Vivalascuola. Vent’anni dopo
Ci avviamo al tramonto del ventennio berlusconiano, allora è il tempo di domandarci: come si è trasformata la scuola italiana in questo periodo? Quali sono state le parole più usate? Quali sono state le continuità? E discontinuità, ce ne sono state? O c’è qualche filo rosso che attraversa il periodo? Ci riflette Giovanna Lo Presti con uno sguardo che abbraccia l’inizio e la fine del ventennio. Con qualche sorpresa. O forse no.
La tragicommedia della scuola italiana nel ventennio berlusconiano
di Giovanna Lo Presti
Da D’Onofrio a Carrozza
Certo non siamo come Ireneo Funes, Funes el memorioso, quel personaggio borgesiano dotato di una prodigiosa e analitica memoria. A Ireneo non sfugge nessun particolare del mondo che lo circonda ed è in grado di ricordare tutto ciò che gli accade, anche nei particolari – e per sempre. La sua straordinaria memoria lo condanna all’isolamento, all’inazione, all’incapacità di formulare idee generali:
“Non solo gli era difficile comprendere come il simbolo generico “cane” potesse designare un così vasto assortimento di individui diversi per dimensioni e per forma; ma anche l’infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte)”.Eppure anche la preoccupante mancanza di memoria che caratterizza i nostri tempi rischia di portare alle stesse conseguenze: alla incapacità di formulare giudizi generali che guidino ad una azione conseguente. Se non fosse così, in questi vent’anni noiosi e distruttivi dal punto di vista sociale, i rigurgiti di rabbia sarebbero stati sempre più frequenti e forse si sarebbero trasformati in una protesta attiva e capace di costruire un argine al dilagare del neoliberismo, che io mi rifiuto di definire “pensiero”, in quanto nient’altro è che una grezza dottrina, dominata dalla rapacità e dall’egoismo.
A parziale dimostrazione di questa tesi – e cioè che la smemoratezza sta alla base dell’acquiescenza che ha caratterizzato l’ultimo ventennio – porterò un unico e parziale esempio, costituito dal confronto tra le dichiarazioni del primo ministro della (pubblica) Istruzione dell’era berlusconiana (D’Onofrio) e l’ultimo (Carrozza). Ancorché l’ultimo ministro provenga dalle fila del principale partito di opposizione alle truppe berlusconiane, non possiamo dimenticare che il governo attuale è un ibrido, una avvilente contaminazione tra centro-destra e centro-sinistra – e quindi definire Carrozza l’ultimo ministro dell’era berlusconiana sarà (lo vogliamo dimostrare) soltanto una piccola forzatura.
Consolidamento della matrice di classe
Era il 1994 e Francesco D’Onofrio diventava Ministro della Pubblica Istruzione: avrebbe mantenuto la carica dal 10 maggio 1994 al 17 gennaio 1995. Mesi pochi, parole molte. Vediamo: obbligo a sedici anni e istruzione più unitaria. Afferma D’Onofrio:
“Quello che tengo a sottolineare è che cade il muro di Berlino che separa i due tipi d’istruzione. Cade la barriera divisoria tra licei ed istituti, crolla la separazione culturale e giuridica tra diverse scuole. Grazie ad una nuova flessibilità si potrà passare più facilmente da un tipo d’insegnamento all’ altro”.Caspita, una vera rivoluzione! Vent’anni dopo, di innalzamento dell’obbligo e di barriera divisoria tra licei ed istituti tecnici e professionali nelle linee programmatiche del ministro Carrozza non c’è traccia. Il cammino rabdomantico che l’innalzamento dell’obbligo a 16 anni ha percorso ha prodotto, come unica “novità”, il trionfo del compromesso al ribasso e dell’ipocrisia: perciò l’assolvimento dell’obbligo può avvenire, dopo i 15 anni di età, anche attraverso la stipula di un contratto di apprendistato (1).
Per approdare a questo punto, abbiamo dovuto attraversare le secche di Moratti, che aveva creato la fantasiosa espressione del “diritto-dovere” alla formazione e all’istruzione e abbiamo sopportato fastidiose prese di posizione (false come Giuda) volte a sostenere che il sapere “pratico” dell’apprendista è equivalente al sapere teorico offerto dalla scuola tradizionale.
Per smontare l’equivalenza tra formazione professionale e scuola superiore è sufficiente rilevare il numero di figli di genitori laureati iscritti ai corsi di formazione professionale. Oggi – ce lo confermano le indagini più recenti sull’argomento – ai licei vanno i figli delle famiglie abbienti e ai tecnici e ai professionali tutti gli altri, che, evidentemente, progenie di vil gente meccanica, non sono “portati” allo studio.
Tocchiamo così uno dei punti centrali e più preoccupanti che hanno caratterizzato nell’ultimo ventennio la scuola italiana: e cioè il consolidamento della matrice di classe della scuola nel suo complesso. [-------]
Nessun commento:
Posta un commento