Come parlare del tema della guerra In classe come altrove la testimonianza è spesso il modo migliore per affrontare temi difficili, dolorosi ma ineludibili. Mio padre è sopravvissuto a un campo di concentramento nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.
Luciana Bertinato da La vita scolastica
Una lettera
Uno squillo di telefono e la vita ti sorprende ancora una volta, all’improvviso. “Sono don Luigi Fraccari. Rovistando tra i miei documenti ho ritrovato una lettera scritta nel ‘45 da Giovanni Bertinato. È trascorso tanto tempo, ma vorrei avere sue notizie. L’ho fatto uscire io da quell’inferno... è riuscito poi a tornare a casa con quel treno?”. La voce è velata d’emozione, ma chiara e così puntuale nei dettagli del racconto da non lasciare adito ad incertezza alcuna. È una fredda mattina d’inverno del 1995, pochi giorni prima di Natale, quando mia madre risponde al telefono. Smarrita, riannoda a fatica lontani fili di una storia d’amore che riaffiora dalla notte del tempo. Chiede con insistenza, ascolta e racconta a lungo lasciandosi catturare da ricordi mai sopiti.
"Fare" e tramandare speranza
Luckenwalde, 8 marzo 1945: dal campo di concentramento nei dintorni di Berlino un uomo chiede aiuto. Ha fame, è malato e da mesi lotta disperatamente per uscire dalla baracca di isolamento in cui è stato rinchiuso. Aggrappandosi alla vita che si sta spegnendo, a poco a poco, affida a un amico una lettera, scritta a matita su carta da pane, con le seguenti parole: “È già un mese che sto lottando per essere ricoverato in ospedale per le cure, dopo aver cambiato tre medici che hanno cercato soltanto di farmi del male. Solo oggi ho la conferma che il polmone destro comincia a marcire, quindi sono inabile al lavoro. Vi chiederei di fare qualcosa in merito al mio rimpatrio dato che vi trovate all’ambasciata italiana…”. Fraccari è là dove l’uomo chiama e conosce il coraggio e la solidarietà. Per lui, e per moltissime altre vittime dell’orrore, organizza la speranza e allora la salvezza diventa un treno, uno degli ultimi in partenza ai bordi di quella tragedia immane.
Mio padre non conobbe mai il volto della persona che gli salvò la vita. A distanza di cinquant’ anni è toccato a noi ricevere questo dono. Il resto è un appuntamento dentro un pomeriggio inzuppato di pioggia, la trepida attesa dell’incontro e, infine, un abbraccio privo di parole. Perché la gratitudine non ha confini, ora che abbiamo tra le mani un sottile foglio di carta, solcato da una calligrafia che per diciannove anni con gioia ci è stata familiare.
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