domenica 15 settembre 2013

MEDIAZIONE SCOLASTICA O MEDIAZIONE A SCUOLA?

MEDIAZIONE SCOLASTICA O MEDIAZIONE A SCUOLA?


di Maria Grazia Papi I.R.F. di Firenze, Insegnante di Scuola Superiore, Mediatore, Formatore di insegnanti irf@fi.flashnet.it


Introduzione
Quando si parla di mediazione nell’ambito della scuola si usa l’espressione “mediazione scolastica”, ma forse bisognerebbe preferire “mediazione a scuola”, perché diversi sono i luoghi in cui possono nascere i conflitti e la loro tipologia. Infatti dobbiamo considerare la scuola, allo stesso tempo, luogo di lavoro per il Dirigente Scolastico, i docenti, il personale A.T.A. (non docenti) che ogni giorno vi svolgono la loro funzione e comunità educativa per il ruolo che essi assumono, in particolar modo gli insegnanti, verso la componente per cui la scuola stessa è stata creata: gli studenti. “La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni” (D.P.R. n° 249 del 24/06/98 – Regolamento delle studentesse e degli studenti nella scuola secondaria).
I conflitti fra il personale di segreteria o i custodi non hanno niente di diverso da quelli che possono sorgere in qualunque altro posto di lavoro e anche quelli fra insegnanti o fra questi e il Dirigente Scolastico (D.S.) possono essere ricondotti alla tipologia di conflitti fra colleghi o legati al ruolo gerarchico, e quelli con le famiglie non assomigliano forse ai conflitti con l’utenza a cui anche altre organizzazioni devono far fronte?
Ciò che rende la scuola diversa da altri luoghi di lavoro è il suo essere comunità educative e “La comunità scolastica, fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente” (D.P.R. 249 del 24/06/98). Quindi il fulcro attorno a cui ruota tutta l’organizzazione scolastica è la classe come struttura sociale, in cui interagiscono persone con status diversi, come allievi e insegnanti.
“Perché l’insieme… sia funzionale, occorre, sul piano relazionale, che le persone si riconoscano e si accettino fra loro. Svolgendo…ruoli diversi e complementari…” (Vayer-Bianchi di Castelbianco, Le interazioni nella classe – ed. scientifiche Ma.Gi. Roma 1998). Ecco perché l’espressione “mediazione scolastica” dovrebbe, a mio avviso, essere riferita ai conflitti che coinvolgono l’essenza stessa della scuola: le relazioni nel gruppo classe fra insegnante/alunni o alunni/alunni (tra cui le divergenze nascono spesso in rapporto all’insegnante), soprattutto in una realtà, quella italiana, in cui gli stessi studenti restano insieme per diversi anni.
Se un clima conflittuale nuoce alla scuola come ambiente di lavoro, tanto più produrrà effetti negativi dal punto di vista educativo.
Rappresentando con un disegno la mediazione a scuola, metterei al centro proprio la gestione dei conflitti insegnante/alunni e alunni/alunni per poi allargare alle altre componenti:
Questo non vuol dire che i conflitti che nascono nelle “fasce più esterne” non siano importanti, perché, se il compito della scuola è quello di preparare alla vita, essa lo farà ancora meglio se sarà capace di creare al suo interno un clima collaborativo, in cui le varie componenti, ognuna con le proprie competenze, tenderanno allo stesso fine “trasversale”, ossia formare le nuove generazioni sotto il segno della non-violenza, del rispetto reciproco, della collaborazione, della pace, ciò significa solo che incidono meno sul nucleo, sul gruppo classe in cui si concretizza l’essenza stessa della scuola: lo sviluppo cognitivo, l’interazione con gli altri, l’ascolto e l’accettazione dell’altro.

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