il dossier “dispersione nella scuola secondaria superiore statale” di tuttoscuola
Lo scorso 23 aprile 2014 nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la
dispersione scolastica, la Commissione Cultura ella camera ei Deputati ha svolto l’audizione di
Giovanni Vinciguerra, direttore responsabile di Tuttoscuola, e di
Mario G. Dutto, esperto del settore (la registrazione audio-video completa dell’evento è disponibile sul sito della Camera dei Deputati al seguente link: http://webtv.camera.it/evento/ 6304).
Sul tema della disersione scolastica:
- il testo completo del dossier “Dispersione nella Scuola secondaria superiore statale” di Tuttoscuola (giugno 2014): [clicca qui] di cui pubblichiamo l'Introduzione
- i dati dell'emergenza dispersione [clicca qui]
[Introduzione al dossier Dispersione di Tuttoscuola] Negli
ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole
superiori statali non hanno completato il corso di studi. Rappresentano
il 31,9% dei circa 9
milioni di studenti che hanno iniziato in questi tre lustri le
superiori nella scuola statale, e di questi è come se l’intera
popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia
e Veneto non ce l’abbia fatta. Praticamente uno su tre si è “disperso”,
come si dice nel gergo sociologico.
E dispersione fa rima con
disoccupazione. Li ritroviamo infatti quasi tutti, questi ragazzi, tra i Neet (Not in Education, Employment, or Training) ovvero
i giovani tra i 15 e i 29 anni (proprio 15 classi di età) che non
studiano, non lavorano, non fanno formazione o apprendistato. L’Istat li
valuta in 2,2 milioni, pari al 23,9% di quelle classi di età.
Sono
cifre “da guerra mondiale”. E’ una [tragedia] sociale, un’emorragia che ogni
anno indebolisce il corpo sociale del paese e ne riduce la capacità di
competere come sistema nazionale nella società della conoscenza, che non
sembra però essere vissuta come una vera emergenza. Tra rassegnazione
e, forse, sottovalutazione di un fenomeno che condiziona e spesso
pregiudica il futuro lavorativo e gli standard di vita di una fascia
significativa della popolazione, e quindi la capacità di produrre reddito
e PIL dell’intero paese. Infatti quei quasi 3 milioni di ragazzi
partono con il freno a mano tirato nel loro percorso e con un bagaglio
di opportunità molto ridotto
rispetto ai coetanei che completano gli studi e continuano
all’università: se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo
il diploma secondario superiore (il
28% rimane disoccupato), figurarsi quali sono le prospettive di coloro
che neanche ci arrivano (non a caso ben il 45% di coloro che sono in
possesso della
sola licenza media sono disoccupati).
Per
non parlare dei costi sociali enormi dell’abbandono scolastico: il
corso di studi “interruptus” comporta che la costosa organizzazione del
servizio per quei ragazzi si
riveli sostanzialmente inutile. O meglio l’investimento che è stato
sostenuto ha avuto un basso ritorno, perché presupponeva il
completamento del corso e il conseguimento di un titolo attestante determinate abilità e competenze, obiettivo non raggiunto. E
il disagio sociale che ne consegue scatena effetti collaterali, dal
livello di criminalità ai costi del welfare (sussidi di disoccupazione,
etc).
Di
fronte a questo quadro il Parlamento ha sentito l’esigenza di avviare
un’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione
scolastica, a partire dal
monitoraggio
sui costi e sui risultati della miriade di iniziative, progetti e
progettini contro la dispersione adottati da anni sul territorio, senza
una regia, senza un programma strutturato e pianificato, senza appunto
un controllo dei risultati e senza quindi la possibilità di trarne una lesson learned sulle pratiche più efficaci e sui modelli da implementare.
L’emorragia
intanto continua, anche se con un’intensità un po’ inferiore al
passato (nel 2000 la dispersione nella scuola secondaria superiore
statale sfiorava il 37%, rispetto
al 28% di oggi). E il corpo del paese, che avrebbe bisogno di energie
fresche e vigorose, quali possono apportare le nuove leve, si
indebolisce. Da un anno di corso all’altro, una media di 40 mila studenti abbandonano la scuola statale, quasi sempre a seguito di una bocciatura.
Ben
venga il piano di ristrutturazione degli edifici scolastici voluto dal
governo, e l’attenzione verso la scuola che esso sta ponendo in termini
di priorità. Ma i dati
di questo dossier, che fotografano il disagio giovanile che ne è in
buona parte la causa ma che così si alimenta e si ingrandisce come
conseguenza, dovrebbero essere attaccati alle pareti della sala del
consiglio dei ministri, ed essere oggetto di analisi e discussioni per
trovare le medicine adatte – senza incidere sul livello di qualità
complessivo del sistema formativo – a partire ad esempio dall’idea di
ridurre le bocciature – che sono l’anticamera dell’abbandono della
scuola – e fare corsi di recupero e attività integrative sfruttando gli
spazi e i tempi della “scuola aperta” (una delle sei idee per rilanciare
la scuola avanzate nel precedente dossier di Tuttoscuola, che qui riprendiamo ed approfondiamo). In questo dossier Tuttoscuola presenta
un quadro aggiornato dei risultati raccolti tramite il monitoraggio
condotto ininterrottamente negli istituti statali per un ventennio
sul numero totale degli studenti delle superiori di tutti gli anni di
corso, dalla prima alla quinta, per ogni tipologia di scuola, anche a
livello regionale.
L’obiettivo
è quello di misurare con precisione la consistenza e l’andamento nel
tempo del fenomeno della dispersione scolastica negli istituti statali
d’istruzione secondaria superiore. In
questo contesto il termine ‘dispersione’ è utilizzato con specifico
riferimento al numero effettivo degli studenti che si perdono uscendo
del tutto dal percorso scolastico statale.
Per
fare questo tipo di monitoraggio Tuttoscuola ha messo a confronto i
dati di partenza (1° anno di corso) con quelli di arrivo (5° anno di
corso) al termine di un quinquennio. Lo ha fatto per tutti i quinquenni
dell’ultimo ventennio, registrando per diversi anni dati oggettivi
preoccupanti (nel complesso uno studente ogni tre ha abbandonato),
attenuati da una recente moderata tendenza alla riduzione del fenomeno.
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