mercoledì 22 febbraio 2012


Intervento CGD giornata europea dei genitori

La scuola è la mia casa ama ripetere un ex ministro dell’istruzione. Dev’essere casa per i ragazzi , per i docenti, per i genitori: luogo della sicurezza e del ben-essere, luogo di crescita e di condivisione di responsabilità.

Condividiamo empaticamente e non solo quest’affermazione. Ma perché essa non sia uno slogan,  una petizione di principio occorrono alcuni interventi.
Innanzitutto occorre che ci creda il mondo degli operatori- docenti e dirigenti in primis-: Il coinvolgimento della famiglia è un fattore importante se non indispensabile, per migliorare i livelli di formazione dei giovani. Non è più il tempo di distinzioni sofistiche tra istruzione ed educazione. Il tema è oggi quello dell’education.

So che la partecipazione dei genitori a scuola pone non pochi interrogativi:

1.    Quali sono i legittimi diritti e doveri dei genitori in materia di educazione? I genitori sono “naturalmente” ed effettivamente i primi educatori dei figli, ne indirizzano fin dall’infanzia i comportamenti affettivi, relazionali e cognitivi; hanno il diritto\dovere di provvedere al percorso di istruzione. Ma in quale legittima relazione sono con le istituzioni scolastiche? Qual è il loro potere o il loro valore di interferenza rispetto alla professionalità di chi opera nel sistema scolastico?

2.    Il rinnovato interesse per la loro partecipazione che si registra in molti paesi è segnato da un valore di democrazia e di coinvolgimento delle parti sociali nelle istituzioni o è determinato dai problemi che sempre più emergono nelle società contemporanee, dalla fatica di formare i giovani e da una scuola che da sola non riesce più a conseguire i migliori risultati?

3.    La partecipazione dei genitori può essere collettiva (come rappresentanza istituzionale) o individuale (come collaborazione alla vita della scuola, della classe, nonché come risorsa per migliorare i risultati del proprio figlio). Quale la risoluzione più efficace? I due tipi di partecipazione sono necessariamente connessi?

4.    Partecipazione, cooperazione o potere parentale? Qual è la giusta misura di una collaborazione che non ponga in disequilibrio il sistema educativo? Dove sta la legittima frontiera tra i poteri dei genitori e i poteri del legislatore, dei docenti, dei dirigenti?

. Nessuna delle due istituzioni ha la possibilità di conseguire quantità e qualità dei risultati separatamente. Ne deriva una definizione della collaborazione\cooperazione dei genitori nella scuola come “ una relazione di lavoro caratterizzata da comuni obiettivi, rispetto reciproco e volontà di negoziare. Ciò implica la massima circolazione reciproca delle informazioni, delle responsabilità, delle competenze e dei doveri di rendere  conto. La cooperazione richiede innanzitutto che ogni parte riconosca le specifiche attitudini dell’altra”. Né una Carta, quindi, nè, una genitocrazia  perché una liberalizzazione senza regole: può creare la segregazione sociale di intere aree territoriali e di classi sociali .

Diventano perciò fondamentali tre elementi

 1) l’informazione. Essere informati, e consapevoli, è una condizione indispensabile per esercitare davvero qualsiasi diritto di cittadinanza.

E non è inutile rilevare il corrispondente dovere degli insegnanti di informare, e fare capire i contenuti dell’offerta formativa, esplicitandone le priorità educative e argomentandone la scelta. Basta porre mente alla questione della verificabilità degli obiettivi formativi, o della esplicitazione preventiva dei criteri di valutazione degli studenti, per rendersi conto che già la messa in pratica ferma ed effettiva di questa forma di partecipazione costituisce un passo avanti sulla via della democrazia.

1)       La consultazione.  Essere interessati ad un servizio non significa necessariamente essere competenti a progettarlo e realizzarlo. Cionondimeno, si può partecipare avendo la possibilità di esprimere non solo interessi e aspettative, ma anche i dubbi, le perplessità, che si traducano o no in richieste esplicite. Segnali, insomma, importanti da raccogliere doverosamente e anzi da sollecitare, da parte di chi è professionalmente e istituzionalmente competente, per progettare un servizio. Non perché aderisce supinamente alle eventuali richieste, che vanno comunque rielaborate; ma perché tiene conto delle caratteristiche del contesto che quei segnali consentono di rappresentare in modo plausibile.

2)           La codecisione. Elemento fondamentale, se le prime due condizioni sono attive, pur nella consapevolezza di asimmetria professionale e di competenza tra docenti e genitori.

Quanto la cultura della scuola militante è pronta a questo? Quanto è disponibile a sciogliere le sue diffidenze? Quanto a non immaginare che il genitore sia solo portatore di un interesse privatissimo ed individualistico? Le associazioni, il loro percorso sono qui a dimostrare il contrario! Ma quanto del parere dei genitori si è tenuto conto ad esempio nella recente partita del dimensionamento?
Oggi sappiamo che, finalmente si pensa di mandare in pensione i vecchi OOCC. Ma attenzione a non valorizzare, a non normare quei momenti fondamentali nella crescita della comunità scolastica: il consiglio di classe, il comitato dei genitori, delle norme per il governo territoriale.

E’ vero la democrazia non si insegna, ma si pratica: attenzione però a lasciare aperti gli spazi in cui essa può essere praticata!


Coordinamento Genitori Democratici Nazionale ONLUS
Via Cardano 135 00146 Roma
tel. 06.5587336 fax 06. 55133316
FONTE: SEMI DI SERRA

Scuola e decrescita



Se consideriamo i principi che hanno guidato i riformatori della scuola italiana negli ultimi cento anni, vi ravvisiamo persistente il dualismo di cultura e utile, e questo orientamento: distinguere la scuola “formativa”, per minoranze e cioè aristocratica, dalla scuola per la massa, a carattere strumentale ed esecutivo.”
Pongo a incipit di questa mia riflessione sull’agire politico nella scuola una anacronistica citazione del 1960, da una pubblicazione della Società Umanitaria di Milano. D’altra parte ritengo che sia necessaria una certa dose di anacronismo nell’affrontare il tema scuola nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione. Soprattutto se ci riferiamo alla sua seconda parte: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La premessa che vorrei porre è la consapevolezza della crisi di civiltà che stiamo attraversando. Crisi che è auspicabile dovrà risolversi con la transizione a un altro tipo di società, che chiameremo della decrescita. I contorni di questa altra organizzazione sociale sono ancora poco definiti e definibili, ma certamente avranno a che fare con il nostro articolo 3 e con la rimozione degli ostacoli per il pieno realizzarsi della persona. In questo orizzonte il territorio della scuola e della formazione è di primaria importanza proprio per liberarsi dalla funzione di addestramento al consumo che anche la scuola odierna promuove.
Esiste da oltre un secolo nella scuola italiana il dualismo tra cultura e utile. Se dei grossi passi in avanti nella soluzione di questa scissione ci furono (prima dei tagli orizzontali dello scorso governo) nella Scuola Primaria e anche in quella dell’Infanzia, lo stesso non possiamo dire per la scuola Media e Superiore.
La mancanza di un’analisi di cosa sia l’Istruzione tecnica e la Formazione professionale nel nostro paese è grave. Lo è maggiormente se consideriamo che almeno la metà degli adolescenti italiani si iscrivono a quel tipo di scuola superiore.
Il livello di destrutturazione di tale istruzione è ancora più alto di quello che è avvenuto nei licei. E’ evidente il disinvestimento verso questo tipo di formazione. Frutto della generale trasformazione della scuola in parcheggio per i minori, ma anche del persistente dualismo tra cultura e utile. Proprio quel dualismo che fu alla base del testo della Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana [1].
Ritengo che, proprio nell’orizzonte della decrescita, questa opposizione tra intelligenza pragmatica e formale, sia da sollevare e tentare di risolvere. Avremo necessità di recuperare saperi e conoscenze strettamente legate al saper fare e questo servirà nel processo di liberazione dai modelli di consumo e nell’ottica di una maggiore auto-produzione dei beni e delle merci, nonché in quella della riparazione degli stessi.
Vi pregherei di non sottovalutare questo aspetto. Chi oggi compie pratiche di questo genere lo fa con una logica di nicchia e come scelte individuali, non cogliendo il potenziale culturale e politico che la diffusione di massa di tali pratiche avrebbe.
In questo la scuola dovrebbe assolvere un ruolo centrale. Sia durante il processo che per la sua conclusione, ma su questo tornerò.
Credo che l’asse dell’Intelligenza della mano sia da promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, dalla scuola Materna all’Università, non come sottomateria per i proletari, bensì come strumento di emancipazione e acculturazione per tutti
In questo ho incontrato esperienze e letture interessanti. Provo a citarne alcune.
Per quanto riguarda la fase evolutiva che va dai tre anni ai dieci il metodo di Bruno Munari [2] è molto fecondo. Riesce infatti a introdurre nell’evoluzione del bambino la pratica del laboratorio e del lavoro cooperativo nella cornice culturale della produzione artistica.
Per quanto riguarda i ragazzi mi riferisco a parte dell’elaborazione di Enzo Mari [3]. La sua visione del prodotto e del processo è molto al di fuori della logica di mercato e introduce una dimensione progettuale che mette insieme cultura umanistica e capacità tecnica.
Entrambi questi intellettuali sono milanesi e hanno avuto a che fare nei ’60 (prima del fatidico ’68) con la Società Umanitaria e le sue sperimentazioni didattiche. Credo che anche in quella esperienza ci sia molto da attingere. Mi spingerei fino a citare anche l’esempio del Bauhaus [4].
Molti insegnanti si lamentano della continua mancanza di fondi per la scuola, e del precipitare della funzione della Scuola pubblica e Statale. Hanno ragione nei contenuti, ma cercherei di fare attenzione a non incentivare i facili meccanismi della guerra tra poveri, ovvero accentuare l’incomunicabilità che sussiste e si aggrava tra docenti, genitori e studenti.
Le condizioni di vita e di lavoro stanno peggiorando per ampi strati della popolazione. Possiamo dire che la crisi sta modificando redditi e stili di vita sia del ceto medio che di quello popolare. Dentro la scuola, per un osservatore esterno come me, si riproducono queste asimmetrie. Questo succede tra docenti e personale di ruolo e precari, ma anche tra docenti e i frequentatori. del servizio scuola. Ovvero gli insegnanti di ruolo devono essere consapevoli di essere ancora titolari di diritti che ampie fasce della popolazione si vedono sottrarre. Non sono privilegi, sono diritti, ma possono essere facilmente scambiati. Questa è la fenomenologia della guerra tra poveri.
In questo contesto è importante affermare la necessità di un’idea regolativa di scuola pubblica statale e nazionale, ma dobbiamo avere anche la capacità di sviluppare coalizioni tra tutti quei soggetti che della distruzione della scuola pubblica stanno pagando e pagheranno le conseguenze. La frantumazione sociale insieme ai tentativi di riforma hanno creato delle notevoli differenze in termini di servizio non solo e non tanto tra scuole di contesti lontani, ma spessissimo anche tra quelle confinanti. Questo aggrava gli effetti della crisi, e rende necessario il sostegno delle comunità locali nella difesa del territorio scuola.
La difesa della scuola pubblica statale è il punto di partenza.
Non posso ora definire quale sarà quello di arrivo. Troppo incerti sono gli effetti delle crisi che stiamo attraversando per stabilire quale sarà il contesto politico e giuridico della scuola del futuro.
All’interno di questo processo si sta sviluppando un fenomeno interessante. Cresce, soprattutto per la scuola Primaria, la partecipazione attiva dei genitori nel sostenere e difendere l’educazione dei propri figli. Sono certamente tante le associazioni, registrate o di fatto, che stanno raccogliendo fondi per sostenere la propria scuola, per garantire questo bene comune ai propri figli, per far finta che sia una realtà politica irrilevante. Ne abbiamo avuto un assaggio quando facemmo la campagna di Pinocchio per la scuola pubblica e statale [5]; il nostro appello in rima letto da Paolo Poli e che è circolato molto sul web. Se andate a scorrere chi ha ripreso quel nostro appello troverete molte realtà di quel tipo. Ovviamente sono riflesso dell’impreparazione e della parzialità di questo tempo. Ma il lavoro politico sta proprio nel rapportarsi anche a loro, nel coglierne i limiti e le potenzialità
Qui vorrei introdurre una proposta. Perché non proviamo a contattarle una a una, farci spiegare in quale modo stanno difendendo la loro scuola, riservargli uno spazio? Credo che questo lavoro ci consentirebbe di capire meglio cosa si sta muovendo in quel contesto e calibrare il nostro intervento.
Sappiamo che le agenzie formative si sono moltiplicate, indebolendo sia la funzione educativa della famiglia che quella dell’istituzione scuola. Questo aspetto andrebbe molto approfondito. Non sarà possibile nessuna transizione senza che si inneschino dei processi di critica alla società dei consumi e dello spettacolo. Tali processi avverranno se in molti cercheranno strumenti di disvelamento della realtà. Questa ricerca non avviene nella solitudine della meditazione (o può avvenire, ma per pochi), bensì è un prodotto della relazioni. La società che chiamiamo della decrescita avrà una fortissima componente relazionale e di scambio non mercificato. La scuola sarà la palestra per questa transizione.
La società odierna ha rinchiuso ognuno nel proprio piccolo mondo domestico.
Questo ha effetti devastanti specie sui più piccoli. Il mondo dei bambini è troppo rinchiuso tra giochi di plastica, televisione e supporti elettronici vari. Dobbiamo fare in modo che siano strumenti tra gli altri, cioè integrare l’esperienza tecnologica e virtuale – ormai ineludibile – con l’esperienza fisica del mondo. Manca quasi totalmente il gioco tra pari, la scoperta del mondo, la relazione con gli adulti che non siano insegnanti e genitori. E questo credo sia terreno di forte coalizione tra le varie componenti della scuola.
E’ giusto che questi bambini frequentino la scuola e che si preparino a essere cittadini. Ma è altrettanto necessario che possano, attraverso il gioco libero, fare esperienza e formare il loro carattere.
Non vedo altro luogo in questo momento storico che non sia la scuola che possa permettere l’inizio di una nuova società relazionale.
Voglio dire che, una volta terminate le lezioni, quell’ edificio, presente in ogni luogo della nostra penisola, può essere il luogo di incontro e di relazione tra i bambini, gli adolescenti e gli adulti. E questo proprio a causa della desertificazione di altri luoghi di socialità.
Quindi ritengo che dovremmo interpretare l’Educazione ai media in questa chiave. Impostando un lavoro di attività varie da proporre nei vari contesti. Intendo quindi sia attività di vero e proprio dopo scuola che di gioco libero, che di destrutturazione del Video - bambino [6] attraverso cicli di incontri maggiormente concernenti le tecniche di produzione dei media. La capacità critica verso i media viene sviluppata se il contesto relazionale per la crescita del bambino è ricco, penso, quindi, che l’attività di vera e propria educazione al linguaggio mediatico debba essere solo una parte delle cose da fare in questo contenitore.
Direte che è la trasformazione della scuola in oratorio laico. Sì, sarà una visione un po’ da Scuola di Barbiana, ma è politicamente doveroso che ci si impegni fattivamente nel realizzarlo. Direte anche: perché non farlo in altri luoghi più adatti? E invece no, è importante che avvenga proprio negli edifici scolastici. E’ un interpretazione del termine laico che mi porta a ritenere quel luogo come quello adatto a svolgere questa funzione di contenitore durante la transizione.
L’accezione di laico la intendo sia culturalmente e religiosamente, che, permettetemi, socialmente e politicamente. Non è l’interclassismo a portarmi a proporre tale tipologia di azione politica. E’ l’esatto contrario, ovvero la consapevolezza che il bisogno di socialità e mutualità si svilupperà in ampi strati della popolazione, proprio quelli deprivati delle proprie culture e dei propri saperi, e trasformati in consumatori – produttori anonimi.
La capacità di cogliere questi bisogni, di rapportarsi a loro in forma laica, ovvero senza riprodurre identità vuote e forme di mercificazione sociale, darà la possibilità di risolvere la crisi di civiltà attraverso forme di organizzazione solidaristiche.
Ettore Macchieraldo dei Semi di Serra
Roppolo, Biella, 19 febbraio 2012


[1] Don Milani fu inviato quale priore di Barbiana (frazione di Vicchio), un piccolo borgo sperduto sui monti della diocesi di Firenze, a causa di alcuni dissapori con il cardinale di Firenze. Qui incominciò un'esperienza educativa unica e rivolta ai giovani di quella comunità che, anche per ragioni geografiche ed economiche, erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città.
La scuola sollevò immediatamente delle eccezioni e molte critiche, gli attacchi ad essa furono tanti, dal mondo della chiesa (né Giovanni XXIIIPaolo VI intervennero mai a suo favore) e da quello laico. Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera ad una professoressa”, libro scritto dagli allievi della scuola insieme a don Milani (e infatti come autore del libro è indicato "Scuola di Barbiana"), che spiegava i principi della Scuola di Barbiana e al tempo stesso costituiva un atto d'accusa nei confronti della scuola tradizionale, definita "un ospedale che cura i sani e respinge i malati", in quanto non si impegnava a recuperare e aiutare i ragazzi in difficoltà, mentre valorizzava quelli che già avevano un retroterra familiare positivo, esemplificando questo genere di allievi con il personaggio di "Pierino del dottore" (cioè Pierino, figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).
[2] Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Munari Bruno, EditoreLaterza
[3] Enzo Mari, Progetto e passione, Bollati e Boringhieri, 2001
[4] Bauhaus, fu una scuola di architettura, arte e design della Germania che operò a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e a Berlino dal 1932 al 1933
[5] ovvero l’incomunicabilità che sussiste e si aggrava tra docenti, genitori e studenti.
[6] Faccio riferimento alla definizione di Giovanni Sartori in “Homo videns”, Editori Laterza, 1999 “… il bambino la cui prima scuola (la scuola divertente che precede la scuola noiosa) è la televisione, è un animale simbolico che riceve il suo imprint, il suo stampo formativo, da immagini di un modo tutto centrato sul vedere”

giovedì 16 febbraio 2012



Comune di Fermo – Assessorato ai Servizi Sociali

Unità Operativa Disabili – Comune di Fermo

Centro “Montessori”

Ambito Territoriale Sociale XIX
In collaborazione con :
Anffas del fermano – Filippide del fermano – Volere Volare – Liberi nel Vento – Farsi Prossimo – Emozionalmente – COOSS Marche



Fermo

Venerdì 3 febbraio 2012
ore 21.00

Teatro “Luigi Antonini”
via Visconti d’Oleggio n. 60

Presentazione del volume
L' autismo a scuola. Quattro parole chiave per l'integrazione
(Carrocci Editore 2011)
di Lucio Cottini

Il libro
Un allievo con bisogni speciali e particolari come quello affetto da disturbo autistico può trovare nella scuola un ambiente idoneo per il suo sviluppo e per la sua integrazione sociale? Ha senso perseguire obiettivi di inclusione per un bambino che risulta poco attrezzato per vivere con gli altri, enfatizzando deficit a livello di interazione sociale, comunicazione sociale, comportamento e tipologia di interessi? Il volume intende dare risposta a tali quesiti di fondo e, adottando un approccio pragmatico e operativo, presenta numerose linee d'azione in grado di rendere l'esperienza scolastica degli allievi con autismo un'opportunità davvero importante di crescita e interazione. Certamente il progetto inclusivo riveste grande complessità e richiede un'alleanza significativa fra tutti gli attori chiamati ad intervenire: non solo il personale educativo, ma anche le famiglie, i servizi specialistici, gli enti locali, le associazioni. Progettazione, Organizzazione, Didattica speciale e Compagni sono le quattro parole chiave che identificano altrettanti percorsi di lavoro per centrare il bersaglio dell'integrazione.

Lucio Cottini è professore straordinario di Didattica e Pedagogia Speciale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Udine. È responsabile scientifico dell'American Journal on Mental Retardation (edizione italiana) e fa parte del Comitato scientifico di varie riviste specialistiche. E’ referente del progetto “Autismo Marche” per l’età adolescenziale e adulta e dirige il Centro socio-educativo "Francesca" di Urbino. Ha pubblicato 28 volumi e oltre 120 articoli scientifici nazionali e internazionali.
Per informazioni : 0734.622521
http://www.centromontessori.it/
info@centromontessori.it

martedì 14 febbraio 2012

FONTE: DISABILI.COM

ISCRIZIONI AL PROSSIMO ANNO SCOLASTICO: LE SCUOLE PARITARIE HANNO L’OBBLIGO DI ACCOGLIERE GLI ALLIEVI DISABILI


L’eventuale rifiuto di iscrizione dell’allievo certificato va denunciato alla Procura della Repubblica

A breve saranno ultimate le iscrizioni per il prossimo anno scolastico nelle scuole di ogni ordine e grado. È bene precisare che tutti gli alunni in situazione di handicap hanno diritto a frequentare non solo le classi comuni della scuola statale, ma anche quelle delle scuole paritarie. Queste ultime, infatti, svolgendo un servizio pubblico in virtù della L. 62/2000, hanno l’obbligo di accoglierli senza alcuna discriminazione. In caso di non ottemperanza a tale obbligo è prevista la perdita della parità ottenuta.
UNA DIFFICILE ACCOGLIENZA – L’accettazione degli allievi disabili nelle scuole paritarie non è sempre serena; il problema principale è il sostegno, che le scuole non sono tenute a pagare. Nella Scuola Primaria, se l’istituto paritario è anche parificato (se ha cioè anche stipulato una convenzione con il ministero) l’onere di pagare il docente di sostegno spetta al Miur; se invece è paritario ma non parificato, è in genere beneficiario di un contributo pubblico annuale per coprire le spese del sostegno. Gli importi, però, sono bassi, insufficienti al bisogno e così succede spesso che la scuola avvisi i genitori che coprirà il sostegno solamente fino all’equivalente del contributo ricevuto o che chieda loro di partecipare al pagamento con rette aggiuntive. L’obbligo di accoglienza è stato siglato da una legge, ribadito dal tribunale di Roma nel 2002 e ancora sottolineato nel 2008 con un decreto ministeriale. Nella concretezza, però, davanti alle carenze economiche o ai ritardi nei rimborsi da parte dello Stato, accade che le scuole paritarie possano scoraggiare se non addirittura rifiutare l’iscrizione di una alunno con disabilità.

IL NO E' ILLEGALE – Il D.M. 83/08 contiene le Linee Guida che regolano le modalità per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento. In particolare, in esse si esplicita che il gestore deve dichiarare l’impegno ad applicare le norme vigenti in materia di inserimento di studenti con disabilità, con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA) o in condizioni di svantaggio. L’Ufficio Scolastico Regionale (USR) ha il compito di verificare la completezza e la regolarità delle dichiarazioni e dei documenti prodotti dalla scuola. Se l’USR, a seguito di verifica ispettiva, accerta che non vi è rispondenza ai requisiti di legge, invita la scuola a ritornare nella legalità entro il termine di 30 giorni e, se ciò non accade, provvede alla revoca della parità. Per la revoca è sufficiente la perdita anche di uno solo dei requisiti previsti dalla normativa. Se un genitore, pertanto, dovesse vedersi negare l’iscrizione del proprio figlio a una scuola paritaria può, anzi, deve presentare regolare denuncia alla Procura della Repubblica.
FONTE: LA STAMPA.IT

Con #Monti #scuola meno sicura?

FLAVIA AMABILE

Non se n'è ancora parlato perché la novità è nascosta dietro le norme spesso sibilline di un decreto, piene di rimandi a altre leggi e commi. E' successo questo, però: il decreto sulla semplificazione del 9 febbraio ha eliminato l’obbligo di redazione, tenuta e aggiornamento del Documento Programmatico sulla sicurezza da parte dei presidi delle scuole.
Una parte dei presidi è contenta, sostiene che si tratta dell'eliminazione di una delle tante, inutili molestie burocratiche. Ma un'altra parte di presidi avverte: 'ora le scuole meno sicure'. Il preside infatti potrà lavarsene le mani in caso di problemi sulla sicurezza ma anche della privacy perché la norma si estende anche ai furti di dati dei ragazzi nelle scuole.
Come sempre, probabilmente, i dirigenti validi continueranno a fare il loro dovere con coscienza. Gli altri, invece, avranno uno strumento in più per non farlo.
FONTE: OGGI

domenica 12 febbraio 2012

*La scuola pubblica italiana e il modello lombardo *



Strani movimenti di truppe in Lombardia sul fronte della scuola pubblica: un disegno di legge regionale che istituisce concorsi di istituto per arruolare direttamente gli insegnanti e la nomina di Valentina Aprea all’assessorato all’istruzione. Se il disegno di legge diventerà effettivamente legge della Regione, dall’anno scolastico 2012/2013 in Lombardia la scuola pubblica della Repubblica Italiana si avvierà irreversibilmente verso una deriva paritaria, ultima figura della tanto decantata autonomia scolastica.

Non è forse inutile rammentare che sotto l’anodina espressione di ‘concorso di istituto’ si cela la famigerata ‘chiamata diretta’ che in questi ultimi anni è stata spesso e volentieri invocata come la panacea di tutti i mali
della scuola italiana. Il corpo sacrificale di questa ‘soluzione definitiva’ è ovviamente quello dell’insegnante precario, colpevole di aver supplito se stesso per anni e non essere ancora ‘entrato di ruolo’: va da sé infatti che se ogni istituto potrà indire concorsi il singolo insegnante precario che ogni anno attende la chiamata dal sistema delle graduatorie, si troverà schiacciato nell’impresa impossibile di dover partecipare a tutti i concorsi possibili ed immaginabili per avere la speranza di continuare a fare il suo lavoro. Ma questo accanimento ai limiti del sadismo nei confronti dell’insegnante precario non è ovviamente fine a se stesso. Tralasciamo qualsiasi discussione circa la possibilità che un sistema di questo tipo possa realmente selezionare i ‘migliori’ e quindi far ‘crescere’ la qualità della scuola italiana, lasciamo questo ridicolo esercizio argomentativo alla cortina fumogena del 90% della carta stampata italiana. Concentriamoci su quali potrebbero essere le reali ricadute della messa in opera di un dispositivo di reclutamento che nei fatti assoggetta definitivamente l’insegnante all’arbitrio del dirigente scolastico e del suo staff. In primo luogo verrebbe meno un principio cardine della nostra Costituzione che è la libertà di insegnamento, in secondo luogo si porrebbero le basi per la lottizzazione delle istituzioni scolastiche da parte di differenti agenzie e potentati di natura politica, ideologica o confessionale, in terzo luogo verrebbe meno un principio cardine fondamentale della nostra Repubblica che è quello della scuola pubblica uguale per tutti.

Il sistema delle graduatorie è l’unico che permette trasparenza, pubblicità e indipendenza. Non ci si stancherà mai di ripeterlo: non è il sistema in sé che non funziona, ma il fatto che in quel sistema ci si sta per decenni
e che quindi in quel limbo sono iscritte 300.000 persone. Il dispositivo del concorso d’istituto, realizzando nei fatti un rapporto privatistico tra scuola – sempre più identificata con la figura del dirigente - e docente, è il grimaldello essenziale per avviare la scuola pubblica verso una deriva paritaria e mettere in crisi definitivamente il senso originario della scuola pubblica italiana, come luogo di formazione di cittadinanza
all’interno di un quadro culturale condiviso di valori laici, costituzionali e repubblicani. In questo senso, tale dispositivo non può che mettere d’accordo tutte le forze politiche e ideologiche presenti attualmente al governo della Regione Lombardia: Comunione e Liberazione per evidenti interessi di natura confessionale e ideologica manifesta da sempre un’insofferenza viscerale nei confronti della scuola pubblica, la Lega Nord
dovrebbe vedere in essa un tassello essenziale del progetto unitario da abbattere, ma la identifica semplicemente come luogo colonizzato dai meridionali, il Pdl e Confindustria caldeggiano da tempo il modello della chiamata diretta come momento essenziale verso la trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni (vedi progetto di legge Aprea). La strada è spianata, sembra che le consultazioni con il governo siano già iniziate o siano imminenti: saremo spettatori dell’ennesima decisione ‘tecnica’ o troveremo le risorse, ancora una volta, di tornare in piazza e sui tetti? La posta in gioco è veramente alta, la primavera è quasi alle porte e la neve fra un po’ si scioglierà.
Movimento Scuola Precaria - CPS Milano

www.forumscuole.it/msp
pagina facebook "Io sto coi precari!"

sabato 11 febbraio 2012

Torino 2011


Assemblea nazionale “Istruzione Pubblica, bene comune: difendiamola, valutiamola, miglioriamola”

Torino 2011
Documenti



Programma

Depliant

Valutazione – Mario Russo

Disarmare la valutazione – Maurizio Parodi

L’esperienza delle scuole di montagna – Workshop 1

Strumenti e buone prassi per la formazione – Workshop 3

Video

Relazione introduttiva – Matteo Viviano



Un anno di lavoro – Relazione di alcuni CGD locali

Ri-animazione del Libro – Maurizio Parodi

Incursioni teatrali Unità d’Italia
Seminario formativo per i lavoratori della scuola


l’Associazione Proteo Fare Sapere Marche e la FLC CGIL di Macerata

organizzano un seminario sul tema :

Accoglienza e integrazione degli allievi stranieri: aspetti normativi e sindacali.

18 febbraio 2012

dalle ore 9,30 alle ore 12.30

Auditorium Sant’Agostino - Monte San Giusto



Presiede : Giampaolo Cingolani - Segretario Generale FLC CGIL di Macerata

Intervengono
Anna Fedeli – Segretaria Nazionale della FLC CGIL
Leonardo Lippi – Assessore Provinciale Istruzione
Dario Magnamassa – Dirigente Istituto Comprensivo di Monte San Giusto
Mario Lattanzi - Sindaco di Monte San Giusto

L’iniziativa essendo organizzata da soggetto qualificato per l’aggiornamento (DM 8/06/2005) si configura come attività di formazione e aggiornamento ed è autorizzata ai sensi degli artt. 64 e 67 CCNL 2006/2009 del Comparto Scuola con esonero dal servizio e sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi.

venerdì 10 febbraio 2012

Adozione e scuola


Blog del Gruppo di ricerca e progettazione "Adozione e scuola", promosso da ANSAS nucleo Liguria e Scuola media "Don Milani" di Genova. Per sapere chi siamo visita il sito http://www.adozionescuola.it/
martedì 7 febbraio 2012Una carta d'intenti per la scuola

Le partecipanti al corso di formazione "Alunni adottati in classe", in corso di svolgimento a Genova, hanno elaborato i due documenti che trovate qui sotto.

Si tratta di una "carta d'intenti" in due versioni (la prima per la scuola d'infanzia e primaria, la seconda per la secondaria di 1° e 2° grado) che elenca le "attenzioni" che le scuole sensibili alle realtà dell'adozione e dell'affido dovrebbero mettere in atto - a parere di chi ha steso il documento - nei confronti dei loro alunni e delle loro famiglie.
La "carta d'intenti" è stata elaborata da un gruppo misto di insegnanti, genitori adottivi, operatori che a diverso titolo si occupano di adozione. Grazie a questa pluralità di prospettive, pensiamo di essere riuscite a integrare ed esprimere i punti di vista e i bisogni dei diversi soggetti, pur restando all'interno dei vincoli di fattibilità consentiti dalle norme e dalle routines della scuola.

E' nostra intenzione far conoscere la carta d'intenti alle istituzioni scolastiche, in primo luogo a quelle della nostra regione, per vedere quante sono disponibili e pronte a farle proprie, oppure a usarle come traccia per elaborare propri protocolli, che coniughino l'attenzione alle problematiche dell'adozione con lo stile educativo di quella singola scuola scuola.

Non puntiamo infatti all'omologazione dei comportamenti degli insegnanti a partire da documenti calati dall'alto (vedi anche il dibattito sull'argomento che si è sviluppato nei mesi scorsi in questa lista e che trovate a questo link

http://www.webalice.it/livia.botta/adozione/Linee_guida.pdf). Il nostro scopo, attraverso la proposta della carta d'intenti, è piuttosto quello di sensibilizzare le scuole e stimolare la loro riflessione sulla problematica, per favorire cambiamenti che partano dal basso.

Ci piacerebbe poi riuscire ad avere un riscontro dalle scuole, per portarlo a

conoscenza degli insegnanti e delle famiglie attraverso il nostro sito www.adozionescuola.it: Quante/quali scuole hanno fatto propria la carta d'intenti? Quante/quali ne hanno stilato una propria? Con quali contenuti?

Ci interessa un parere di chi segue questo blog sui due documenti: consensi, perplessità, sottolineature, proposte…

Se ne scaturirà un dibattito ricco, i contenuti più interessanti potrebbero andare a costituire un dossier a completamento del documento che invieremo alle scuole, per offrir loro una panoramica più completa dei diversi bisogni e sensibilità.

1 - CARTA D’INTENTI PER SCUOLE DELL’INFANZIA E PRIMARIE

La scuola xxx

consapevole che la presenza di alunni adottati o in affido familiare è un dato strutturale che riguarda l’intero sistema scolastico

s’impegna a:

• curare la sensibilizzazione dei docenti alle problematiche dell’adozione e dell’affido familiare, promuovendo appositi momenti formativi e/o segnalando le proposte provenienti da agenzie esterne;

• istituire la figura di un docente referente (o componente di una commissione specifica: accoglienza, integrazione, ecc.), con competenze sulle problematiche dell’adozione, che si faccia carico di:

 promuovere e facilitare i contatti scuola-famiglia, offrendo nella fase di prima accoglienza un servizio informativo completo sulla scuola (POF, struttura scolastica, conoscenza di alcuni docenti e del mediatore linguistico-interculturale);

 organizzare e gestire, al momento dell’iscrizione, un colloquio conoscitivo con i genitori, senza forzature, riguardante paese di provenienza del bambino, percorso scolastico pregresso, livello di conoscenza della lingua italiana, caratteristiche della personalità e predisposizioni;

 supportare i docenti della classe nella realizzazione di eventuali percorsi didattici personalizzati;

 essere interlocutore nel rapporto con i soggetti (servizi, enti, associazioni) che si occupano di adozione e affido sul territorio;

 monitorare l’andamento dell’inserimento e del percorso formativo durante l’anno;

 curare il passaggio d’informazioni sull’alunno tra i diversi gradi di scuola;

 avere una chiara conoscenza di chi e quanti sono gli alunni adottati o in affido presenti a scuola.



I docenti, consapevoli che le differenze sono una risorsa e che l’inclusione va sostenuta, s’impegnano a:

• proporre attività per sensibilizzare le classi all’accoglienza e alla valorizzazione di ogni individualità;

• facilitare la comunicazione con un ascolto attivo e creare un buon clima di classe in cui ciascun bambino possa sentirsi a proprio agio;

• ampliare in entrambi gli ordini di scuola l’area del gioco e dell’espressione corporea per favorire processi di socializzazione ed espressività;

• fare attenzione nella scelta dei libri di testo e delle letture (narrativa, fiabe tradizionali e moderne, ecc.) al modello di famiglia veicolato e al linguaggio utilizzato;

• creare occasioni, alla portata dei piccoli discenti e con le opportune mediazioni didattiche, per parlare delle diverse tipologie di famiglia esistenti nella società odierna, riferendosi a un concetto di famiglia come legame affettivo e relazionale;

• favorire la partecipazione a laboratori a classi aperte, con regole “morbide” e uso flessibile degli spazi.



Nei confronti degli alunni adottati o in affido presenti in classe, gli insegnanti s’ impegnano a:

• iniziare da subito la collaborazione con la famiglia, mantenendola nel tempo e mostrando disponibilità per colloqui non rigidamente cadenzati dal calendario scolastico, per conoscere a fondo la situazione del bambino, senza forzature e atteggiamenti invadenti e, in itinere, per definire e aggiustare il percorso formativo;

• mantenere in classe un atteggiamento equilibrato, evitando sia di sovraesporre gli alunni adottati o in affido (con attenzioni eccessive, richieste dirette di parlare della loro storia, ecc.), sia di dimenticarne la specificità (proponendo attività e argomenti che implicitamente li escludano);

• creare occasioni in cui gli alunni adottati o in affido si sentano inclusi e, se lo desiderano, possano parlare di sé e della propria cultura d’origine o rappresentare la propria storia attraverso il disegno o altre attività espressive, anche con l’aiuto dei mediatori linguistico-interculturali e/o dei genitori;

• affrontare in modo diverso dal consueto la prima costruzione dei concetti temporali, evitando di proporre attività quali la prima foto, il certificato di nascita, l’albero genealogico, da sostituire con proposte che raggiungano gli stessi obiettivi rispettando e valorizzando la storia personale di ciascuno;

• se necessario, predisporre percorsi didattici personalizzati calibrati sulle esigenze di apprendimento degli alunni, nei limiti di quanto previsto dalla normativa.



Per il primo inserimento e l’accoglienza nella scuola dell’infanzia e primaria di bambini/e adottati/e internazionalmente, la scuola si impegna a:

• valutare attentamente il percorso scolastico pregresso e le informazioni fornite dai genitori per individuare la classe di frequenza appropriata, prendendo a riferimento le indicazioni della cm 24/06;

• prestare attenzione, nella scelta della classe, a evitare la concentrazione di specificità diverse e particolarmente problematiche;

• consentire inserimenti non immediati e/o una riduzione iniziale dell’orario scolastico per privilegiare il consolidamento dei legami familiari;

• dare al bambino la possibilità di familiarizzare con il nuovo ambiente tramite visite alla scuola e incontri con compagni e insegnanti in momenti preliminari all’effettiva frequenza;

• ricorrere ai mediatori linguistico-interculturali per conoscere il contesto linguistico, culturale, scolastico, i modelli educativi, le modalità di comportamento e relazionali del paese d’origine del bambino, le criticità che potrebbero presentarsi nel nuovo contesto, oltre che per facilitare linguisticamente l’inserimento se necessario;

• predisporre percorsi didattici personalizzati calibrati sulle esigenze di apprendimento degli alunni, nei limiti di quanto previsto dalla normativa (dpr 275/99, dl 59/04, cm 24/06);

• garantire azioni di insegnamento intensivo utili a promuovere una buona competenza dell’italiano come lingua di studio;

• monitorare, riconoscere esplicitamente e gratificare i progressi nell’apprendimento e le competenze possedute o acquisite;

• collaborare con i servizi che seguono la famiglia nel post-adozione (legge 476/98), in particolar modo nei casi più complessi.





2 - CARTA D’INTENTI PER SCUOLE SECONDARIE DI 1° E 2° GRADO



La scuola xxx

consapevole che la presenza di alunni adottati o in affido familiare è un dato strutturale che riguarda l’intero sistema scolastico

s’ impegna a:

• curare la sensibilizzazione dei docenti alle problematiche dell’adozionene dell’affido familiare, promuovendo appositi momenti formativi e/o segnalando tempestivamente le proposte provenienti da agenzie esterne;

• istituire la figura di un docente referente, che

 abbia conoscenza di chi e quanti sono gli alunni adottati o in affido presenti a scuola;

 conosca e tenga i contatti con i soggetti (istituzioni, servizi socio-sanitari, agenzie educative, mediatori linguistici-interculturali, ecc.) che a diverso titolo si occupano di adozione e affido sul territorio;

 faccia da tramite se necessario tra famiglie e consigli di classe;

 supporti i docenti che hanno alunni adottati o in affido nelle loro classi segnalando le risorse disponibili (materiali didattici, opportunità di formazione e/o di consulenza, ecc.);

 curi il passaggio di informazioni sull’alunno tra i diversi gradi di scuola.



I docenti, indipendentemente dalla presenza o meno di alunni adottati o in affido nelle loro classi, s’impegnano a:

• fare attenzione, nella scelta dei libri di testo, ai modelli di famiglia presentati e al linguaggio utilizzato, scegliendo i testi più aperti ai diversi modi di “fare famiglia” e al pluralismo culturale di oggi;

• prestare attenzione, nella scelta delle letture e degli argomenti di studio, alle situazioni familiari degli alunni, evitando proposte che potrebbero mettere a disagio o escludere implicitamente qualcuno;

• proporre attività per sensibilizzare le classi all’accoglienza, alla valorizzazione delle diversità, all’inclusione;

• proporre argomenti di studio (a carattere linguistico, storico, sociale, geografico, giuridico, economico) che facciano riferimento ai diversi modelli familiari presenti nella società odierna, alle forme di interdipendenza e mobilità delle persone a livello mondiale, alla convivenza e ibridazione delle culture.



Nei confronti degli alunni adottati o in affido presenti in classe, gli insegnanti si impegnano a:

• mantenere un atteggiamento equilibrato, evitando sia di sovraesporli (con attenzioni eccessive, richieste dirette di parlare della loro storia, ecc.), sia di dimenticare la loro specificità (proponendo attività e argomenti che implicitamente li escludano);

• creare occasioni in cui si sentano inclusi e, se lo desiderano, possano parlare di sé (ad es. riferendosi al concetto di famiglia come legame affettivo e relazionale; stimolando la scrittura autobiografica; sottolineando le pluriappartenenze culturali che caratterizzano la nostra società, ecc.), anche con l’aiuto dei mediatori linguistici-interculturali e con progetti mirati;

• sostenere il loro senso di appartenenza alla classe e lo sviluppo dell’autostima, utilizzando rinforzi positivi;

• mantenere una stretta collaborazione con la famiglia per la definizione e il monitoraggio del percorso formativo;

• se necessario, introdurre elementi di flessibilità e personalizzazione nel piano educativo, nei limiti di quanto consentito dalla normativa vigente e curando la trasmissione delle informazioni al ciclo di studi successivo.



Nel caso di primo inserimento nella scuola secondaria di ragazzi adottati internazionalmente, la scuola si impegna a:

• preparare l’inserimento tramite contatti preventivi con la famiglia, per raccogliere informazioni sulla scolarità pregressa e sugli aspetti personali che i genitori ritengono utili a una comprensione dei comportamenti del figlio e al buon inserimento scolastico;

• ricorrere ai mediatori linguistici-interculturali per conoscere il contesto linguistico, culturale, scolastico, i modelli educativi, le modalità di comportamento e relazionali del paese d’origine dell’alunno, le criticità che potrebbero presentarsi nel nuovo contesto, oltre che per facilitare linguisticamente l’inserimento se necessario;

• valutare attentamente il percorso scolastico pregresso e le informazioni fornite dai genitori per individuare la classe di frequenza appropriata, prendendo a riferimento le indicazioni della cm 24/06;

• prestare attenzione, nella scelta della classe, a evitare la concentrazione di specificità diverse e particolarmente problematiche;

• consentire inserimenti non immediati e/o una riduzione iniziale dell’orario scolastico per privilegiare il consolidamento dei legami familiari;

• dare all’alunno la possibilità di familiarizzare con il nuovo ambiente tramite visite alla scuola e incontri con compagni e insegnanti in momenti preliminari all’effettiva frequenza;

• garantire azioni di insegnamento intensivo utili a promuovere una buona competenza dell’italiano come lingua di studio;

• nel caso di alunni con una carente scolarizzazione pregressa, predisporre un contratto di corresponsabilità tra famiglia, alunno e scuola, da verificare periodicamente, per guidare il graduale processo di adeguamento alle routines scolastiche;

• predisporre percorsi didattici personalizzati calibrati sulle esigenze di apprendimento degli alunni, nei limiti di quanto previsto dalla normativa vigente (dpr 275/99, dl 59/04, cm 24/06);

• monitorare, riconoscere esplicitamente e gratificare i progressi nell’apprendimento e le competenze possedute o acquisite;

• collaborare con i servizi che seguono la famiglia nel post-adozione (legge 476/98), in particolar modo nei casi più complessi.




www.italiaadozioni.it

On line da poche settimane, è un nuovo portale sul mondo dell'adozione nazionale e internazionale, con una redazione composta da genitori adottivi e da professionisti che operano nel settore.

Oltre a essere una guida all'adozione, suo obiettivo è offrire informazioni e aiuto a quanti incontrano a vario titolo l'adozione: alle coppie in primo luogo, ma anche a quella parte di società che può entrare in contatto con le problematiche adottive nell'ambito del proprio lavoro (pediatri, insegnanti, psicologi, avvocati).

Si tratta di un portale, e non di un semplice sito, per l'ambizione dichiarata di diventare "porta d'ingresso" e collegamento tra i tanti contributi sull'adozione presenti e dispersi nel web, facendo rete tra quanto già esiste in termini di informazione, formazione, proposte.

Il portale è organizzato per aree tematiche. Una di queste, ricca di contributi, è dedicata all'inserimento scolastico dei minori adottati. Sono poi presenti un'area legale, una medica e una psicologica.

martedì 7 febbraio 2012

LA NOSTRA SCUOLA: genitori raccontano la loro partecipazione attiva alla vita della scuola

FONTE: LANOSTRASCUOLA REGGIO EMILIA
volevo segnalarvi questo progetto video ideato, prodotto e distribuito sul web dai genitori dei nidi e delle scuole dell'infanzia comunali di reggio emilia. Si tratta di una trentina di brevissimi video (di cui finora 11 trasmessi) in cui i genitori raccontano la propria esperienza di partecipazione attiva alla vita della scuola.

Vivalascuola. Scuola e laicità in Italia


Pubblicato da vivalascuola su febbraio 6, 2012

Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 33
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali…


Questo è l’andamento dei finanziamenti per l’istruzione: tagliati alla scuola pubblica, raddoppiati alla scuola privata, nonostante la Corte Costituzionale li abbia dichiarati illegittimi. Bisogna aggiungere i finanziamenti regionali e comunali. E ne chiedono ancora. Anche per il 2012 la legge di stabilità ha stanziato per le scuole non statali 242 milioni che vanno ad integrare i 278,9 del disegno di previsione del Bilancio. Il rapporto Sbilanciamoci valuta in 700 milioni di euro il risparmio che deriverebbe allo Stato dall’abolizione del finanziamento alla scuola privata. La scuola privata può avere corsi con meno di 8 alunni e docenti sottopagati. E ce n’è anche per i docenti: scatti stipendiali, ma solo per quelli di religione. E adesso la preside di un liceo privato è stata nominata sottosegretaria all’istruzione

Perché parlare oggi di scuola e laicità in Italia? Interventi di Marcello Vigli, Corrado Mauceri, Giulio Giorello, Maria Mantello, Gennaro Lopez. Introduce Marina Boscaino
 
 
 
Da www.scuolaoggi.org del 15.2.2010


Scuole statali in crisi. Soldi alle scuole private. E le chiamano “paritarie”…
di Gianni Gandola


Il programma di Riccardo Iacona “La scuola fallita” (Presadiretta del 14 febbraio, Rai 3) ha messo bene in evidenza lo stato di sofferenza in cui versa la scuola pubblica (statale) italiana, riprendendo con grande obiettività e realismo temi che erano già stati affrontati qualche tempo fa in un servizio analogo da Milena Gabanelli. Sono stati toccati – in maniera chiara, semplice ed essenziale - alcuni punti critici del funzionamento delle scuole statali di ogni ordine e grado, oggi in grave difficoltà.



Scuole pubbliche sull’orlo di una crisi di nervi

Docenti precari, anche di non tenera età e dopo anni e anni di servizio saltuario, in cerca di un posto fisso che non arriva. Supplenti annuali che si spostano in continuazione da una scuola all’altra, da un capo all’altro del paese, senza alcuna continuità didattica per gli alunni.
Dirigenti scolastici che non possono chiamare i supplenti per mancanza di fondi. Classi senza insegnante che vengono quotidianamente divise e gruppi di alunni parcheggiati in altre classi, con evidente disagio per tutti e disturbo per la didattica.

Riduzione degli insegnanti in organico, tagli alle cattedre e diminuzione delle ore di attività didattica. Impossibilità di svolgere attività per gruppi di alunni grazie al taglio delle compresenze nella primaria. Meno insegnanti e meno ore di sostegno per gli alunni disabili.

Stato penoso degli edifici scolastici, sovente non a norma, fatiscenti e pericolosi. Incrostazioni, perdite d’acqua e aule al freddo. Mancanza di arredi, a cominciare dalle sedie. Mancanza di spazi, aule ristrette e sovraffollate.

Mancanza di fondi per l’acquisto di materiale didattico (finanziamento didattico e amministrativo ridotto negli ultimi tempi a zero). Genitori che debbono sopperire con il “contributo volontario”, in una scuola - quella pubblica e dell’obbligo - che dovrebbe essere gratuita.

Una situazione, nel complesso, disastrosa ed estremamente preoccupante. Un quadro della realtà di tutti i giorni che gli operatori scolastici conoscono sin troppo bene ma che al grande pubblico non è noto. O almeno non lo è con questa nettezza.

Un altro mondo: le “paritarie”

Ma il servizio di Iacona ha avuto anche il merito di aver fatto il confronto con le cosiddette scuole “paritarie” facendo emergere le profonde “disparità” delle rispettive situazioni, nel funzionamento ordinario e nel trattamento.
Qui - soprattutto nelle scuole presentate (quasi tutte appartenenti alla fascia alta, es. l’istituto Leone XIII e la scuola inglese di Milano) - sembra di essere in un altro mondo. Aule e locali a regola d’arte, laboratori super attrezzati, ampi spazi (palestre, piscina, atelier). Offerta formativa ricca e differenziata (doppia lingua, varie attività creativo-espressive, aule di informatica, lavagne luminose, ecc.). Docenti reclutati in base ad una valutazione discrezionale e/o selezione direttamente da parte del dirigente o del gestore, quindi “scelti” (sia quelli fissi che i supplenti) senza impacci burocratici di graduatorie, punteggi, ecc. Attività per gruppi di alunni e classi non affollate. Nessun elemento problematico o di “disturbo” (alunni con handicap o stranieri, per intenderci). Utenza selezionata (naturalmente in base al reddito). Insomma non stiamo a dilungarci oltre: un altro pianeta.
E le scuole paritarie dispongono di bilanci in attivo, godono di consistenti finanziamenti. Oltre alle entrate provenienti dalle rette (piuttosto elevate, si va dai 7 mila ai 12-15 mila euro l’anno) le paritarie fruiscono di finanziamenti da parte dello Stato. Non solo, ma in Lombardia i genitori che iscrivono i figli alle paritarie hanno un contributo economico da parte della Regione, un rimborso, la “dote scuola”. Una sorta di ulteriore “finanziamento indiretto” per le private, targato Formigoni.
E cosa sono le paritarie?

Com’è noto la questione della “parità” scolastica fra scuole statali e non statali (private) e soprattutto quella dei finanziamenti pubblici alle scuole paritarie (private) costituiscono senza dubbio un tema delicato quanto controverso, sul quale vi sono pareri diversi e divisioni trasversali (soprattutto all’interno del centro sinistra in senso lato).

Tutto ha origine dal famoso art.33 della Costituzione che prevede che spetta alla Repubblica istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi e che enti e privati hanno il diritto di istituire anch’essi scuole e istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”.

Cosa implicasse questa precisa dicitura era ben chiaro ai padri costituenti e lo è stato per quarant’anni nella storia della Repubblica per gli stessi governi a guida democristiana. Come ricorda Curzio Maltese nel suo libro “La questua” (Feltrinelli ed.) “sempre, da De Gasperi in poi la DC aveva rifiutato di finanziare con soldi pubblici le scuole e la sanità private, che in Italia significa al novanta per cento: cattoliche.” Forse non ci si è soffermati a riflettere abbastanza su questo fatto, che la dice lunga su come venisse interpretata la frase “senza oneri per lo Stato” perfino da un partito confessionale come la DC.

Per non dire delle forze politiche presenti in Parlamento. Nel 1964 un governo presieduto da Aldo Moro venne battuto alla Camera e messo in crisi proprio per aver proposto un modesto finanziamento alle scuole materne private.

Ironia della sorte vuole che sarà un governo di centro-sinistra a guida postcomunista (governo D’Alema, ministro dell’istruzione Berlinguer) ad aprire le porte, di fatto, con la legge sulla parità scolastica (legge 62/2000), ai finanziamenti alle scuole private. In realtà la legge 62 riconosceva alle scuole private paritarie di svolgere un servizio pubblico, ma non prevedeva finanziamenti in quanto tali, in quanto rifinanziava i contributi (sussidi) per le scuole elementari parificate e materne non statali previste dalle leggi del 1925 e 1962.
Il ragionamento di fondo, comunque, che sta alla base del riconoscimento della “parità scolastica” è che anche le scuole non statali (private o degli enti locali), in quanto svolgono un servizio pubblico e accettano di adempiere a determinati requisiti (strutture idonee, programmi nazionali, ordinamenti dell’istruzione, bilanci pubblici…) fanno parte del “sistema nazionale dell’istruzione”. Salvo poi la totale mancanza di verifiche sul funzionamento effettivo di questi istituti e sul rispetto delle regole e delle condizioni previste. Per non parlare della difformità di trattamento con le scuole statali sul reclutamento dei docenti o sulla “selezione” degli alunni, a partire dalla presenza di portatori di handicap o stranieri, o ancora sul numero minimo di alunni per classe.

Illuminanti a questo proposito due flash nel servizio di Iacona. Da un lato la madre che si vede respingere l’iscrizione del proprio figlio perché disabile (“la scuola non è in grado di seguirlo col sostegno, si rivolga alla scuola pubblica…”). Dall’altro la pressoché assoluta mancanza di alunni stranieri (una dirigente del Leone XIII che dice “non è solo una questione economica, ma gli “extracomunitari” qui sarebbero anche a disagio… sa, c’è un’utenza medio borghese, con un certo stile di vita…”).

… e perché finanziamenti pubblici alle scuole private?

Ma andiamo avanti. Naturalmente la Moratti, ministro dell’Istruzione durante il successivo quinquennio di Berlusconi, utilizzò ampiamente la legge Berlinguer per finanziare le scuole private (scuole dell’infanzia e primarie).
La legge finanziaria del 2006 (comma 635, Finanziamenti scuole non statali) e la legge n.27/2006 (ministro Fioroni) estendono il diritto al finanziamento a tutti gli ordini di scuola, dall’infanzia alle superiori. Queste hanno diritto all’assegnazione di contributi (finanziamenti) da parte dello Stato per la funzione pubblica che svolgono, a condizione che autocertifichino (sic) di non avere “fini di lucro”.
Aperto un simile varco per i finanziamenti pubblici alle scuole non statali (chiamiamole con il loro nome: private), non stupisce che sia oggi la Gelmini ad affermare (vedi intervista al Corriere della Sera del 18.6.2009) che sta pensando ad un “sostegno economico” o bonus per chi studia alle private. “Costituzione alla mano – dice la Gelmini- voglio che tutti abbiano il diritto di scegliere se andare alla scuola pubblica o alla scuola paritaria. Quindi, siccome le scuole paritarie costano, sto pensando ad una riforma che dia la possibilità di accedere ad un bonus a chi vuole frequentarle. Un po’ come succede già in Lombardia”. La Gelmini dimentica che non è in discussione la “libertà di scelta” delle famiglie, diritto costituzionale, ma semmai la spinosa questione del “senza oneri per lo Stato”. E qui, ancora una volta, di oneri per le finanze dello Stato ce ne sono, anche se aggirati dall’ipocrita soluzione del contributo dato alle famiglie e non direttamente alle scuole. Perché, gira e rigira, lì si torna. Al punto di partenza.
Il divario tecnologico (di risorse e di trattamento) esistente
Ma al di là del dibattito “politico-ideologico” sul significato del dettato costituzionale in materia (il “senza oneri per lo Stato”) pure non irrilevante e che qualche riflessione autocritica all’interno della sinistra dovrebbe riaprire, quello che è francamente scandaloso è quanto sta avvenendo proprio sotto il governo della scuola Gelmini-Tremonti (e magari da un po’ di anni a questa parte).
Occorrerebbe fare un’analisi comparata sui finanziamenti erogati dallo Stato alle scuole statali e a quelle non statali. Probabilmente risulterebbe un dato costante: progressiva diminuzione da una parte e crescita dall’altra. A fronte di un’enorme sproporzione del numero di alunni iscritti.

Interessante a questo proposito il dossier “Rapporto sul buono scuola 2009 nella Regione Lombardia” presentato da Luciano Muhlbauer, gruppo consiliare regionale di Rifondazione comunista, citato nel sevizio di Iacona.

Nel Pd naturalmente il tema è tabù. Ci si guarda bene dal parlarne, essendo una questione troppo spinosa e controversa. D’altra parte non è stato Berlinguer (ed il suo brain trust) ad aver aperto la strada e Fioroni ad averla imboccata aumentando i finanziamenti (ed estendendoli anche alle superiori) alle “paritarie”….? Guai, dunque, a rimetterle in discussione.

Ed è proprio questo che è paradossale! Lo Stato riduce investimenti e risorse nella scuola pubblica-statale a fronte di un aumento di finanziamenti alle scuole “private” che svolgerebbero un “servizio pubblico” (sic).

D’altra parte è significativo quello che è avvenuto in fase di finanziaria 2009, ove in un primo tempo erano previsti da Tremonti tagli anche per le scuole paritarie. Tagli immediatamente ritirati al primo stormir di fronde, dopo le proteste e le minacce di mobilitazione (proprio così!) da parte dei vescovi. Ragion per cui alle scuole private sono stati assegnati 120 milioni di euro.
Ed ora, a fronte di una scuola pubblica (statale) praticamente in ginocchio quanto a tagli di organici, riduzione di finanziamenti (funzionamento ordinario, ecc.), qualcuno - la Gelmini, ma non solo lei - ha l’ardire di riproporre un ulteriore sostegno economico alle scuole private. Che dire? La destra fa indubbiamente il suo mestiere, ma non sarebbe ora che anche la sinistra, all’opposizione, facesse dignitosamente il suo?

Lungo questa strada il divario tecnologico (e di trattamento) tra scuole private e scuole statali è destinato ad aumentare e, francamente, tutto questo – oltre che ingiusto e ai limiti della incostituzionalità – ci sembra davvero scandaloso.

Gianni Gandola

domenica 5 febbraio 2012

FONTE: DISABILI.COM

NON UDENTI: ORALISMO O BILINGUISMO A SCUOLA?


I pareri degli esperti e delle persone sorde sono molto discordanti

La proposta di legge C 4207 è stata approvata nella primavera scorsa al Senato ed è al momento in discussione alla Camera. Tale proposta riconosce la Lingua Italiana dei Segni (LIS) e ne promuove l’acquisizione e l’uso; incentiva, inoltre, sia l’impiego della lingua orale che scritta, da perseguire anche attraverso l’uso delle tecnologie disponibili per l’informazione e la comunicazione; determina, infine, le modalità di utilizzo della LIS in ambito scolastico e universitario e ne promuove l’insegnamento.
POSIZIONI DISCORDANTI – La proposta non è stata accolta in maniera unanime ed ha risollevato le discordanze tra i promotori dell’oralismo ed i sostenitori della LIS. Ai poli opposti vi sono l’Ente Nazionale Sordi (ENS), favorevole alla disegno di legge ed al riconoscimento della LIS e le Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi (Fiadda), che esprimono invece totale disapprovazione per la proposta. La frattura ripresenta la consueta distinzione fra i segnanti, cioè le persone sorde che utilizzano la Lis, e gli oralisti, che puntano invece sulla diagnosi precoce e sul progresso medico e tecnologico, capace, con impianto cocleare e protesizzazione digitale, di consentire alle persone sorde l’apprendimento del linguaggio orale. Giuseppe Petrucci, presidente dell’ENS, insiste sul bilinguismo, ritenendo che debba essere tutelato anche chi si esprime con la LIS e proponendo di superare le differenze per portare avanti una battaglia unitaria per i diritti. La Fiadda, invece, rimprovera alla legge di non rispondere alle problematiche attuali, ignorando il punto di vista medico e la necessità delle diagnosi precoci.

L’ABILITAZIONE – Per contrastare la proposta è nato il Comitato Nazionale Genitori Disabili Uditivi, che ha rimarcato la centralità dell’abilitazione alla parola orale e scritta. Il Comitato ha duramente attaccato l’ipotesi della legge, sottolineando che incentivare l’uso della LIS costituisca un grave passo indietro. Tale comitato, appellandosi al parere della comunità scientifica, sostiene che con la messa in atto di un adeguato protocollo sanitario, educativo e scolastico, le persone audiolese possono raggiungere una piena competenza cognitiva e linguistica. Per raggiungere l’obiettivo della concreta inclusione, però, è necessario un protocollo nazionale che comprenda screening neonatale, diagnosi, protesizzazione o impianto cocleare e abilitazione alla parola. I genitori chiedono perciò allo Stato di definire un piano di prevenzione e trattamento precoce e di formare adeguatamente personale sanitario, educativo e scolastico, in vista dell’inclusione sociale e dell’integrazione scolastica.

Come si concluderà l’iter legislativo della proposta di legge? Al momento l’esito appare incerto. Già nel Maggio 2011 erano sorte numerose esitazioni fra i parlamentari e da più parti era emersa la volontà di modificare il testo. A ciò si era poi aggiunta l’evidente perplessità di un mondo associativo completamente spaccato. Il recente cambio di governo, adesso, potrebbe comportare ulteriori sviluppi inattesi. Concentrare gli sforzi verso una specifica forma di abilitazione implica impegni formativi ampi, di ambiente sanitario, educativo e scolastico. In attesa degli sviluppi normativi che indichino direzioni perseguibili, alle persone ed al personale coinvolto non resta che aspettare e, nel frattempo, cercare di andare avanti con i mezzi che hanno, come sempre.

sabato 4 febbraio 2012

FONTE:DISABILI.COM

ISCRIZIONI ALL’ANNO SCOLASTICO 2012-2013: QUALI SONO LE NOVITA’ PER ALUNNI DISABILI?


Da quest’anno sarà possibile effettuare l’iscrizione on-line
Con la Circolare n. 110 del 29/12/2011 il MIUR ha emanato le disposizioni sulle iscrizioni nelle scuole di ogni ordine e grado per il prossimo anno scolastico, fissandone la scadenza al prossimo 20 Febbraio.
LA NOVITA’: L’ISCRIZIONE ON-LINE – La circolare prevede che a partire dal 12 Gennaio 2012 sarà possibile per le famiglie iscrivere i figli al primo anno della scuola primaria o secondaria di primo e di secondo grado seguendo una procedura online, attraverso un servizio attivato sul sito del MIUR. Tale servizio sarà disponibile anche per le classi intermedie, nel caso di cambiamento di istituzione scolastica o di nuovi ingressi. Occorrerà completare un formulario on-line, in cui saranno richiesti alcuni dati che verranno inviati alle scuole.

LA CIRCOLARE – Nella premessa si specifica che le domande saranno accolte entro il limite dei posti disponibili nelle singole istituzioni scolastiche, definiti in base alle risorse ed ai piani di utilizzo degli edifici scolastici predisposti dagli Enti Locali. Ciò significa che bisognerà tener conto delle leggi sulla sicurezza delle aule e degli edifici, che non consentono, di norma, più di venticinque alunni per classe. La circolare non rinvia al DPR 81/09 ma di esso si dovrà tener conto perché prevede che le classi in cui siano presenti alunni con disabilità non possano superare il numero di venti alunni. Se a ciò si unisce l’insufficiente capienza delle aule, può essere legittimata l’eventuale richiesta di sdoppiamento di classi.

Il provvedimento richiama la normativa sul diritto all’istruzione domestica o parentale, non tenendo conto della sentenza 226/01 della Corte Costituzionale, secondo cui per gli alunni con disabilità l’istruzione domestica non è una valida modalità di adempimento dell’obbligo scolastico in quanto non inclusiva; fa inoltre riferimento all’adempimento dell’obbligo scolastico fino al sedicesimo anno di età, trascurando che la L. 104/92 stabilisce che per gli alunni con disabilità esso può adempiersi fino al diciottesimo anno di età.

L’ISCRIZIONE DI ALUNNI CON DISABILITA’ – L’articolo 4 della circolare precisa che per l’iscrizione degli alunni disabili occorre la certificazione di disabilità, prevista dal DPCM 185/06 ed il Profilo Dinamico Funzionale (PDF), come indicato dalla L. 104/92. All’atto dell’iscrizione occorre consegnare la certificazione alla scuola, mentre il PDF dev’essere effettuato dal Gruppo di Lavoro Handicap Operativo (GLHO), composto dagli operatori della ASL che seguono l’alunno, dal Consiglio di Classe dell’ultimo anno del grado di scuola e dalla famiglia.
E’ perciò insufficiente la prassi secondo cui molte scuole richiedono alle ASL la sola Diagnosi Funzionale. Lo stesso articolo chiarisce inoltre che gli alunni che non hanno compiuto i 18 anni prima dell’inizio dell’anno scolastico possono iscriversi alle scuole superiori con il semplice attestato. Ciò si basa sulla Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale, che ha affermato il diritto di tutti gli alunni con disabilità, anche grave, a realizzare l’inclusione nelle scuole superiori, pur se in assenza del diploma di licenza media.
Fascicolo FLC CGIL iscrizioni anno scolastico 2012-2013 - Gennaio 2012

mercoledì 1 febbraio 2012

Da Micromega


CINZIA SCIUTO – Religione a scuola: quando lo Stato rinuncia al suo ruolo


È tempo di iscrizioni scolastiche, che riguardano milioni di famiglie alle prese con la scelta della scuola per il prossimo anno. Sui moduli delle scuole statali, a partire addirittura dalla scuola dell’infanzia, tra i vari campi da riempire c’è anche quello «per l’esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica». Una manifestazione di libertà, si dice. Un’abdicazione dello Stato al suo ruolo, in verità.


I genitori che ritengono che il posto della religione non sia nella scuola (pubblica) ma nelle chiese e nelle case, possono richiedere che il figlio esca dall’aula quando entra l’insegnante di religione. Per andare dove? A fare cosa? Quando va bene, la scuola organizza non meglio specificate «attività sostitutive», quando va male i bambini-ragazzi bighellonano per i corridoi in attesa che finisca l’ora di religione oppure entrano o escono prima da scuola se si tratta delle ore iniziali o finali della giornata scolastica. Per cui l’«alternativa» che si presenta al genitore è una sorta di segregazione: mentre (quasi) tutti i tuoi compagni rimangono in classe, tu (insieme a pochi altri) devi uscire e inventarti qualcos’altro da fare. Scelta di cui poi bisogna in qualche modo rendere conto ai figli, e molto probabilmente è più semplice spiegare a un bambino di 3 anni che l’uomo è un animale venuto fuori dopo centinaia di migliaia di anni di evoluzione naturale, piuttosto che fargli capire perché quando arriva la maestra di religione lui deve uscire dall’aula.

Ora, i casi sono due: o l’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della formazione che la scuola pubblica intende dare ai suoi alunni, e allora non può essere consentito a nessuno di rinunciarvi, esattamente come nessun genitore può pretendere che il figlio non segua le lezioni di italiano, matematica e persino di educazione fisica; oppure l’insegnamento della religione cattolica è questione demandata alle scelte della famiglia, e allora non si capisce perché queste scelte debbano essere realizzate a scuola. La formazione dei propri figli è una questione complessa, nella quale entrano diverse «agenzie» formative, con ruoli distinti. Dopo la scuola, ogni famiglia decide in completa autonomia come «integrare» la formazione dei figli e sarebbe del tutto insensato pretendere che la scuola (pubblica) copra interamente lo spettro delle opzioni formative delle famiglie.

Uno Stato confessionale ha il pieno diritto di prevedere nell’ambito dei curricula scolastici della scuola pubblica l’insegnamento della religione, poiché in questo modello statuale essa costituisce non già un aspetto della vita privata delle persone, ma parte integrante (e anzi fondamentale) della formazione «civica» dei cittadini. I Patti Lateranensi, recepiti nell’articolo 7 della nostra Costituzione, fino alla loro revisione del 1984, definivano la religione cattolica «religione di Stato» ed era pertanto comprensibile e, a rigor di logica, persino doveroso che lo Stato la inserisse tra gli insegnamenti obbligatori della scuola pubblica.

Nel 1984 però quella clausola fu abolita e la religione cattolica è (dovrebbe essere) oggi una religione al pari delle altre (sebbene continui a godere di uno status privilegiato, ormai non più giustificato), tanto che proprio quella revisione, abolendo la «religione di Stato», abolì anche l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica. Se non c’è una religione «di Stato», la religione diventa questione privata, personalissima che può rappresentare per molti (al limite: per tutti) un’aspetto centrale della propria vita e che può ovviamente esprimersi pubblicamente in tutte le forme e i limiti garantiti dalla libertà di espressione e associazione di tutti i cittadini, ma non può costituire insegnamento in una scuola pubblica.

E scaricare sui genitori la scelta rivela soltanto la debolezza di uno Stato, incapace di assumersi la responsabilità della formazione dei propri cittadini.