sabato 17 maggio 2014

mense scolastiche italiane

fonte: save de children

Mense italiane: troppe disuguaglianze nei criteri di accesso


In Italia i criteri di accesso alle mense non sono omogenei e in alcuni casi, se i genitori non riescono a pagare la retta, i figli non possono accedere alla sala mensa e sono costretti a mangiare da soli in classe, trovandosi così in una situazione che li marginalizza. Qual è la tua esperienza in merito?
mense in italia
Nel marzo del 2012 il Comune di Vigevano ha adottato una delibera che colpisce duramente i bambini più svantaggiati. La delibera numero 51/2012 impone anche alle famiglie con i redditi più bassi, che tuttavia non sono in carico ai Servizi Sociali, il pagamento del servizio di mensa scolastica per i propri bambini e stabilisce che basta che una famiglia non paghi anche una sola retta (120€ a fascia massima) perché il bambino sia escluso dal servizio e costretto a consumare il pranzo portato da casa in una stanza separata, lontano dai propri compagni o addirittura a tornare a casa.
Per questa ragione stiamo supportando una petizione rivolta al Sindaco di Vigevano per annullare questa delibera.
Purtroppo il comune lombardo non è il solo in cui avvengono cose di questo tipo, infatti in Italia non esiste un criterio omogeneo che stabilisca le quote della mensa o i criteri per aver diritto alle esenzioni.

Città in cui non sono previste esenzioni a famiglie con reddito basso o con situazioni di disagio elevato

I comuni di Verona, Reggio Emilia, Vigevano, Brescia, Genova, Napoli, Perugia, Torino, Aosta, Udine, Catania e Sassari esonerano dal pagamento della mensa solo i minori segnalati dai servizi sociali.
Nel caso di Genova ne sono esenti anche i figli di rifugiati o di famiglie particolarmente numerose, come previsto anche dai comuni di Verona, Ancona e Bari. 

I comuni che applicano le esenzioni seguono criteri non omogenei a livello nazionale

Si va da un’esenzione basata su un tetto ISEE di zero Euro a Perugia fino a Potenza che prevede un’esenzione completa per i nuclei con ISEE fino a 8.000,00 Euro e Trieste fino a 7.250 Euro.
Alcuni comuni inoltre prevedono esenzioni per famiglie particolarmente svantaggiate, in cui sia sopravvenuta per esempio una disoccupazione, come nel caso dei comuni di Genova, Bari e Cagliari. A Lecce non pagano la mensa anche i bambini delle comunità rom, al fine di favorirne l’integrazione.
Rispetto al quantum della contribuzione, benché tutti i comuni mappati prevedano una modulazione delle tariffe in base al reddito e a particolari condizioni del bambino (per esempio in adozione, affidamento o segnalato dai servizi sociali) e della famiglia saltano all’occhio le notevoli differenze da città a città. Si va da una tariffa minima mensile di 5 Euro a Napoli, 7 Euro a Salerno, fino a 72 Euro a Vigevano, 66 Euro a Brescia e 53 Euro a Campobasso.
La tabella di seguito riporta una sintesi delle prassi migliori e peggiori in Italia.
criteri-mense-italiane
Qual è la tua esperienza in merito? Nella scuola dei tuoi figli si sono verificate situazioni di questo tipo? Scrivi qui la  tua esperienza, per aiutarci ad avere un quadro ancora più chiaro della situazione.


fonte:l'espresso

Il bambino mangia a scuola? Se è povero no

A Crotone i figli di chi non paga la retta mangiano un panino in classe. A Vigevano oltre quattrocento piccoli sono esclusi dalla refezione scolastica. E non sono gli unici casi. Come rivela un'indagine di 'Save the Children' in Italia i bimbi non sono tutti uguali. E gli indigenti in alcuni comuni non hanno diritto di mangiare con gli altri

di Michele Sasso

Il bambino mangia a scuola? Se è povero no
Che differenza c'è tra un bambino che va a scuola a Vigevano e uno che frequenta la stessa classe a Bari? Nessuna, se la famiglia non ha problemi economici e riesce a pagare la retta della mensa. Ma se la crisi morde e saltano i pagamenti dei pasti la differenza si nota eccome: in Lombardia viene escluso, nella città pugliese nessuno gli nega nulla.

A scuola gli alunni dovrebbero avere gli stessi diritti e doveri. Ma la musica cambia per la refezione scolastica. A monitorare trentasei piccoli e grandi comuni ci ha pensato la onlus Save the Children, realizzando un dossier nell'ambito della campagna “ Illuminiamo il Futuro ” per dare educazione e speranza ai bambini stretti nella morsa delle povertà.

Nelle scuole primarie ogni comune si regola diversamente per le tariffe, le eventuali esenzioni o riduzioni e in caso di morosità. Sono Vigevano, Brescia e Campobasso le maglie nere, con le rette tra le più alte d'Italia, nessuna esenzione anche per famiglie in difficoltà ed esclusione immediata del bambino in caso di morosità.

La cattiva prassi dell'esclusione dei bambini dal servizio mensa laddove i genitori non siano in regola con il pagamento trasforma il pasto da fattore di integrazione a occasione di stigmatizzazione. A Crotone, per esempio, i bambini sono costretti a scegliere tra consumare un panino in aula da soli o lasciare l'edificio.
Una rivalsa nei confronti dei genitori morosi che diventa esclusione degli alunni.

«La mensa scolastica deve diventare un diritto di base garantito a tutti i bambini, secondo standard di qualità certificati» spiega Raffaela Milano, direttore dei programmi di Save the Children Italia: «Il momento del pasto è estremamente importante per ogni alunno e in particolare per chi vive in condizioni di povertà, perché spesso è l'unica occasione per mettersi a tavola. Invece a seconda del territorio in cui vive si può avere o non avere l'accesso alla mensa».


QUI NON SI MANGIA

Tutto è iniziato nel piccolo comune bresciano di Adro dove il sindaco leghista ne fece una questione di principio discriminante: chi è indietro con i pagamenti non entra. Era il 2010 e Oscar Lancini decise di sospendere il servizio mensa e scuolabus per le famiglie che non pagavano regolarmente la retta.
La decisione rimbalzò sui giornali e sollevò un polverone. Per evitare che nessun bambino restasse senza pranzo e trasporto, l'imprenditore bresciano Silvano Lancini versò di tasca propria 10 mila euro e saldò il debito delle famiglie.

Poi alle rette pensarono la Caritas e altri volontari generosi fino a novembre 2012. Ma il caso non si sgonfiò. Fino a quest'anno ai 30 euro mensili delle famiglie in difficoltà economica ci hanno pensato gli insegnanti dell'istituto. Nel frattempo il sindaco ha finito la sua carriera con l'arresto: avrebbe favorito alcune aziende nella gara d'appalto per la realizzazione di alcune opere in paese.

La linea dura del sindaco sceriffo però ha fatto proseliti. Sempre in Lombardia un altro sindaco leghista decide di escludere dalla mensa scolastica 129 bambini, le cui famiglie non pagano la retta. Il caso-mensa è scoppiato a Vigevano (Pavia), dove il sindaco Andrea Sala non intende fare sconti a nessuno. E dopo la primo stop del 2012 replica anche per quest'anno: sono 403 i bambini delle scuole dell'obbligo che, al momento, sono sospesi dalla mensa scolastica.

E se la giunta leghista non fa retromarcia Save the Children ha deciso di sostenere alcuni genitori e di promuovere una petizione online ( www.illuminiamoilfuturo.it/petizione ) rivolta primo cittadino, per chiedere che la mensa a scuola sia gratuita per i bambini più poveri. E che sia ritirata la delibera comunale del 2012 che impone alle famiglie con i redditi più bassi il pagamento del servizio e stabilisce che basta che non si paghi anche una sola retta perché il bambino sia escluso dal servizio e costretto a consumare il pranzo portato da casa in una stanza separata, lontano dai propri compagni o addirittura a tornare a casa.

«Vigevano si segnala in negativo fra i comuni monitorati per dei criteri di accesso al servizio di refezione così restrittivi e penalizzanti da diventare discriminatori nei confronti dei bambini di famiglie in difficoltà. Si tratta di decisioni che ledono il diritto all'istruzione e alla salute, sancito dalla Convenzione Onu sui Diritti dell'Infanzia» commenta Antonella Inverno, dell'area Legale di Save the Children Italia.

LE MIGLIORI PRATICHE

Nel monitoraggio della onlus le differenze a tavola sono evidenti: a Vigevano, Brescia, Adro, Trento, Padova, Parma, Campobasso, Salerno e Palermo non è prevista l'esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio mensa pur in presenza di redditi molto bassi o di situazioni di disagio per le famiglie non prese in carico dai servizi.

Ma anche in quei comuni dove l'esenzione è prevista, né i criteri né la soglia di accesso sono omogenei. Si va da un'esenzione basata su un tetto di zero euro a Perugia, fino a Potenza che prevede un'esenzione completa per i nuclei con redditi fino a 8 mila euro, mentre a Trieste scende a 7.250 Euro.

Alcuni comuni inoltre prevedono esenzioni dal pagamento per famiglie particolarmente svantaggiate, in cui sia sopravvenuta per esempio una disoccupazione, come nel caso dei comuni di Genova, Bari e Cagliari.
I comuni di Verona, Reggio Emilia, Vigevano, Brescia, Genova, Napoli, Perugia, Torino, Aosta, Udine, Catania e Sassari esonerano dal pagamento della mensa i minori segnalati dai servizi sociali. Nel caso di Genova ne sono esenti anche i figli di rifugiati o di famiglie particolarmente numerose, come previsto anche dai comuni di Verona, Ancona e Bari.

A Lecce non pagano la mensa anche i bambini delle comunità rom, per favorirne l'integrazione. Rispetto alla contribuzione, benché tutti i comuni mappati prevedano una modulazione delle tariffe in base al reddito e a particolari condizioni del bambino (per esempio in adozione, affidamento o segnalato dai servizi sociali) e della famiglia, saltano all'occhio le notevoli differenze da città a città. Si va da una tariffa minima mensile di cinque euro a Napoli, poco più Salerno fino a 72 Euro a Vigevano, 66 Euro a Brescia e 53 Euro a Campobasso.


IL TERRITORIO CONTA

Si conferma invece anche quest'anno per la maggioranza dei comuni (25 su 36) la cattiva prassi di escludere da esenzione o riduzione della contribuzione i bambini non residenti nel comune di riferimento. Così vivere dentro o fuori il confine comunale cambia tutto.

Per i bambini delle tre scuole dell'infanzia di Villaricca, 30 mila anime alla periferia di Napoli separate dall'enorme comune di Giugliano solo da un marciapiede, la mensa non costa uguale. Secondo una delibera dello scorso ottobre, i residenti sborsano 35 euro per 20 pasti, gli altri 78 euro. Per questo è scoppiata una protesta capeggiata dalle mamme dei piccoli giuglianesi, i più numerosi specie nella scuola Rodari di Villaricca che è sul confine.

La giunta di Villaricca ha fatto un passo indietro: fino allo scorso anno garantiva lo stesso contributo nella retta della mensa (65 per cento a carico del Comune e 35 per cento delle famiglie) indipendentemente dalla residenza dei figli. Trovandosi ormai con i trasferimenti statali al contagocce, l'amministrazione ha deciso di differenziare le tariffe per recuperare il recuperabile.

Risultato? I 278 bambini che non abitano lì ma popolano gli asili di Villaricca, pagano la quota piena con un risparmio per le casse comunali di 60-70 mila euro. «Tutti i minori sono titolari degli stessi diritti, il criterio della residenza può avere effetti discriminatori nei confronti dei bambini che non risiedono in quel territorio, che poi, spesso, sono figli di genitori migranti o provengono da famiglie più in difficoltà che vivono fuori dei centri cittadini» spiega Antonella Inverno, dell'area Legale di Save the Children Italia.

Qualcuno avvisi i sindaci pronti a tagliare anche sui pasti dei più piccoli.

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