martedì 28 ottobre 2014

fonte: vivalascuola

Vivalascuola. La “Buona Scuola” di Renzi: schiava dell’azienda Matteo la creò

Quindi: la Confindustria fa cento proposte per una riforma del sistema dell’educazione e la ministra Stefania Giannini vi trova “parole chiave e temi che sono anche la linea guida del rapporto ‘La buona scuola‘ presentato dal governo“. Cosa chiedono gli industriali? “Riformare i meccanismi per l’immissione in ruolo dei docenti; abolire le graduatorie per anzianità; assumere per concorso e per chiamata diretta premiando il merito“. E ancora: “rimodulare la retribuzione in base a orario servizio, funzioni, conseguimento obiettivi; potenziare l’Invalsi; abolire il valore legale del titolo di studio”. Insomma, Renzi e Giannini lavorano alla scuola di Confindustria, la quale al contempo falsa dati pubblici per screditare la scuola italiana e renderla ancora più conforme alle esigenze del mondo economico. Ne parlano in questa puntata di vivalascuolaAlvaro Berardinelli, Bruno Moretto, Emanuele Rainone.
Indice
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Il Piano per la scuola di Renzi: una visione aziendalistica
di Bruno Moretto *
Scuola, merce appetibile
L’affermazione chiave per interpretare le finalità del piano è che
Le risorse pubbli­che non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola.”.
Questa posizione iniziò a svilupparsi negli anni 90 in seguito all’affermarsi delle teorie liberiste che proponevano un arretramento dell’intervento statale a favore dello sviluppo di un’economia di mercato nella quale la merce scuola è molto appetibile perché ancora in larga parte in mano agli Stati. Il manifesto ideologico di tale posizione è “Una nuova idea di scuola” del 1994, firmato fra gli altri da Luigi Berlinguer in cui si afferma che
Esiste al contrario un’altra strada: quella di quanti ritengono che nel campo decisivo della formazione sia necessario che i pubblici poteri indichino alla società e allo stesso mercato obiettivi, finalità e regole.
La legge sull’autonomia di Berlinguer del 1997 fu il primo passo in questa direzione. Non a caso inizialmente conteneva anche l’autonomia finanziaria, ma ha comunque introdotto il concetto di competizione fra le scuole che possono diversificare l’offerta scolastica.
Da allora l’istruzione è stata vista sempre di più come un costo piuttosto che un investimento sociale ed economico. Esemplare in questo senso la cosiddetta riforma Gelmini, che ha avuto il preciso scopo di tagliare di 8 miliardi gli investimenti in campo scolastico.
I recenti dati forniti dall’Ocse e da Eurydice per il periodo 2008-2013 evidenziano un taglio del 19%, in controtendenza rispetto a tutti gli altri paesi più sviluppati. E i costi dell’istruzione si scaricano sui genitori, che sempre di più devono sopperire personalmente alla carenza di risorse pubbliche.
Basti ricordare la trasformazione nei fatti del contributo volontario in obolo obbligatorio o gli acquisti sempre più diffusi di materiale scolastico e pure della carta igienica da parte delle famiglie. Per non parlare di quanti si devono sempre più rivolgere a strutture a pagamento per la carenza di offerta pubblica in particolare nella scuola dell’infanzia statale non a caso neppure citata nel piano Renzi.

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