domenica 27 aprile 2014

il bricolage dei genitori.......


fonte: corrieredellasera

Il bricolage dei genitori per la scuola Senso civico o sconfitta della politica?

L’autonomia degli istituti incoraggia la partecipazione delle famiglie, che diventano cruciali per il reperimento dei fondi cronicamente mancanti. Il rischio: alimentare l’inerzia di ministero e istituzioni

di Silvia Ballestra


Un gruppo di studenti con le madri durante un’esercitazione di scienze in una scuola di Winnetka, Illinois (1947, foto Corbis) Un gruppo di studenti con le madri durante un’esercitazione di scienze in una scuola di Winnetka, Illinois (1947, foto Corbis)
shadow
Da qualche anno, la scuola non è più solo quella dei bambini e degli insegnanti. Esiste anche una scuola dei genitori. I genitori sono spesso presenti (pure troppo, ci raccontano alcune cronache, ma questa è un’altra faccenda): vigilano, contribuiscono, partecipano. Spendono.
In un modo senza precedenti, infatti, in questi anni molti genitori italiani si sono abituati a dedicare tempo e denaro a quella che ritengono una opportunità centrale nella formazione dei figli. Un’istituzione che però, anno dopo anno, hanno visto smontare, impoverire, colpire con tagli ingiusti (e non staremo qui a ricordare che sin dalla materna, in alcune zone, fra cui la ricchissima Lombardia, tocca portarsi da casa sapone e carta igienica). Dal 1999, con l’istituzione dell’autonomia scolastica, padri e madri sono stati esplicitamente invitati ad affiancare insegnanti e dirigenti nell’impegno di ampliare l’offerta formativa di ogni singola scuola. Eccoli allora arrivare dopo l’orario scolastico per riunirsi, confrontarsi, concertarsi. Nella gestione ordinaria, i genitori vengono coinvolti nel reperimento dei fondi: se vogliono rafforzare le occasioni di apprendimento e renderle più varie — uno specialista, una madrelingua, una serie di laboratori, per intendersi, o ancora materiale particolare, attività curricolari ed extracurricolari, corsi vari — devono ingegnarsi per far arrivare i famosi «denari» che rimpinguino le casse. Fioriscono allora, ogni inizio anno, proposte, iniziative, gruppi e gruppetti: la commissione Cultura, la commissione Sport, la commissione Biblioteca e, last but not least, nelle scuole con il tempo pieno, la commissione Mensa.
Se l’ultima è una commissione di vigilanza e controllo, le altre si occupano, dunque, in soldoni, di fund raising o — è il caso della commissione Biblioteca — di erogazione di un servizio, il prestito libri, che pure prevederebbe competenze e impegno specifici. Ma va bene, ben vengano. Ben vengano genitori e nonni che si alternano al prestito libri, accogliendo bambini e ragazzi in ambienti curati e, a volte, da loro stessi ripristinati: muri ridipinti, libri ricatalogati, arredi scandinavi colorati e razionali acquistati con i suddetti fondi. E ben vengano anche tutte le attività che creano confronto e socializzazione. Ecco, allora, il teatro, la grande festa di Natale con i laboratori e la vendita torte, la corsa campestre che corona la fine d’anno con le batterie di classi che si sfidano al vortex (il lancio di un peso di gomma) e nel salto in lungo (lì si pagano iscrizione e divisa), la vendita grembiuli con il logo della scuola (scorrendo la mia rubrica del telefono ho trovato una misteriosa «Anna dei Grembiuli» e non capivo chi fosse: una nobile? una password? l’eroina di un libro?, poi mi sono ricordata che un grembiule sparisce o si sbrega solo e quando i grandi magazzini se ne sono già disfatti da un pezzo e, per fortuna, esistono le mamme dei grembiuli, che non si lasciano cogliere impreparate e te ne vendono uno in qualsiasi periodo dell’anno), le lotterie, le tombolate, il diario con gli sponsor, le feste, i mercatini e gli aperitivi.
Questo alle elementari. Passando alle medie, l’attività del comitato genitori — l’organo che organizza, struttura, presiede e anima tutte queste iniziative — comincia a perdere un po’ di giri: i genitori non accompagnano più i figli a scuola e dunque non si incrociano più tanto, si fatica a raggiungere quelli che lavorano, ci si fa vedere solo alle assemblee di classe (forse) e si è comunque un po’ tutti più stanchi, e anche attempati, e ci si limita a organizzare — con servizio d’ordine e sound-system, però — le feste per i teenager che nelle grandi città hanno pochi spazi e possibilità.
Bello, in fondo. Un segno di partecipazione e interesse nella cosa pubblica diretto, operoso, dinamico, che coinvolge nell’istruzione anche con l’esempio stesso: se la scuola è di tutti, così lo sarà ancora di più. Cresce il senso civico, si dà un esempio ai figli di tutti (pure di quelli che non possono esserci, o di quelli che se ne fregano), si vigila, si aiuta. Si è solidali, si provvede. E però. E però c’è il rischio che dal fare si passi allo strafare. Che dalla partecipazione si passi alla rassegnazione («o lo facciamo noi o non lo farà nessuno» è una frase ricattatoria che ho sentito spesso: ricattatoria non da parte dei genitori ma da parte di istituzioni silenti). Perché dalla (ancorché febbrile) ordinaria attività di commissione, nei casi eccezionali tocca rimboccarsi le maniche. Ed ecco i genitori che si improvvisano nel finesettimana imbianchini, carpentieri, idraulici, falegnametti bricoleur e si ingegnano a ripristinare infissi, rinfrescare muri scorticati, rimontare manopole di rubinetti, e così via.
Le foto di queste «incursioni» le abbiamo viste qualche volta sui giornali, o in qualche speciale delle trasmissioni di inchiesta: se da un lato fioccano gli elogi per lo spirito di iniziativa, dall’altro ci si rende tutti conto che si tratta di una sconfitta. La sconfitta delle istituzioni che dovrebbero occuparsene: lo stato disastrato in cui versano tanti edifici pubblici, vecchi, sfasciati, pericolosi (ahimè, anche qui le cronache sono drammatiche), lasciati andare per mancanza di fondi e a volte proprio incuria, è noto. Il problema dell’edilizia scolastica, un buon argomento da campagna elettorale. Il confronto con le scuole di altri Stati europei, pietoso e umiliante.
Qui il discorso sulla «scuola dei genitori» diventa ambiguo, scivoloso, contraddittorio. Una sera ho sentito in tv lo sceneggiatore de La grande bellezza complimentarsi con se stesso, orgoglioso di aver portato a scuola «tre computer vecchi». Ma i nostri bambini, ho pensato, non hanno diritto a computer nuovi, veloci? Non sono loro i «nativi digitali»? E la scuola che cos’è, una discarica dove smaltire qualche vecchio cassone con lo schermo catodico? E la burocrazia: una volta che in classe di mio figlio si è rotto il cavo della Lim (la tanto sbandierata Lavagna interattiva multimediale) è di nuovo partita la cordata dei genitori. «Una manciata di euro e i ragazzi avranno di nuovo il collegamento, ché ora che aspettiamo le delibere, i soldi del ministero e il resto, l’anno sarà bello che finito!». Ma — ho ribattuto — non è giusto. La prossima volta compreremo i banchi, le sedie». Risultato: il cavo è stato comprato da noi.
La questione però rimane: interessante il coinvolgimento dei genitori. Ma che non diventi un alibi per demandare, appoggiarsi, tagliare ulteriormente. I genitori vigilino, siano presenti, partecipino, ma non suppliscano. Anzi, pretendano che dirigenti scolastici, ministero e governi vari ritornino a fare il loro dovere in termini di spese e investimenti. Che militanza, forza, presenza di tutti si trasformino in stimolo e progresso. E non nel contrario.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento:

Posta un commento