mercoledì 22 gennaio 2014

SCUOLA: VIAGGIO DELLA MEMORIA

Vivalascuola. Viaggio della memoria



Presentiamo i racconti del “viaggio della memoria” a Mauthausen, Gusen e Hartheim che gli studenti della 5A del Liceo Scientifico Tecnologico dell’IIS “Giovanni Giorgi” di Milano hanno compiuto tra il 29 e il 31 gennaio 2013, introdotti da una riflessione di Stefano Levi Della Torre. Un grazie di cuore a ragazze e ragazzi e a tutti, uno per uno, l’augurio di rispettare, quando saranno adulti, “i sogni della giovinezza” (F. Schiller, Don Carlos).
Il coraggio di ricordare
di Stefano Levi Della Torre
L’impegno di tanti studenti e docenti nell’affrontare la tragedia dei campi di concentramento e di sterminio nel cuore dell’Europa è quasi eroico, non solo per l’argomento ma anche per la condizione in cui è stata ridotta la scuola italiana, la cui qualità si affida sempre più alla buona volontà di chi vi partecipa.
La scuola è il principale luogo di formazione e oggi più che mai di integrazione di mentalità e culture diverse, eppure la professione di insegnante, così umiliata e miseramente retribuita, è costretta a farsi missione, se vuole mantenere la sua funzione formativa e di animazione degli interessi e delle curiosità culturali. Di questo sforzo sono testimonianza gli scritti che seguono, resoconti degli studenti che hanno accolto la proposta del “viaggio della memoria” a Mauthausen e Gusen, sollecitati e preparati dai loro insegnanti: “volontariato” degli uni e degli altri.
Sono scritti di una certa qualità, in cui si dà atto di quanto sia importante vistare i luoghi per dare corpo all’immaginazione dell’inimmaginabile: la deportazione a scala continentale verso le fabbriche della morte, la razionalità tecnologica e amministrativa dell’annientamento, la razionalità scientifica della riduzione a cavie degli esseri umani, la re-introduzione della schiavitù di massa in Europa, lo sterminio degli oppositori e dei dissidenti, il genocidio degli ebrei, dei Rom e dei Sinti, dove il genocidio si caratterizza per la strage sistematica dei bambini come distruzione anche del futuro di un gruppo umano…
Gli scritti riflettono lo stupore angoscioso, da un lato per la deformazione indotta nei carnefici dall’odio ideologico, dall’altro per l’indifferenza della popolazione che ha convissuto con la tragedia, nelle sue stesse vicinanze. Se ne può dedurre quanto l’”inimmaginabile” possa diventare un alibi per chi non vuol sapere, per conformismo o consenso al regime, o per paura di esso.
Che cosa oggi occorre avere il coraggio di sapere? Certo quel che è accaduto allora. Ma anche quello che accade oggi, perché l’odio ideologico, etnico e razzista non si sono fermati nel mondo, e così la schiavitù, lo sfruttamento e l’oppressione economica e politica, la tragedia dei profughi, della guerra e della strage. Ciò che non doveva più succedere succede.
La tragedia europea del XX secolo ci insegna quanto la civiltà covi sempre dentro di sé un’immane possibilità di barbarie; e quanto l’indifferenza o il desiderio di tranquillità privata ci rende difficile percepirne i sintomi.
Importante è lo sforzo, diffuso in questi scritti, di valersi dei luoghi per immedesimarsi per quanto è possibile nella condizione delle vittime, nel loro freddo e fatica e fame e umiliazione nell’attesa di una morte certa. Ma anche la nostra indignazione di oggi per ciò che accaduto può essere un rifugio della coscienza. Ci compiacciamo di sentirci diversi dai carnefici, e non ci è difficile solidarizzare con le vittime di allora, (più arduo è solidarizzare con quelle di oggi, perché non possono non disturbare le nostre esistenze).
Ma forse la domanda centrale è questa: che cosa può esserci in noi che somiglia ai carnefici, o almeno ai consenzienti o agli indifferenti che hanno favorito la loro azione? Dichiarare “incomprensibili” tali comportamenti ci tranquillizza, mentre sono proprio le loro logiche, storiche e personali, che occorre indagare, se vogliamo combatterle a cominciare da noi stessi.
La memoria che ci tocca coltivare è una memoria non più sovraccarica di risposte già date, bensì interrogativa, memoria dei problemi che le tragedie trascorse e presenti ci pongono dinanzi nella loro attualità: quali interessi, quali forme mentali, e passività e indifferenza minacciano di riprodurre, ora, situazioni in cui vite e diritti umani possono venire sacrificati? E che cosa fare per prevenire o combattere queste tendenze?
Tra le indicazioni che questa memoria ci affida per attrezzarci ad affrontare le crisi e a uscirne c’è il ricordo dei “giusti”, di quanti con atti piccoli o grandi hanno saputo opporsi, con proprio pericolo, alla perversione del senso comune e alla minaccia della forza, hanno affrontato l’accusa di “tradire la patria” identificata coi poteri dominanti e l’asservimento conformistico. Tutt’una con la memoria del male, è la memoria degli atti e dei principî che hanno animato la resistenza al male, e che sono indicazioni tuttora fondative per il nostro giudizio e il nostro comportamento.
Eppure, perché è forse più facile la memoria del male che del bene? Perché è più gratificante indignarsi che agire; perché il male sofferto o inferto ci fa sentire in credito, mentre il bene ci fa sentire in debito. In debito di riconoscenza, ma anche dell’impegno di farci carico, noi stessi, dei principî di lucidità e di coraggio che hanno ispirato chi ha operato e opera con giustizia e speranza, contro corrente.

Nessun commento:

Posta un commento