giovedì 26 febbraio 2015

i privati tra i banchi di scuola

fonte: comuneinfo

I privati tra i banchi di scuola


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di Anna Bruno
Eccoci qua noi italiani! Spogliati di tutto, svenduti al privato che agisce ormai senza controllo. Assurto a salvatore di un paese sull’orlo “di una crisi di nervi”, si è insinuato il privato… e, come una piovra, continua ad insinuarsi, ovunque gli sia utile, previo studio di accurate strategie. E i suoi tentacoli finiscono col prendere possesso di ogni cosa su cui poggiano e passano.
Ha cominciato anni fa, sostenendo l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Perché bisognava privatizzare questi innanzitutto, e trasformare i loro iscritti in surrogati della politica: persone dipendenti, fiacche, impotenti, marionette manovrate dall’alto, educate a divenir strilloni di mestiere. Perché spianassero la strada ai tentacoli del loro padrone, favorendone l’avanzamento. Sempre con circospezione, si intende. Fino a giungere ai beni comuni, nonché a quelli primari: casa, acqua, ospedali, tribunali, scuole. Ben istruiti e manovrati dal burattinaio, i wanna marchi della poltrona, sono stati i nostri più diligenti brainwashers. Una volta entrati nell’euro, ci dicevano, e poi “svenduti” i nostri beni comuni e primari, noi avremmo indossato, scarpe nuove di zecca, forti abbastanza da poter intraprendere sicuri la via della salvezza: il mercato europeo. La moderna arca di Noé attendeva solo noi.
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Col passare del tempo tuttavia, la realtà si è rivelata essere tutt’altro e, oggi, è sotto gli occhi di tutti… di più, sulla nostra pelle! Il dado ormai è tratto: il drago dell’Apocalisse di Giovanni, ha mostrato le sue sette teste e dieci corna. E il drago vive della debolezza e dell’ingenuità della sua preda. E per essa, resta in agguato e attacca solo quando è certo di vincere. Ma noi, gente civile, abbiamo perso le regole della giungla, dopo aver subito l’educazione alla paura, persino di animali domestici come i cani. Nel frattempo, il mercato, quelle regole, le ha fatte proprie. E così in strada a prostituirsi sono finite, la nostra compagnia di bandiera, l’Alitalia, che passando di mano in mano, continua ancora oggi a licenziare; la Telecom, che non sappiamo più a chi appartenga: un buon affare per altri paesi che hanno trovato il modo di controllare il nostro mercato e indirizzare le nostre scelte; le nostre case, la nostra acqua, la nostra terra, negoziati per infimi affari, e sulle cui realtà, il privato-piovra - come nel caso acqua avvelenata in provincia di Vibo Valentia in Calabria – ormai ha affondato i propri tentacoli e, a macchia d’olio, si espande e impera, inquina e devasta, provoca morte. Per poi lasciare allo Stato, o meglio, alle tasche degli italiani esangui, la patata bollente!
E i nostri surrogati della politica, davanti a questo scempio, come si comportano? Scelgono ancora una volta la via più breve: quella più rassicurante per la poltrona. Quando non possono alzare le tasse o tagliare pensioni, lasciano che il singolo cittadino provveda di tasca propria, sempre che, non ancora dissanguato, se lo possa permettere. Come nel caso della scuola, ad esempio, lasciata alla coscienza e alla responsabilità economica delle famiglie, che troppo spesso provvedono, persino con la carta igienica.
Tuttavia, oggi lo abbiamo capito: è sul malessere delle istituzioni che si fanno affari d’oro. Da tempo ormai le imprese private e/o semi-private, banche o catene commerciali, hanno puntato occhi e posato tentacoli sull’educazione: sui musei (ricordate? Lottomatica per la cultura) tanto quanto sulla scuola. La paradisiaca giungla del Dio-mercato si sta appropriando anche di loro: gli affaristi-iene invisibili dalle loro postazioni, restano nell’ attesa silenziosa della loro ingenua preda di turno da sbranare. E quale preda migliore della scuola e dell’educazione in generale, che sfornano i futuri utenti del dio denaro? Anche nella scuola, come per la politica, hanno prima puntato a ridurre i nostri bambini a cavalli da corsa o da soma, a ferrari o a 500, con il metodo Invalsi (vedi articolo: I nostri occhi per l’arte), istruendo ben bene gli insegnanti, poi, hanno lasciato le attività scolastiche all’esborso “volontario” (?) dei genitori affaticati. E così, anche la scuola è divenuta terreno fertile per il privato-piovra, che le offre il proprio contributo per evitarle il “disastro”!
Laboratorio Bimbi a Lezione di Risparmio al museo
Laboratorio Bimbi a Lezione di Risparmio al museo
Ma il privato-piovra non fa nulla per nulla!. In prima fila, troviamo le banche che offrono aiuto in cambio dei gadgets sull’educazione del “buon risparmiatore”. E all’uopo, fanno sorgere, ad esempio, a Torino, il Museo del Risparmio, che ingaggia esperti del racconto e professionisti dell’audiovisivo. Attraverso questi, si insinua nel malessere dell’istruzione, per portare la “giusta” educazione finanziaria tra i banchi di scuola. E i termini bancari volano come gli innocui aerei di carta tra di essi. Senza però mai cascare in terra, si fermano nelle menti ignare dei futuri utenti di una qualsivoglia banca… E la vecchia paghetta allora perde per sempre la sua valenza di educatrice all’indipendenza e all’autogestione, per farsi educatrice del futuro risparmiatore o investitore.
Al tempo dell’ormai remoto boom economico, era il monopoli ad instillare il sogno dei futuri paperon de’ paperoni, oggi si rallenta in nome di un’educazione al risparmio e al giusto investimento a favore delle banche. Non servono più la storia o la storia dell’arte nella vita, servono solo finanza ed economia. Già si sta pensando di rafforzare questo tipo di studio nelle scuole superiori.
Non è finita qui. Accanto alle banche, si propongono grandi catene commerciali come Conad, che offre buoni sconto a volontà: ad ogni 10 euro di spesa corrisponde un buono scuola per finanziare la didattica, e il progetto lo chiamano “Insieme per la scuola”, con tanto di autorizzazione dal ministero dell’Istruzione Pubblica. Qui la parola chiave diventa “compassione” per una didattica sofferente: un sentimento facilmente indotto nei genitori che, a quel punto, si sentono in dovere di aiutare una scuola altrimenti abbandonata a se stessa. E così, si gioca la carta della “carità”, dopo una ben studiata strategia di marketing aziendale, sotto le vesti di santa beneficienza, beffandosi di genitori, insegnanti e studenti.
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Cosa fare, dunque? Possiamo ancora avere il potere di fermare questo inarrestabile tzunami? Si che lo abbiamo, eccome! In che modo? Semplicemente boicottando le iniziative di banche e imprese della grande distribuzione, e tutti insieme, genitori, insegnanti e chiunque si ritenga detentore della cultura e del buon senso, in nome dei nostri bambini, dei nostri ragazzi. Questa sarebbe la protezione più giusta nei loro confronti, perché non diventino gli alienati di domani. I bambini imparano dai grandi, che fungono loro da modello, questo lo sappiamo. E allora se genitori e insegnanti e mondo civile tutto, sapranno dire No alla piovra, domani le future generazioni sapranno scegliere il bene, perché liberi pensatori. Non più degli alienati che vanno dove li porta il vento, ma persone critiche con la capacità di schierarsi con il bene comune, perché il bene segue la traiettoria della circolarità.
A noi adulti dunque la responsabilità della scelta: tra l’accettare i buoni sconto e far entrare i gadgets delle banche nelle scuole, o mettere direttamente i propri soldi a disposizione delle scuole… o ancora meglio chiedere con forza che sia lo Stato con le nostre tasse ad assicurare una scuola efficiente. Come? Beh, cercando di ottenere con determinazione, ad esempio, una legge contro la corruzione… E allora si che i soldi arriverebbero e di corsa. La speranza dunque c’è…ma risiede nell’impegno.

Anna Bruno, guida ufficiale e curatrice di visite-gioco per bambini e genitori presso musei, è autrice di articoli e libri di educazione all’immagine per bambini. Fondatrice e coordinatrice della comunità il Periegeta

renzi? meglio la LIP!

Renzi? #megliolaLip!

Legge di Iniziativa Popolare per una Buona Scuola per la Repubblica

LA BUONA SCUOLA: UN PIANO CHE UCCIDE IL RAPPORTO ALUNNO-DOCENTE

fonte: ATTAC

Un piano che uccide il rapporto alunno-docente - n.15 ottobre 2014


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del Comitato Scuola Pubblica di Siena
DAL DIARIO DI UNA MAESTRA
“Io voglio una riforma che mi parli di schiere di bambini che cantano, passeggiano, che scoprono insieme la vita, la sua matematica e la sua poesia, la sua musica, i suoi abitanti fragili e meno fragili. Una riforma che liberi dal monitoraggio e dai quiz continui, che mi dia tempi e strumenti, spazi da frequentare ed abitare, senza i “lacciuoli” delle circolari e dell'orrendo registro elettronico, che fa attendere i miei alunni gli toglie il mio sguardo. Voglio una riforma che ridia fiato alla fantasia, all'individualità e ai tempi di ciascun bambino, che non mi costringa a diventare una burocrate perfetta....”
Ci sembra che in questo brano “vero” di diario siano condensate tutte le motivazioni che ci portano a respingere il piano Renzi che, con un linguaggio roboante e populista, pretende di dettare le linee guida del nuovo modello di scuola pubblica, stravolgendone l'impianto costituzionale e democratico, con una parificazione tra scuole statali e scuole private.
In tutto il piano, gli assenti - e non a caso - sono gli studenti: bambini e adolescenti che dovrebbero stare al centro della “buona scuola”, nel rispetto della loro personalità in crescita.
Siamo a un bivio cruciale ed epocale: si tratta di scegliere tra la scuola disegnata dalla Costituzione, accessibile a tutti ed inclusiva, e una “scuola azienda” dove le scelte didattiche e la relazioni educative saranno piegate principalmente a logiche produttive che porteranno, anzi stanno già portando, ad una discriminazione degli alunni in base alla classe sociale e alla capacità di seguire i ritmi artificiali imposti.
Le scelte didattiche sono inevitabilmente condizionate quando gli insegnanti sanno che ogni momento della giornata scolastica, controllata dall'alto, assume un valore numerico da registrare immediatamente, mentre la vera azione didattica sta nella flessibilità del rapporto delicatissimo fra alunno ed insegnante, nel capire l'evolvere continuo di questo rapporto, non quantificabile con un test Invalsi o con un voto.
Il lavoro dell'insegnante sta proprio nell'entrare in contatto con questo mondo di menti pensanti e non, come tuona il piano Renzi, di “produttori digitali”. Immersi in una rete tecnologica e valutativa rischiano, se non conformi al modello prestabilito, di perdere per sempre fiducia in se stessi e amore per la conoscenza non premiata. E tutti : alunni, insegnanti e scuole, sotto la cappa della competitività indotta dalla ricerca di una buona valutazione che si tradurrà in finanziamenti pubblici e sopratutto privati....
Il piano Renzi infatti, si auspica di “attrarre sulla scuola molte risorse private” e di fornire maggiori risorse pubbliche alle scuole private.
Siccome le valutazioni e i finanziamenti saranno trasparenti, nessuno si è posto il problema dalla parte delle famiglie, che naturalmente cercheranno di accaparrarsi le scuole e gli insegnanti più accreditati. E chi riuscirà a occupare i posti migliori e con quali mezzi? La risposta è ovvia.
Pensare che esiste già una proposta di legge di iniziativa popolare (LIP) presentata per la prima volta alla camera nel 2006, che persegue i principi costituzionali del pluralismo culturale, dell'unicità e del valore della scuola statale, della laicità e che va in direzione nettamente contraria al piano Renzi. Una legge regolarmente presentata in Parlamento a fronte di un documento che sa di marketing mediatico e propagandistico, a cui gli insegnanti devono rispondere online, attraverso un questionario .
Ritorniamo al diario della nostra maestra...
“La riforma renziana è un inno alla velocità, al digitale, alle discipline utili per entrare nel mondo del lavoro in una continua ansia di prestazione, in un'esasperata misurazione di competenze e di apprendimenti strutturati tramite esercizi e verifiche.
Per noi, invece, la priorità è una riforma che sappia stimolare la ricerca costante di un metodo che ha come obiettivo la trasmissione dell'amore e dell'interesse per la conoscenza e la profondità di sguardo che consente lo sviluppo di una capacità critica. Non una scuola che, in base alla riforma Renzi–Giannini, si preoccupa soltanto di far correre cavalli addestrati per dare lustro a qualcuno e valutati secondo “il merito”. Io non comprendo come si faccia ad appassionarsi ad una riforma tarata su un continuo valutare, prima di aver capito cosa significhi EDUCARE OGGI per far fronte alla dispersione, questa sì drammatica, delle esigenze degli alunni.
Io so che per dare strumenti culturali a un ragazzo affinché si costruisca solide basi per ragionare sul mondo e sul futuro della sua vita, ci vuole un insegnante umile, collaborativo, consapevole che i suoi alunni vanno, oggi più di ieri, stimolati a fare esperienza di terra, di aria, di fuoco, di acqua, con le mani, con i cinque sensi, a descrivere ciò che fanno, guidati dall'attenzione costante dell'adulto che dovrebbe, per avere vero merito, dedicarsi soltanto ad ascoltarli, ad appuntarsi regressi e progressi, ad accoglierli.”.
Tratto dal Granello di Sabbia di Ottobre 2014: "La Buona ScuolAzienda", scaricabile QUI

rapporto 2013/2014 alunni con cittadinanza non italiana

fonte: la scuola di mafalda

l'indagine "Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi. Rapporto nazionale 2013/2014"

L'indagine "Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi. Rapporto nazionale 2013/2014" rientra nelle attività previste dal protocollo d’intesa fra Miur e Fondazione Ismu, oltre che nella più recente collaborazione nell’ambito dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura [leggi il ns post], istituito il 9 settembre 2014.
Dei contenuti dell'indagine, che ci consegna una fotografia sulla presenza degli alunni di nazionalità non italiana nella nostra scuola, alla data odierna è disponibile una sintesi [clicca qui]. Il rapporto completo è in corso di pubblicazione.
I dati confermano un ampio incremento nelle iscrizioni degli alunni stranieri che, nel periodo 2001/02-2013/14, si sono quadruplicate: si è passati dai 196.414 alunni dell’a.s. 2001/02 (2,2% della popolazione scolastica complessiva) agli 802.844 dell’a.s. 2013/2014 (9% del totale) (cfr. tabella 1.1 a pag. 3). Dal 2008/09 ad oggi, tuttavia, si è registrato un progressivo rallentamento nell’incremento. 
Nell’a.s. 2013/14 gli alunni con cittadinanza romena rappresentano ancora il gruppo più numeroso nelle scuole italiane (154.621), seguiti dai giovani di origine albanese (107.847) e marocchina (101.176). A distanza troviamo il gruppo degli alunni di origine cinese (39.211) e filippina (24.839). 
La Lombardia si conferma come la prima regione per maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana (197.202) ma anche per il numero più alto di alunni in generale (1.409.671): è seguita da Emilia Romagna (93.434 stranieri), Veneto (92.924), Lazio (77.071) e Piemonte (75.276). 
Gli studenti con cittadinanza non italiana, ma nati nel nostro paese, sono nell’a.s. 2013/14 415.283, corrispondenti al 51,7% degli alunni stranieri. Tra il 2007/08 e il 2013/14 si evidenzia una crescita esponenziale di nati in Italia nelle scuole secondarie in cui questi alunni si sono quasi triplicati (secondarie di primo grado) o più che triplicati (secondarie di secondo grado), raddoppiati nelle scuole primarie o quasi nelle scuole dell’infanzia. 
Dall’a.s. 2007/08 al 2013/14 gli alunni stranieri entrati per la prima volta nei diversi anni scolastici (neoentrati) si sono ridotti da 46.154 a 30.825 (4,9% degli stranieri), dimezzando il proprio peso rispetto alla componente straniera in sette anni scolastici. Tuttavia, tra il 2012/13 e il 2013/14 questo gruppo è tornato a crescere (+7.989 soggetti). Il recente aumento dei neoentrati nel sistema scolastico può essere collegato anche all’incremento significativo di minori stranieri non accompagnati (Msna) che ha interessato il nostro paese nel 2014.
Il rapporto fornisce infomazioni sulle “scuole con elevate percentuali” di alunni stranieri, ovvero, secondo la definizione fornita, quelle con tassi di incidenza di alunni stranieri pari del 50% e oltre (cfr. tabella 2.1 a pag. 6). Su 56.994 sono 510, ovvero lo 0,9%.
Per quanto riguarda il percorso scolastico degli alunni con cittadinanza non italiana dalle scuole primarie all’università i dati mostrano dei miglioramenti, con un decremento degli alunni in ritardo in tutte le fasce d’età, sia italiani sia stranieri. Per gli alunni stranieri, questo miglioramento è in gran parte spiegato dal consistente aumento degli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia, per i quali scompare l’effetto del ritardo in ingresso. Nonostante questo trend, le percentuali di alunni con cittadinanza non italiana in ritardo nei vari ordini di scuola segnano ancora una disuguaglianza strutturale delle carriere rispetto agli italiani.
Un’altra causa di irregolarità dei percorsi scolastici è la non ammissione all’anno successivo. I tassi di ripetenza degli alunni con cittadinanza non italiana nell’a.s. 2013/14 confermano il forte divario tra italiani e stranieri in tutti gli ordini scolastici e in particolare nei primi anni di corso.
Nell’a.s. 2013/14 i dati confermano il forte orientamento tecnico-professionale delle scelte degli alunni con cittadinanza non italiana rispetto agli italiani, che prediligono invece sempre i licei (cfr. tabella 3.1 a pag. 9)

per la scuola non basta uno slogan

fonte: la repubblica.it

Per la scuola non basta uno slogan

di NADIA URBINATI

25/02/2015

la Repubblica
PRESIDENTE del Consiglio lancia l’ambizioso progetto “la buona scuola”. Lo fa alla fine di una consultazione con i diretti interessati (alunni, docenti e famiglie) che egli stesso ha giudicato un evento unico, non solo nel nostro Paese. In una recente puntata di Piazzapulita si è avuto modo di capire che le cose non stanno proprio in questi termini: l’ascolto è stato pilotato e molti temi concreti che le scuole statali hanno urgente bisogno di discutere e risolvere non hanno avuto centralità, anche perché poco attraenti. In effetti, parlare della mancanza cronica di carta igienica nelle scuole statali di ogni ordine e grado, sapere che i genitori si autotassano ormai abitualmente per coprire le spese ordinarie degli istituti frequentati dai loro figli che lo Stato non copre: tutta questa concretezza non consente di fare spot attraenti sulla buona scuola del futuro. Tuttavia questi sono i problemi. Che non svaniscono con gli slogan: “Sì, serve la carta igienica, ma fateci sognare”. Semmai, si potrebbe dire al presidente Renzi che i sogni li dovrebbero poter fare le scuole, non il governo. E vi è di che dubitare che questi provvedimenti ben propagandati vi riescano.
Prima di tutto perché lo Stato ha dichiarato di non potere coprire le spese delle sue scuole. È come se dicesse: non possiamo garantire i diritti civili perché non abbiamo soldi a sufficienza per sostenere i tribunali. Non ci sono fondi a sufficienza. Ma se lo Stato (e i suoi organi amministrativi) finanziasse solo le sue scuole, come la Costituzione gli comanda, i soldi non sarebbero un problema così emergenziale. A fine gennaio l’Espresso ha dedicato al depauperamento della scuola statale un’inchiesta ben fatta. Eccone il senso: “Settecento milioni l’anno di denaro pubblico vanno ad aiutare gli istituti paritari, mentre lo Stato non ha soldi neppure per rendere sicure le aule. Un flusso che parte dal ministero dell’Istruzione, dalle Regioni e dai Comuni e finisce senza controlli ad enti privati di scarsa qualità o dove i professori ricevono stipendi da fame”. Governatori e sindaci, continua l’Espresso, alimentano un fiume carsico di denaro pubblico per le private, un federalismo scolastico che si somma alla sovvenzione ministeriale. L’articolo 33 della Costituzione è raggirato, e non da oggi, con l’escamotage degli aiuti alle famiglie. La Costituzione sembra non avere forza, sembra parlare la lingua dei sogni, ma non di quelli che piacciono a chi la dovrebbe attuare.
E il progetto detto “buona scuola” non cambia questo trend privatistico, ma lo legittima, lo regolamenta e lo stabilizza. Lo ha confermato proprio il presidente del Consiglio in conferenza stampa: «In futuro chiederemo autonomia anche dal punto di vista economico, così che una parte della dichiarazione dei redditi possa andare a una singola scuola». Ovvero, chi non ha figli si sentirà libero di non dare alcun contributo alla scuola pubblica, trattata come la religione o i partiti politici: oggetto di libera scelta individuale. Benché la scuola sia un bene pubblico, non privato che si può scegliere o non scegliere. La logica che guida questo progetto è opinabile: prima di tutto perché associa la tassazione per beni pubblici al consenso individuale — questo è esattamente quanto dagli anni Settanta sono andati predicando i teorici liberisti; questa è stata la filosofia che ha guidato i governi Reagan. E il reaganomics è la direzione di marcia del nostro governo sulla scuola statale.
Lo Stato si impegna a istituire e sostenere scuole di ogni ordine e grado: lo Stato, non i singoli secondo la loro personale preferenza e decisione. È evidente che il governo cerca di vendere il prodotto appellandosi all’autonomia scolastica. Ma legare il destino della scuola statale alle preferenze individuali non è una condizione di autonomia ma di assoluta dipendenza dal privato. È stupefacente come non si crei un dibattito serio e ragionato su temi così rilevanti, come le rivendicazioni della minoranza nel Pd non sappiano tradursi in contro-proposte che incalzino la maggioranza con argomenti efficaci. La dialettica sarebbe di aiuto al governo che potrebbe voler accettare la sfida della discussione e migliorare la sua proposta. In questo momento, i cittadini restano fuori del palazzo, inascoltati e fortemente critici. Organizzano convegni, lanciano petizioni, firmano documenti, ma la loro voce non ha risonanza. Non hanno rappresentanti nei partiti e non hanno nel Parlamento un interlocutore. Politica costituita e opinione dei cittadini marciano su binari paralleli.

lunedì 9 febbraio 2015

la trasmissione di presa diretta sulla scuola

PRESA DIRETTA SULLA SCUOLA


A PRESADIRETTA un'inchiesta sul progetto di Riforma del governo Renzi “La Buona Scuola” per capire cosa c’è di vero nelle critiche di studenti e insegnanti, che lo hanno contestato in tutto il paese.
Un viaggio nelle emergenze che investono la Scuola pubblica italiana. Mancanza cronica di denaro, i problemi legati alla sicurezza degli edifici scolastici, il sovraffollamento delle aule


domenica 1 febbraio 2015

dispersione alle scuole secondarie

fonte_ la scuola di mafalda

il dossier “dispersione nella scuola secondaria superiore statale” di tuttoscuola

Lo scorso 23 aprile 2014 nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, la Commissione Cultura ella camera ei Deputati ha svolto l’audizione di Giovanni Vinciguerra, direttore responsabile di Tuttoscuola, e di Mario G. Dutto, esperto del settore (la registrazione audio-video completa dell’evento è disponibile sul sito della Camera dei Deputati al seguente link: http://webtv.camera.it/evento/6304).
Sul tema della disersione scolastica:
il testo completo del dossier “Dispersione nella Scuola secondaria superiore statale” di Tuttoscuola (giugno 2014): [clicca qui] di cui pubblichiamo l'Introduzione 
- i dati dell'emergenza dispersione [clicca qui]
[Introduzione al dossier Dispersione di Tuttoscuola] Negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. Rappresentano il 31,9% dei circa 9 milioni di studenti che hanno iniziato in questi tre lustri le superiori nella scuola statale, e di questi è come se l’intera popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia e Veneto non ce l’abbia fatta. Praticamente uno su tre si è “disperso”, come si dice nel gergo sociologico. 
E dispersione fa rima con disoccupazione. Li ritroviamo infatti quasi tutti, questi ragazzi, tra i Neet (Not in Education, Employment, or Training) ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni (proprio 15 classi di età) che non studiano, non lavorano, non fanno formazione o apprendistato. L’Istat li valuta in 2,2 milioni, pari al 23,9% di quelle classi di età.
Sono cifre “da guerra mondiale”. E’ una [tragedia] sociale, un’emorragia che ogni anno indebolisce il corpo sociale del paese e ne riduce la capacità di competere come sistema nazionale nella società della conoscenza, che non sembra però essere vissuta come una vera emergenza. Tra rassegnazione e, forse, sottovalutazione di un fenomeno che condiziona e spesso pregiudica il futuro lavorativo e gli standard di vita di una fascia significativa della popolazione, e quindi la capacità di produrre reddito e PIL dell’intero paese. Infatti quei quasi 3 milioni di ragazzi partono con il freno a mano tirato nel loro percorso e con un bagaglio di opportunità molto ridotto rispetto ai coetanei che completano gli studi e continuano all’università: se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo il diploma secondario superiore (il 28% rimane disoccupato), figurarsi quali sono le prospettive di coloro che neanche ci arrivano (non a caso ben il 45% di coloro che sono in possesso della
sola licenza media sono disoccupati).
Per non parlare dei costi sociali enormi dell’abbandono scolastico: il corso di studi “interruptus” comporta che la costosa organizzazione del servizio per quei ragazzi si riveli sostanzialmente inutile. O meglio l’investimento che è stato sostenuto ha avuto un basso ritorno, perché presupponeva il completamento del corso e il conseguimento di un titolo attestante determinate abilità e competenze, obiettivo non raggiunto. E il disagio sociale che ne consegue scatena effetti collaterali, dal livello di criminalità ai costi del welfare (sussidi di disoccupazione, etc).
Di fronte a questo quadro il Parlamento ha sentito l’esigenza di avviare un’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, a partire dal
monitoraggio sui costi e sui risultati della miriade di iniziative, progetti e progettini contro la dispersione adottati da anni sul territorio, senza una regia, senza un programma strutturato e pianificato, senza appunto un controllo dei risultati e senza quindi la possibilità di trarne una lesson learned sulle pratiche più efficaci e sui modelli da implementare.
L’emorragia intanto continua, anche se con un’intensità un po’ inferiore al passato  (nel 2000 la dispersione nella scuola secondaria superiore statale sfiorava il 37%, rispetto al 28% di oggi). E il corpo del paese, che avrebbe bisogno di energie fresche e vigorose, quali possono apportare le nuove leve, si indebolisce. Da un anno di corso all’altro, una media di 40 mila studenti abbandonano la scuola statale, quasi sempre a seguito di una bocciatura.
Ben venga il piano di ristrutturazione degli edifici scolastici voluto dal governo, e l’attenzione verso la scuola che esso sta ponendo in termini di priorità. Ma i dati di questo dossier, che fotografano il disagio giovanile che ne è in buona parte la causa ma che così si alimenta e si ingrandisce come conseguenza, dovrebbero essere attaccati alle pareti della sala del consiglio dei ministri, ed essere oggetto di analisi e discussioni per trovare le medicine adatte – senza incidere sul livello di qualità complessivo del sistema formativo – a partire ad esempio dall’idea di ridurre le bocciature – che sono l’anticamera dell’abbandono della scuola – e fare corsi di recupero e attività integrative sfruttando gli spazi e i tempi della “scuola aperta” (una delle sei idee per rilanciare la scuola avanzate nel precedente dossier di Tuttoscuola, che qui riprendiamo ed approfondiamo). In questo dossier Tuttoscuola presenta un quadro aggiornato dei risultati raccolti tramite il monitoraggio condotto ininterrottamente negli istituti statali per un ventennio sul numero totale degli studenti delle superiori di tutti gli anni di corso, dalla prima alla quinta, per ogni tipologia di scuola, anche a livello regionale.
L’obiettivo è quello di misurare con precisione la consistenza e l’andamento nel tempo del fenomeno della dispersione scolastica negli istituti statali d’istruzione secondaria superiore. In questo contesto il termine ‘dispersione’ è utilizzato con specifico riferimento al numero effettivo degli studenti che si perdono uscendo del tutto dal percorso scolastico statale.
Per fare questo tipo di monitoraggio Tuttoscuola ha messo a confronto i dati di partenza (1° anno di corso) con quelli di arrivo (5° anno di corso) al termine di un quinquennio. Lo ha fatto per tutti i quinquenni dell’ultimo ventennio, registrando per diversi anni dati oggettivi preoccupanti (nel complesso uno studente ogni tre ha abbandonato), attenuati da una recente moderata tendenza alla riduzione del fenomeno.