• Diario di un maestro (fonte community education)

    by  • 4 febbraio 2014 •

    banchi
    Ci sono amici fraterni che sono anni che mi dicono che non raccontare le storie che quotidianamente vivo sia un grande errore. Purtroppo scrivere non è mai stato qualcosa che mi veniva automatico, forse proprio a causa della scuola che ho frequentato e dei segni che ha lasciato su di me. Per non parlare del problema tempo, sempre così tiranno e capace di scorrere ad una velocità sempre doppia al dovuto. È giunto però il momento di farlo, soprattutto per rispettare il lavoro dei volontari, per dare dei segnali di speranza ai nostri ormai numerosi sostenitori e per i bambini e ragazzi che sono straordinariamente complessi e belli.
    Sono tanti anni che vivo nel mondo dell’educazione e per ciò che ho vissuto da studente e nella vita adulta non posso che non provare empatia per coloro che arrivano ultimi sia come alunni che come genitori. Mi siedo a fianco di coloro che occupano l’ultimo banco della vita e insieme a loro facciamo i compiti in classe.
    Nella mia carriera scolastica dall’elementari all’Università mi sono sempre sentito ripetere che io agli esami andavo bene, molto meglio di quanto meritassi, perché sapevo parlare. Mi hanno dato dell’affabulatore, dell’istrione, dell’affascinatore, con quel misto di ammirazione e disprezzo. Nel lavoro di maestro ad un certo punto ho messo questa mia capacità al servizio di quelli che non avevano voce, che l’avevano persa gridando o che era soffocata dalla vergogna. Se ci ero riuscito io imbrogliando con le parole allora le avrei usate per coloro che ne avevano a disposizione poche. È che io quando ho paura abbasso la testa e parto. Il mio amico Eugenio dice che sono un muflone e quando ci alleniamo le botte che prendo provengono da questo mio atteggiamento. Negli affetti come nell’MMA i disastri sono stati evidenti ma nel mondo del scuola come in quello dell’educazione non convenzionale mi ha portato ad essere rispettato e riconosciuto. Grazie agli allenamenti esteriori ed interiori sto anche imparando ad aspettare il momento giusto per andare a segno, a coltivare la calma e l’ascolto. Dimostrazione ulteriore che il male è solo un bene messo nel posto sbagliato.
    Negli Stati Uniti un giorno mi dissero che ero bravo per le prime 30 yard e non si riferivano al football americano. Sono riuscito tante volte ad aprire una breccia in luoghi apparentemente impenetrabili. Ancora oggi se c’è da far partire un’iniziativa io sono lì in prima linea e mi sento a mio agio nel tracciare sentieri.
    Cammino tra due mondi, quello istituzionale e quello della Community e vedo ogni giorno sempre di più sparire quella linea di confine che ancora oggi divide lo Stato dalla Comunità. È il tempo dell’alleanza, della consapevolezza che in questo momento storico da solo nessuno se la cava.
    Chi dice: “Voglio un’educazione vera, bella e buona per i miei figli!” tolga la parola miei e vedrà spalancarsi porte che non aveva mai visto.
    In questo spazio raccoglierò dei frammenti di quel mosaico che è la Comunità che Educa, dove chissà, forse anche tu che leggi, ne possiederai qualcuno da poter inserire per renderlo più grande e bello.
     Danilo Casertano