Scuola: condividere i cambiamenti con chi li deve attuare
Sta sostanzialmente in questo la critica principale rivolta
dal Gruppo LEDHA Scuola alla recente Direttiva Ministeriale del 27
dicembre 2012, sui Bisogni Educativi Speciali (BES) e alla successiva
Circolare 8/13, che ne ha approfondito vari aspetti. Il rischio, quindi,
è che tali norme difficilmente possano essere applicate, considerando
anche la carenza strutturale di risorse nella scuola
1. Disturbi specifici non esplicitati nella Legge 170/10 (DSA – disturbi specifici di apprendimento) – Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività – Funzionamento cognitivo limite
A quanti, come noi, avanzavano dubbi sull’estensione – senza il supporto di una diagnosi clinica certa – delle misure previste dalla Legge 170/10 (stesura del Piano Didattico Personalizzato per ogni allievo; adozione di misure dispensative e di strumenti compensativi), anche ai nuovi casi di BES descritti dettagliatamente nella prima parte della Direttiva, la Circolare 8/13 risponde affermando che «ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di Classe o il team docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche, ciò al fine di evitare contenzioso».
Dubbi e interrogativi
a) Nel caso dei disturbi evolutivi specifici non esplicitati nella Legge 170/10, elencati nella Direttiva al punto 1.2, ovvero dei disturbi nell’area del linguaggio o, al contrario, nelle aree non verbali, come nel caso del disturbo della coordinazione motoria, della disprassia o del disturbo non-verbale, ma anche del disturbo dello spettro autistico lieve, oltreché nel caso dei disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (punto 1.3 della Direttiva), del funzionamento cognitivo limite o borderline (punto 1.4), è credibile che un team docente, “storicamente” non formato a formulare ipotesi differenziali in merito a diverse condizioni cliniche, sia in grado di distinguere, solo basandosi sulla rilevazione dei bisogni e con un discreto margine di certezza tra una situazione certificabile e una non?
b) Si può davvero pensare che basti il dettato ministeriale affinché gli insegnanti sostituiscano una documentazione clinica certa, con la verbalizzazione delle loro «fondate argomentazioni pedagogico-didattiche»?
c) Il ricorso alla certificazione clinica è obbligatorio solo in funzione dell’impegno economico (assunzione dell’insegnante di sostegno o adozione di onerosi strumenti compensativi) e/o della concessione di particolari dispense (vedi esonero dallo scritto della lingua straniera)?
d) È plausibile che si possa, senza una formazione obbligatoria di tutti i docenti sull’utilizzo dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], superare l’inveterata “logica della certificazione e delle etichettature” (come afferma ad esempio il professor Dario Ianes) e affermare la “lettura dei bisogni per tutti i BES”? Non è proprio la Direttiva nella sua prima parte a fare ampio ricorso a riferimenti clinici, in contrasto con l’ICF, di cui vorrebbe promuovere l’adozione?
A questo punto, purtroppo, è facile immaginare che si otterrà l’effetto opposto a quello della semplificazione, auspicato dalla Direttiva: le famiglie di molti alunni saranno infatti indotte a ricorrere a specialisti, affinché questi riconoscano o escludano una loro “appartenenza” a una delle categorie in cui la Direttiva suddivide i BES (DSA e altri Disturbi specifici; Alunni con disabilità; Alunni con svantaggio socio-culturale e linguistico), con un ulteriore aggravio del lavoro delle UONPIA [Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, N.d.R.] e delle strutture private accreditate, la cui cronica mancanza di risorse è sotto gli occhi di tutti ed è causa di pesanti ritardi anche solo nella formulazione delle diagnosi cliniche e delle valutazioni funzionali necessarie, per poter accedere ai Collegi di accertamento degli alunni in situazione di disabilità.
2. Area dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale
Per i bambini in situazione di svantaggio socio-culturale e linguistico (quasi ignorati nella Direttiva e a cui la Circolare 8/13 dà giustamente maggiore rilievo), il problema è sicuramente diverso. «Tali tipologie di BES – si afferma – dovranno essere individuate sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali) ovvero di ben fondate considerazioni pedagogiche e didattiche». Per loro, come per gli altri BES, andranno attivati percorsi individualizzati e adottati strumenti compensativi e misure dispensative «per il tempo strettamente necessario», previo monitoraggio dell’efficacia di tali interventi.
La Circolare ricorda quindi l’opportunità, sulla base dell’articolo 5 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 89/09, dell’utilizzo delle due ore di seconda lingua nella scuola secondaria di primo grado, per l’apprendimento della lingua italiana.
Dubbi e interrogativi
a) Con quali modalità operative non è però dato sapere: si organizzeranno sottogruppi disciplinari, ma con quali risorse, in assenza di compresenze?
b) E alla scuola primaria, dove manca l’opportunità di una seconda lingua?
3. Azioni a livello della singola istituzione scolastica
Anche su questo argomento, la Circolare 8/13 introduce elementi decisamente nuovi rispetto alla Direttiva del 27 dicembre 2012, innanzitutto approfondendo argomenti solo inizialmente accennati e apportando aggiunte significative, al punto che vien fatto di chiedere perché il Ministero abbia avuto fretta di deliberare, quando avrebbe potuto stendere un testo organico, che non desse luogo a confusioni interpretative e applicative, dopo avere sentito con più calma l’Osservatorio sull’Integrazione. [ continua]
In realtà, i cambiamenti – soprattutto quelli significativi che incidono sulle relazioni – si affermano non già perché imposti, ma perché condivisi con chi li deve attuare. E questo richiede flessibilità, rispetto e collaborazione.
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