mettere in luce le pratiche di accesso alle mense scolastiche e le grandi differenze da città a città. Mentre in alcuni comuni l’esenzione al pagamento della quota di contribuzione per la mensa scolastica non è mai prevista (Palermo e Parma, ad esempio), in altre è possibile beneficiare del servizio secondo regole prive di qualsiasi uniformità sul territorio nazionale. Le tariffe, stabilite secondo il modello ISEE, si differenziano a tal punto che la soglia più bassa a Vigevano è di 72 euro, mentre a Napoli è di 5. 
Non mangiano a scuola i figli di quei genitori che non sono in regola con i pagamenti del contributo in 11 di quei comuni presi in esame dall’organizzazione indipendente (Brescia, Adro, Udine, Padova, Verona, Pescara, Perugia, Pisa, L’Aquila, Campobasso, Lecce). In particolare le scuole di Brescia, Vigevano e Campobasso vengono segnalate anche per altre prassi negative: hanno le rette più alte e non prevedono nessuna esenzione, neanche per famiglie in difficoltà.
Se in 25 comuni su 36 monitorati i non residenti devono pagare la quota più alta di contribuzione per la refezione, a Vigevano i figli dei genitori non in regola con i pagamenti vengono fatti accomodare in una sala diversa dalla mensa, in cui i bambini devono consumare il loro pasto portato da casa, isolati dai compagni di classe. Una pratica contro cui si sono espressi due genitori del comune lombardo che hanno chiesto ad Andrea Sala, Sindaco di Vigevano, di annullare la delibera numero 51/2012 “perché viola la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza”. La causa è stata adottata da Save the Children, che ha promosso una petizione online per l’abolizione della delibera.
Circa la pratica bresciana di far pagare di più i genitori non residenti nel comune, Antonella Inverno, Responsabile Area Legale di Save the Children Italia, ha osservato che il requisito della cittadinanza nel comune di appartenenza della scuola “può avere effetti discriminatori nei confronti dei bambini che non risiedono in quel territorio, che poi, spesso, sono figli di genitori migranti o provengono da famiglie più in difficoltà che vivono fuori dei centri cittadini”.

Esclusione dal mondo del lavoro di uno dei genitori


Una madre su quattro lascia il lavoro nei primi due anni di vita del figlio
Istat
Una riflessione a parte merita il destino di quei genitori, troppo spesso le madri, costretti a preferire l’abbandono di qualsiasi velleità lavorativa riconosciuta per sopperire all’assenza di sostegno da parte dello stato. Come visto, gli asili nido hanno costi di iscrizione esorbitanti, che spesso costringono le madri a dedicarsi esclusivamente alla cura dei figli, se, prima del concepimento, prive di lavoro o vincolate da contratti a progetto. Non sempre, infatti, è possibile tornare a lavorare – o ricevere un primo impiego – con retribuzioni che quantomeno coprano le spese dell’asilo. Nel 2012 i dati Istat riportati da La Stampa hanno segnalato che nel 2010 il 64,7% delle donne incinte aveva un impiego, ma nei due anni di vita del figlio la percentuale è scesa al 53,6% (il 23,8% è stato licenziato, al 15,6% non è stato rinnovato il contratto, il 56,1% si è dimesso). Anche questi casi – non pochi – vanno inclusi nei costi sostenuti dai genitori per mandare i figli a scuola. Un costo sociale, ancor prima che esclusivamente economico

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