Perché parlare di adozione a scuola
Anni
fa, in un contesto dove erano nettamente maggiori le adozioni
nazionali, la scelta della rivelazione della nascita adottiva era
lasciata alla discrezionalità dei genitori; anche oggi non tutti i
minori ricordano di non aver sempre vissuto con la propria mamma ed il
proprio papà, tuttavia viene affermata l’importanza ed il diritto del
bambino di conoscere la verità, seppur gradatamente, fin da piccolo.
La legge 149/2001, all’art.28, afferma che il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei momenti e termini che essi ritengono più opportuni; non sono previste sanzioni per eventuali omissioni ma è sicuramente importante questo riconoscimento formale della rivelazione[1].
Il racconto adottivo non è in ogni caso da intendersi come una comunicazione formale che avviene una volta per tutte ma come un processo continuo che vede coinvolti tutti gli adulti di riferimento anche se, in primo luogo, il nucleo familiare.
La legge 149/2001, all’art.28, afferma che il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei momenti e termini che essi ritengono più opportuni; non sono previste sanzioni per eventuali omissioni ma è sicuramente importante questo riconoscimento formale della rivelazione[1].
Il racconto adottivo non è in ogni caso da intendersi come una comunicazione formale che avviene una volta per tutte ma come un processo continuo che vede coinvolti tutti gli adulti di riferimento anche se, in primo luogo, il nucleo familiare.
Nel momento dell’ingresso nella scuola
dell’obbligo il bambino è pienamente consapevole del suo essere figlio
adottivo ed è di primaria importanza che ciò non sia vissuto come un
tabù all’interno dell’aula scolastica; è la confusione, la mancanza
d’informazioni corrette a generare eventuali situazioni problematiche,
non il parlarne. Così come si rivela fondamentale che i genitori
rassicurino il figlio anche attraverso la serena narrazione della prima
nascita, avvenuta in un altro Paese, e della sua entrata in famiglia
tramite l’adozione, è opportuno che il personale scolastico sappia
cogliere la significatività di questo aspetto della vita dell’alunno.
La scuola ha un ruolo importante nel
percorso di crescita del minore ed il bambino trascorre con compagni ed
insegnanti gran parte della sua giornata; è verosimile che, raggiunta la
necessaria familiarità, senta il bisogno di raccontare qualcosa di sé o
che sia in parte invitato a farlo. Il figlio adottivo è portatore di
una diversità che non si esaurisce semplicemente nel suo essere
somaticamente e culturalmente differente dai compagni: l’adozione ha
indubbiamente anche un lato doloroso caratterizzato da separazioni e
perdite.
L’insegnante che, in ogni grado di
scuola, sceglie deliberatamente di non dare spazio all’approfondimento
di questo istituto, di non parlarne, veicola un messaggio che, se nel
migliore dei casi, è di generale indifferenza, nel peggiore può
esprimere la personale incapacità di approcciarsi ad una storia troppo
dolorosa per essere raccontata[2].
Il bambino ha invece il bisogno di trovare, anche nella scuola, adulti disponibili ad ascoltarlo e sostenerlo nel difficile percorso d’elaborazione del suo passato e delle complesse vicende vissute; l’indifferenza genera disagio ed il bambino può avere la sensazione di non essere accolto totalmente, di non essere capito, mentre l’evitamento comporta un serio disorientamento legato alla percezione che neanche un insegnante abbia saputo trovare le parole per avvicinarsi alla sua realtà.
Un eventuale eccesso di pudore del personale scolastico verso l’alunno figlio adottivo può implicitamente legare all’adozione un senso di vergogna, di colpa, qualcosa di cui è opportuno non parlare. In ogni caso, ma a maggior ragione se in classe è presente un bambino adottato, l’insegnante dovrebbe essere preparata ad affrontare eventuali dubbi e domande in merito a questo percorso differente per essere famiglia.
Il bambino ha invece il bisogno di trovare, anche nella scuola, adulti disponibili ad ascoltarlo e sostenerlo nel difficile percorso d’elaborazione del suo passato e delle complesse vicende vissute; l’indifferenza genera disagio ed il bambino può avere la sensazione di non essere accolto totalmente, di non essere capito, mentre l’evitamento comporta un serio disorientamento legato alla percezione che neanche un insegnante abbia saputo trovare le parole per avvicinarsi alla sua realtà.
Un eventuale eccesso di pudore del personale scolastico verso l’alunno figlio adottivo può implicitamente legare all’adozione un senso di vergogna, di colpa, qualcosa di cui è opportuno non parlare. In ogni caso, ma a maggior ragione se in classe è presente un bambino adottato, l’insegnante dovrebbe essere preparata ad affrontare eventuali dubbi e domande in merito a questo percorso differente per essere famiglia.
L’adozione rappresenta una realtà che ha
molte possibilità d’intrecciarsi con la normale programmazione didattica
ed è opportuno che ciò venga fatto con naturalezza e sensibilità. Nel
momento in cui, in Scienze o in Storia, si parla di nascita è doveroso
affrontare anche la nascita adottiva, creando i presupposti perché
l’alunno figlio adottivo, se lo desidera, possa condividere la sua
esperienza con i compagni. Gli strumenti che l’insegnante può utilizzare
per raccontare l’adozione agli alunni sono molteplici e, in relazione
alla crescente consapevolezza dell’importanza dell’esperienza scolastica
nel percorso adottivo, sono in aumento le pubblicazioni specifiche per
la scuola.
Nella scuola è importante che
l’insegnante sia in grado di valorizzare l’eterogeneità della classe e
che sappia tenere in considerazione il benessere di alunni provenienti
da qualsiasi costellazione familiare. La famiglia adottiva si inserisce
oggi in un panorama di modelli familiari sempre più variegato ed è
importante che il mondo dell’istruzione sappia sfruttare questa realtà
per avviare un’educazione ai rapporti familiari che porti gli alunni a
maturare gradatamente il vero significato di genitorialità e filiazione:
si tratta infatti di legami che vanno ben oltre i vincoli genetici e
giuridici e che si generano piuttosto nella condivisione di affetti,
esperienze e significati.
Questa tipologia di attività e di
riflessioni può essere sicuramente di sostegno al minore straniero in
stato d’adozione ma indubbiamente è positiva anche per figli che vivono
la realtà del divorzio, della convivenza, dell’affido, della presenza
di un solo genitore.
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