fonte: corrieredellasera
Il bricolage dei genitori per la scuola Senso civico o sconfitta della politica?
L’autonomia degli istituti incoraggia la partecipazione delle famiglie, che diventano cruciali per il reperimento dei fondi cronicamente mancanti. Il rischio: alimentare l’inerzia di ministero e istituzioni
Un gruppo di studenti con le madri durante un’esercitazione di scienze in una scuola di Winnetka, Illinois (1947, foto Corbis)
Da qualche anno, la scuola non è più solo quella dei bambini e degli insegnanti. Esiste anche una scuola dei genitori.
I genitori sono spesso presenti (pure troppo, ci raccontano alcune
cronache, ma questa è un’altra faccenda): vigilano, contribuiscono,
partecipano. Spendono.
In un modo senza precedenti, infatti, in
questi anni molti genitori italiani si sono abituati a dedicare tempo e
denaro a quella che ritengono una opportunità centrale nella formazione
dei figli. Un’istituzione che però, anno dopo anno, hanno visto
smontare, impoverire, colpire con tagli ingiusti (e non staremo qui a
ricordare che sin dalla materna, in alcune zone, fra cui la ricchissima
Lombardia, tocca portarsi da casa sapone e carta igienica). Dal 1999,
con l’istituzione dell’autonomia scolastica, padri e madri sono stati
esplicitamente invitati ad affiancare insegnanti e dirigenti
nell’impegno di ampliare l’offerta formativa di ogni singola scuola.
Eccoli allora arrivare dopo l’orario scolastico per riunirsi,
confrontarsi, concertarsi. Nella gestione ordinaria, i genitori vengono
coinvolti nel reperimento dei fondi: se vogliono rafforzare le occasioni
di apprendimento e renderle più varie — uno specialista, una
madrelingua, una serie di laboratori, per intendersi, o ancora materiale
particolare, attività curricolari ed extracurricolari, corsi vari —
devono ingegnarsi per far arrivare i famosi «denari» che rimpinguino le
casse. Fioriscono allora, ogni inizio anno, proposte, iniziative, gruppi
e gruppetti: la commissione Cultura, la commissione Sport, la
commissione Biblioteca e, last but not least, nelle scuole con il tempo pieno, la commissione Mensa.
Se l’ultima è una commissione di vigilanza e controllo, le altre si occupano, dunque, in soldoni, di fund raising o
— è il caso della commissione Biblioteca — di erogazione di un
servizio, il prestito libri, che pure prevederebbe competenze e impegno
specifici. Ma va bene, ben vengano. Ben vengano genitori e nonni che si
alternano al prestito libri, accogliendo bambini e ragazzi in ambienti
curati e, a volte, da loro stessi ripristinati: muri ridipinti, libri
ricatalogati, arredi scandinavi colorati e razionali acquistati con i
suddetti fondi. E ben vengano anche tutte le attività che creano
confronto e socializzazione. Ecco, allora, il teatro, la grande festa di
Natale con i laboratori e la vendita torte, la corsa campestre che
corona la fine d’anno con le batterie di classi che si sfidano al vortex
(il lancio di un peso di gomma) e nel salto in lungo (lì si pagano
iscrizione e divisa), la vendita grembiuli con il logo della scuola
(scorrendo la mia rubrica del telefono ho trovato una misteriosa «Anna
dei Grembiuli» e non capivo chi fosse: una nobile? una password?
l’eroina di un libro?, poi mi sono ricordata che un grembiule sparisce o
si sbrega solo e quando i grandi magazzini se ne sono già disfatti da
un pezzo e, per fortuna, esistono le mamme dei grembiuli, che non si
lasciano cogliere impreparate e te ne vendono uno in qualsiasi periodo
dell’anno), le lotterie, le tombolate, il diario con gli sponsor, le
feste, i mercatini e gli aperitivi.
Questo alle elementari. Passando alle
medie, l’attività del comitato genitori — l’organo che organizza,
struttura, presiede e anima tutte queste iniziative — comincia a perdere
un po’ di giri: i genitori non accompagnano più i figli a scuola
e dunque non si incrociano più tanto, si fatica a raggiungere quelli
che lavorano, ci si fa vedere solo alle assemblee di classe (forse) e si
è comunque un po’ tutti più stanchi, e anche attempati, e ci si limita a
organizzare — con servizio d’ordine e sound-system, però — le feste per i teenager che nelle grandi città hanno pochi spazi e possibilità.
Bello, in fondo. Un segno di
partecipazione e interesse nella cosa pubblica diretto, operoso,
dinamico, che coinvolge nell’istruzione anche con l’esempio stesso: se
la scuola è di tutti, così lo sarà ancora di più. Cresce il senso
civico, si dà un esempio ai figli di tutti (pure di quelli che non
possono esserci, o di quelli che se ne fregano), si vigila, si aiuta. Si
è solidali, si provvede. E però. E però c’è il rischio che dal fare si
passi allo strafare. Che dalla partecipazione si passi alla
rassegnazione («o lo facciamo noi o non lo farà nessuno» è una frase
ricattatoria che ho sentito spesso: ricattatoria non da parte dei
genitori ma da parte di istituzioni silenti). Perché dalla (ancorché
febbrile) ordinaria attività di commissione, nei casi eccezionali tocca
rimboccarsi le maniche. Ed ecco i genitori che si improvvisano nel
finesettimana imbianchini, carpentieri, idraulici, falegnametti
bricoleur e si ingegnano a ripristinare infissi, rinfrescare muri
scorticati, rimontare manopole di rubinetti, e così via.
Le foto di queste «incursioni» le
abbiamo viste qualche volta sui giornali, o in qualche speciale delle
trasmissioni di inchiesta: se da un lato fioccano gli elogi per
lo spirito di iniziativa, dall’altro ci si rende tutti conto che si
tratta di una sconfitta. La sconfitta delle istituzioni che dovrebbero
occuparsene: lo stato disastrato in cui versano tanti edifici pubblici,
vecchi, sfasciati, pericolosi (ahimè, anche qui le cronache sono
drammatiche), lasciati andare per mancanza di fondi e a volte proprio
incuria, è noto. Il problema dell’edilizia scolastica, un buon argomento
da campagna elettorale. Il confronto con le scuole di altri Stati
europei, pietoso e umiliante.
Qui il discorso sulla «scuola dei
genitori» diventa ambiguo, scivoloso, contraddittorio. Una sera ho
sentito in tv lo sceneggiatore de La grande bellezza complimentarsi con se stesso, orgoglioso di aver portato a scuola «tre computer vecchi».
Ma i nostri bambini, ho pensato, non hanno diritto a computer nuovi,
veloci? Non sono loro i «nativi digitali»? E la scuola che cos’è, una
discarica dove smaltire qualche vecchio cassone con lo schermo catodico?
E la burocrazia: una volta che in classe di mio figlio si è rotto il
cavo della Lim (la tanto sbandierata Lavagna interattiva multimediale) è
di nuovo partita la cordata dei genitori. «Una manciata di euro e i
ragazzi avranno di nuovo il collegamento, ché ora che aspettiamo le
delibere, i soldi del ministero e il resto, l’anno sarà bello che
finito!». Ma — ho ribattuto — non è giusto. La prossima volta compreremo
i banchi, le sedie». Risultato: il cavo è stato comprato da noi.
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