“Se consideriamo i principi che hanno guidato i riformatori della scuola italiana negli ultimi cento anni, vi ravvisiamo persistente il dualismo di cultura e utile, e questo orientamento: distinguere la scuola “formativa”, per minoranze e cioè aristocratica, dalla scuola per la massa, a carattere strumentale ed esecutivo.”
Pongo a incipit di questa mia riflessione sull’agire politico nella scuola una anacronistica citazione del 1960, da una pubblicazione della Società Umanitaria di Milano. D’altra parte ritengo che sia necessaria una certa dose di anacronismo nell’affrontare il tema scuola nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione. Soprattutto se ci riferiamo alla sua seconda parte: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La premessa che vorrei porre è la consapevolezza della crisi di civiltà che stiamo attraversando. Crisi che è auspicabile dovrà risolversi con la transizione a un altro tipo di società, che chiameremo della decrescita. I contorni di questa altra organizzazione sociale sono ancora poco definiti e definibili, ma certamente avranno a che fare con il nostro articolo 3 e con la rimozione degli ostacoli per il pieno realizzarsi della persona. In questo orizzonte il territorio della scuola e della formazione è di primaria importanza proprio per liberarsi dalla funzione di addestramento al consumo che anche la scuola odierna promuove.
Esiste da oltre un secolo nella scuola italiana il dualismo tra cultura e utile. Se dei grossi passi in avanti nella soluzione di questa scissione ci furono (prima dei tagli orizzontali dello scorso governo) nella Scuola Primaria e anche in quella dell’Infanzia, lo stesso non possiamo dire per la scuola Media e Superiore.
La mancanza di un’analisi di cosa sia l’Istruzione tecnica e la Formazione professionale nel nostro paese è grave. Lo è maggiormente se consideriamo che almeno la metà degli adolescenti italiani si iscrivono a quel tipo di scuola superiore.
Il livello di destrutturazione di tale istruzione è ancora più alto di quello che è avvenuto nei licei. E’ evidente il disinvestimento verso questo tipo di formazione. Frutto della generale trasformazione della scuola in parcheggio per i minori, ma anche del persistente dualismo tra cultura e utile. Proprio quel dualismo che fu alla base del testo della Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana [1].
Ritengo che, proprio nell’orizzonte della decrescita, questa opposizione tra intelligenza pragmatica e formale, sia da sollevare e tentare di risolvere. Avremo necessità di recuperare saperi e conoscenze strettamente legate al saper fare e questo servirà nel processo di liberazione dai modelli di consumo e nell’ottica di una maggiore auto-produzione dei beni e delle merci, nonché in quella della riparazione degli stessi.
Vi pregherei di non sottovalutare questo aspetto. Chi oggi compie pratiche di questo genere lo fa con una logica di nicchia e come scelte individuali, non cogliendo il potenziale culturale e politico che la diffusione di massa di tali pratiche avrebbe.
In questo la scuola dovrebbe assolvere un ruolo centrale. Sia durante il processo che per la sua conclusione, ma su questo tornerò.
Credo che l’asse dell’Intelligenza della mano sia da promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, dalla scuola Materna all’Università, non come sottomateria per i proletari, bensì come strumento di emancipazione e acculturazione per tutti
In questo ho incontrato esperienze e letture interessanti. Provo a citarne alcune.
Per quanto riguarda la fase evolutiva che va dai tre anni ai dieci il metodo di Bruno Munari [2] è molto fecondo. Riesce infatti a introdurre nell’evoluzione del bambino la pratica del laboratorio e del lavoro cooperativo nella cornice culturale della produzione artistica.
Per quanto riguarda i ragazzi mi riferisco a parte dell’elaborazione di Enzo Mari [3]. La sua visione del prodotto e del processo è molto al di fuori della logica di mercato e introduce una dimensione progettuale che mette insieme cultura umanistica e capacità tecnica.
Entrambi questi intellettuali sono milanesi e hanno avuto a che fare nei ’60 (prima del fatidico ’68) con la Società Umanitaria e le sue sperimentazioni didattiche. Credo che anche in quella esperienza ci sia molto da attingere. Mi spingerei fino a citare anche l’esempio del Bauhaus [4].
Molti insegnanti si lamentano della continua mancanza di fondi per la scuola, e del precipitare della funzione della Scuola pubblica e Statale. Hanno ragione nei contenuti, ma cercherei di fare attenzione a non incentivare i facili meccanismi della guerra tra poveri, ovvero accentuare l’incomunicabilità che sussiste e si aggrava tra docenti, genitori e studenti.
Le condizioni di vita e di lavoro stanno peggiorando per ampi strati della popolazione. Possiamo dire che la crisi sta modificando redditi e stili di vita sia del ceto medio che di quello popolare. Dentro la scuola, per un osservatore esterno come me, si riproducono queste asimmetrie. Questo succede tra docenti e personale di ruolo e precari, ma anche tra docenti e i frequentatori. del servizio scuola. Ovvero gli insegnanti di ruolo devono essere consapevoli di essere ancora titolari di diritti che ampie fasce della popolazione si vedono sottrarre. Non sono privilegi, sono diritti, ma possono essere facilmente scambiati. Questa è la fenomenologia della guerra tra poveri.In questo contesto è importante affermare la necessità di un’idea regolativa di scuola pubblica statale e nazionale, ma dobbiamo avere anche la capacità di sviluppare coalizioni tra tutti quei soggetti che della distruzione della scuola pubblica stanno pagando e pagheranno le conseguenze. La frantumazione sociale insieme ai tentativi di riforma hanno creato delle notevoli differenze in termini di servizio non solo e non tanto tra scuole di contesti lontani, ma spessissimo anche tra quelle confinanti. Questo aggrava gli effetti della crisi, e rende necessario il sostegno delle comunità locali nella difesa del territorio scuola.
La difesa della scuola pubblica statale è il punto di partenza.
Non posso ora definire quale sarà quello di arrivo. Troppo incerti sono gli effetti delle crisi che stiamo attraversando per stabilire quale sarà il contesto politico e giuridico della scuola del futuro.
All’interno di questo processo si sta sviluppando un fenomeno interessante. Cresce, soprattutto per la scuola Primaria, la partecipazione attiva dei genitori nel sostenere e difendere l’educazione dei propri figli. Sono certamente tante le associazioni, registrate o di fatto, che stanno raccogliendo fondi per sostenere la propria scuola, per garantire questo bene comune ai propri figli, per far finta che sia una realtà politica irrilevante. Ne abbiamo avuto un assaggio quando facemmo la campagna di Pinocchio per la scuola pubblica e statale [5]; il nostro appello in rima letto da Paolo Poli e che è circolato molto sul web. Se andate a scorrere chi ha ripreso quel nostro appello troverete molte realtà di quel tipo. Ovviamente sono riflesso dell’impreparazione e della parzialità di questo tempo. Ma il lavoro politico sta proprio nel rapportarsi anche a loro, nel coglierne i limiti e le potenzialità
Qui vorrei introdurre una proposta. Perché non proviamo a contattarle una a una, farci spiegare in quale modo stanno difendendo la loro scuola, riservargli uno spazio? Credo che questo lavoro ci consentirebbe di capire meglio cosa si sta muovendo in quel contesto e calibrare il nostro intervento.
Sappiamo che le agenzie formative si sono moltiplicate, indebolendo sia la funzione educativa della famiglia che quella dell’istituzione scuola. Questo aspetto andrebbe molto approfondito. Non sarà possibile nessuna transizione senza che si inneschino dei processi di critica alla società dei consumi e dello spettacolo. Tali processi avverranno se in molti cercheranno strumenti di disvelamento della realtà. Questa ricerca non avviene nella solitudine della meditazione (o può avvenire, ma per pochi), bensì è un prodotto della relazioni. La società che chiamiamo della decrescita avrà una fortissima componente relazionale e di scambio non mercificato. La scuola sarà la palestra per questa transizione.
La società odierna ha rinchiuso ognuno nel proprio piccolo mondo domestico.
Questo ha effetti devastanti specie sui più piccoli. Il mondo dei bambini è troppo rinchiuso tra giochi di plastica, televisione e supporti elettronici vari. Dobbiamo fare in modo che siano strumenti tra gli altri, cioè integrare l’esperienza tecnologica e virtuale – ormai ineludibile – con l’esperienza fisica del mondo. Manca quasi totalmente il gioco tra pari, la scoperta del mondo, la relazione con gli adulti che non siano insegnanti e genitori. E questo credo sia terreno di forte coalizione tra le varie componenti della scuola.
E’ giusto che questi bambini frequentino la scuola e che si preparino a essere cittadini. Ma è altrettanto necessario che possano, attraverso il gioco libero, fare esperienza e formare il loro carattere.
Non vedo altro luogo in questo momento storico che non sia la scuola che possa permettere l’inizio di una nuova società relazionale.
Voglio dire che, una volta terminate le lezioni, quell’ edificio, presente in ogni luogo della nostra penisola, può essere il luogo di incontro e di relazione tra i bambini, gli adolescenti e gli adulti. E questo proprio a causa della desertificazione di altri luoghi di socialità.
Quindi ritengo che dovremmo interpretare l’Educazione ai media in questa chiave. Impostando un lavoro di attività varie da proporre nei vari contesti. Intendo quindi sia attività di vero e proprio dopo scuola che di gioco libero, che di destrutturazione del Video - bambino [6] attraverso cicli di incontri maggiormente concernenti le tecniche di produzione dei media. La capacità critica verso i media viene sviluppata se il contesto relazionale per la crescita del bambino è ricco, penso, quindi, che l’attività di vera e propria educazione al linguaggio mediatico debba essere solo una parte delle cose da fare in questo contenitore.
Direte che è la trasformazione della scuola in oratorio laico. Sì, sarà una visione un po’ da Scuola di Barbiana, ma è politicamente doveroso che ci si impegni fattivamente nel realizzarlo. Direte anche: perché non farlo in altri luoghi più adatti? E invece no, è importante che avvenga proprio negli edifici scolastici. E’ un interpretazione del termine laico che mi porta a ritenere quel luogo come quello adatto a svolgere questa funzione di contenitore durante la transizione.
L’accezione di laico la intendo sia culturalmente e religiosamente, che, permettetemi, socialmente e politicamente. Non è l’interclassismo a portarmi a proporre tale tipologia di azione politica. E’ l’esatto contrario, ovvero la consapevolezza che il bisogno di socialità e mutualità si svilupperà in ampi strati della popolazione, proprio quelli deprivati delle proprie culture e dei propri saperi, e trasformati in consumatori – produttori anonimi.
La capacità di cogliere questi bisogni, di rapportarsi a loro in forma laica, ovvero senza riprodurre identità vuote e forme di mercificazione sociale, darà la possibilità di risolvere la crisi di civiltà attraverso forme di organizzazione solidaristiche.
Ettore Macchieraldo dei Semi di Serra
Roppolo, Biella, 19 febbraio 2012
Roppolo, Biella, 19 febbraio 2012
[1] Don Milani fu inviato quale priore di Barbiana (frazione di Vicchio), un piccolo borgo sperduto sui monti della diocesi di Firenze, a causa di alcuni dissapori con il cardinale di Firenze. Qui incominciò un'esperienza educativa unica e rivolta ai giovani di quella comunità che, anche per ragioni geografiche ed economiche, erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città.
La scuola sollevò immediatamente delle eccezioni e molte critiche, gli attacchi ad essa furono tanti, dal mondo della chiesa (né Giovanni XXIII né Paolo VI intervennero mai a suo favore) e da quello laico. Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera ad una professoressa”, libro scritto dagli allievi della scuola insieme a don Milani (e infatti come autore del libro è indicato "Scuola di Barbiana"), che spiegava i principi della Scuola di Barbiana e al tempo stesso costituiva un atto d'accusa nei confronti della scuola tradizionale, definita "un ospedale che cura i sani e respinge i malati", in quanto non si impegnava a recuperare e aiutare i ragazzi in difficoltà, mentre valorizzava quelli che già avevano un retroterra familiare positivo, esemplificando questo genere di allievi con il personaggio di "Pierino del dottore" (cioè Pierino, figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).
La scuola sollevò immediatamente delle eccezioni e molte critiche, gli attacchi ad essa furono tanti, dal mondo della chiesa (né Giovanni XXIII né Paolo VI intervennero mai a suo favore) e da quello laico. Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera ad una professoressa”, libro scritto dagli allievi della scuola insieme a don Milani (e infatti come autore del libro è indicato "Scuola di Barbiana"), che spiegava i principi della Scuola di Barbiana e al tempo stesso costituiva un atto d'accusa nei confronti della scuola tradizionale, definita "un ospedale che cura i sani e respinge i malati", in quanto non si impegnava a recuperare e aiutare i ragazzi in difficoltà, mentre valorizzava quelli che già avevano un retroterra familiare positivo, esemplificando questo genere di allievi con il personaggio di "Pierino del dottore" (cioè Pierino, figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).
[2] Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Munari Bruno, EditoreLaterza
[4] Bauhaus, fu una scuola di architettura, arte e design della Germania che operò a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e a Berlino dal 1932 al 1933
[6] Faccio riferimento alla definizione di Giovanni Sartori in “Homo videns”, Editori Laterza, 1999 “… il bambino la cui prima scuola (la scuola divertente che precede la scuola noiosa) è la televisione, è un animale simbolico che riceve il suo imprint, il suo stampo formativo, da immagini di un modo tutto centrato sul vedere”