Per la scuola non basta uno slogan
di NADIA URBINATI
25/02/2015
la Repubblica
PRESIDENTE del
Consiglio lancia l’ambizioso progetto “la buona scuola”. Lo fa alla
fine di una consultazione con i diretti interessati (alunni, docenti e
famiglie) che egli stesso ha giudicato un evento unico, non solo nel
nostro Paese. In una recente puntata di Piazzapulita si è avuto modo di
capire che le cose non stanno proprio in questi termini: l’ascolto è
stato pilotato e molti temi concreti che le scuole statali hanno urgente
bisogno di discutere e risolvere non hanno avuto centralità, anche
perché poco attraenti. In effetti, parlare della mancanza cronica di
carta igienica nelle scuole statali di ogni ordine e grado, sapere che i
genitori si autotassano ormai abitualmente per coprire le spese
ordinarie degli istituti frequentati dai loro figli che lo Stato non
copre: tutta questa concretezza non consente di fare spot attraenti
sulla buona scuola del futuro. Tuttavia questi sono i problemi. Che non
svaniscono con gli slogan: “Sì, serve la carta igienica, ma fateci
sognare”. Semmai, si potrebbe dire al presidente Renzi che i sogni li
dovrebbero poter fare le scuole, non il governo. E vi è di che dubitare
che questi provvedimenti ben propagandati vi riescano.
Prima
di tutto perché lo Stato ha dichiarato di non potere coprire le spese
delle sue scuole. È come se dicesse: non possiamo garantire i diritti
civili perché non abbiamo soldi a sufficienza per sostenere i tribunali.
Non ci sono fondi a sufficienza. Ma se lo Stato (e i suoi organi
amministrativi) finanziasse solo le sue scuole, come la Costituzione gli
comanda, i soldi non sarebbero un problema così emergenziale. A fine
gennaio l’Espresso ha dedicato al depauperamento della scuola statale
un’inchiesta ben fatta. Eccone il senso: “Settecento milioni l’anno di
denaro pubblico vanno ad aiutare gli istituti paritari, mentre lo Stato
non ha soldi neppure per rendere sicure le aule. Un flusso che parte dal
ministero dell’Istruzione, dalle Regioni e dai Comuni e finisce senza
controlli ad enti privati di scarsa qualità o dove i professori ricevono
stipendi da fame”. Governatori e sindaci, continua l’Espresso,
alimentano un fiume carsico di denaro pubblico per le private, un
federalismo scolastico che si somma alla sovvenzione ministeriale.
L’articolo 33 della Costituzione è raggirato, e non da oggi, con
l’escamotage degli aiuti alle famiglie. La Costituzione sembra non avere
forza, sembra parlare la lingua dei sogni, ma non di quelli che
piacciono a chi la dovrebbe attuare.
E
il progetto detto “buona scuola” non cambia questo trend privatistico,
ma lo legittima, lo regolamenta e lo stabilizza. Lo ha confermato
proprio il presidente del Consiglio in conferenza stampa: «In futuro
chiederemo autonomia anche dal punto di vista economico, così che una
parte della dichiarazione dei redditi possa andare a una singola
scuola». Ovvero, chi non ha figli si sentirà libero di non dare alcun
contributo alla scuola pubblica, trattata come la religione o i partiti
politici: oggetto di libera scelta individuale. Benché la scuola sia un
bene pubblico, non privato che si può scegliere o non scegliere. La
logica che guida questo progetto è opinabile: prima di tutto perché
associa la tassazione per beni pubblici al consenso individuale — questo
è esattamente quanto dagli anni Settanta sono andati predicando i
teorici liberisti; questa è stata la filosofia che ha guidato i governi
Reagan. E il reaganomics è la direzione di marcia del nostro governo
sulla scuola statale.
Lo
Stato si impegna a istituire e sostenere scuole di ogni ordine e grado:
lo Stato, non i singoli secondo la loro personale preferenza e
decisione. È evidente che il governo cerca di vendere il prodotto
appellandosi all’autonomia scolastica. Ma legare il destino della scuola
statale alle preferenze individuali non è una condizione di autonomia
ma di assoluta dipendenza dal privato. È stupefacente come non si crei
un dibattito serio e ragionato su temi così rilevanti, come le
rivendicazioni della minoranza nel Pd non sappiano tradursi in
contro-proposte che incalzino la maggioranza con argomenti efficaci. La
dialettica sarebbe di aiuto al governo che potrebbe voler accettare la
sfida della discussione e migliorare la sua proposta. In questo momento,
i cittadini restano fuori del palazzo, inascoltati e fortemente
critici. Organizzano convegni, lanciano petizioni, firmano documenti, ma
la loro voce non ha risonanza. Non hanno rappresentanti nei partiti e
non hanno nel Parlamento un interlocutore. Politica costituita e
opinione dei cittadini marciano su binari paralleli.
Nessun commento:
Posta un commento