venerdì 4 gennaio 2013

L’aggiustacose e il bambino saggio

«Un tempo l’aggiustacose aveva una casa, una famiglia, un lavoro. Ma piano piano, con il crescere della crescita e del cosiddetto progresso, divenne come una delle tante cianfrusaglie che finivano nella sua bottega». «Il mondo sembrava stesse andando alla deriva, ci fu una crisi che distribuì a tutti ceffoni e paura, miseria e fatica. Ma anche occhi nuovi per guardare il mondo da un’altra prospettiva»
L’aggiustacose dormiva di nascosto nei magazzini di un grande centro commerciale alla periferia della città. Ogni sera, poco prima che l’altoparlante sputasse il consueto avviso circa l’ormai prossima chiusura delle casse mangia monete, si intrufolava rasente ai muri per non farsi intrappolare dall’occhio delle telecamere, sgusciava nei bagni del Megastore e, non appena la mandria di consumatori e addetti di ogni ordine e grado aveva abbandonato il campo, usciva allo scoperto, lento e tranquillo.
Un tempo l’aggiustacose aveva una casa, una famiglia, un lavoro. Ma piano piano, con il crescere della crescita e del cosiddetto progresso, divenne come una delle tante cianfrusaglie che finivano nella sua bottega. Un ferro vecchio, da buttare.
Le persone non avevano più tempo e voglia e interesse a riparare gli oggetti. Quando qualcosa dava anche solo un piccolo segno di cedimento, un’ammaccatura, un po’ di ruggine, un ingranaggio inceppato, si gettava tutto e si correva nei Grandi Santuari del Consumo Permanente, a comprar tutto di nuovo.
L’aggiustacose aveva mani grandi, segnate dal tempo del lavoro, fatte di calli e dita lunghe, ma sottili. I suoi attrezzi per plasmare le cose, dare loro una vita nuova. Era una specie di dottore con un sacco di specializzazioni. Sotto le sue mani tutto prendeva forma, di nuovo. Biciclette, mobili usati, elettrodomestici, lampadari, finestre…
L’aggiustacose un giorno inciampò in un bambino, che scoprì essere molto saggio. Era inverno pieno, con il freddo che ti entrava dritto dritto nelle ossa, superando le sterili barriere di vestiti lisi e umidi. L’aggiustacose assistette casualmente ad una scena insolita, nella piazza in miniatura del Centro Commerciale. Un asino a forma di carrello pieno zeppo di oggetti improvvisamente si ribellò ai suoi padroni, perdette una rotella e si ribaltò a pancia in giù, rovesciando tutto il contenuto sul pavimento intorno.
La madre e il padre del bambino raccolsero tutti gli oggetti infilandoli nelle borse di plastica della spesa, imprecando alla luna e maledicendo ogni cosa o persona venisse loro in mente, mentre il piccolo si chinò dolcemente verso il soldatino di legno che era saltato fuori dalla confezione appena acquistata e che cadendo si era mutilato un braccio.
“Lascialo perdere quello – lo ammonì subito il padre – nella scatola ce ne sono altri cinquanta perfettamente integri, buttalo là nella pattumiera mentre noi finiamo di raccogliere tutto.”
Il bambino ebbe l’istinto di ubbidire al padre, cosa buona e giusta, quindi si diresse verso il cestino all’angolo della piazzetta, ma ad ogni passo diminuiva il suo senso del dovere. Guardava il soldatino con il braccio rotto, si ricordò di quando in prima elementare si ruppe una gamba e dovette indossare una cosa fastidiosissima chiamata gesso, e pensò che forse anche per il suo amico soldatino ci potesse essere un gesso da indossare, una cura per guarire.
Che cosa sarebbe successo a lui e al suo braccio se mamma e papà, invece che portarlo da un medico, avessero deciso di gettarlo in un cestino dell’immondizia? Che pensiero orrendo, assurdo, pauroso.
Fu in quel momento che una voce alle sue spalle lo riportò al presente: “Vuoi farmi vedere il soldatino? Penso proprio di poterlo aggiustare.” L’aggiustacose sapeva di stare rischiando tantissimo. Parole come aggiustare, riparare, sistemare, erano bandite nel Santuario del Consumo Permanente. Se i guardiani dello Spreco ad ogni Costo lo avessero scoperto per lui sarebbe stata la fine. Ma all’istinto non si comanda, non si può sfuggire alla propria natura.
Il bambino, incuriosito e per niente spaventato, allungò con naturalezza il soldatino mutilato e in men che non si dica il braccio fu nuovamente al suo posto, perfettamente funzionante.
Felice come un bambino felice il piccolo andò ad annunciare la lieta novella ai suoi genitori, che nel frattempo avevano accatastato la Grande Spesa Settimanale su un nuovo asino a forma di carrello, consegnando il vecchio scassato alla direzione del Centro.
“Wow, ma è un vero miracolo, non trovi Lisa? – rivolgendosi con sincero entusiasmo alla moglie -. Quanti anni sono che non vediamo una cosa riparata? Da quando il Governo dei Tecnici Interni Lordi non emanò una circolare in cui si metteva fuori legge ogni tipo di recupero, riutilizzo, ripristino?”.
“Parla piano, sei matto? Ricordi cosa succede alle persone che mettono a posto le cose? Fanno la fine di quello là in fondo – lo interruppe lei ansimante per la paura-. Ora andiamo via, e speriamo che nessuno abbia assistito alla scena”.
Passarono i giorni, e da quel giorno il bambino saggio andò a trovare sempre l’Aggiustacose, portandosi ogni volta cose da riparare, soprattutto giochi s’intende ma non solo. Erano pezzi di tempo e ricordi pieni di polvere e di tosse, ma anche di vita e di luce. Che una legge assurda e abitudini sbagliate avevano sacrificato nella soffitta delle cose perdute.
In una specie di tana segreta in cui il saggio bambino le aveva sapute nascondere, mettendole al riparo dal tragico destino a cui sarebbero state altrimenti destinate. Morte per incenerimento.
L’Aggiustacose non riceveva dal bimbo che saluti e gratitudine, sorrisi e buffe chiacchierate. Non smise quindi di vivere ai margini della società, da poveraccio e straccione. E la gente continuò ad ignorarlo ancora per molto tempo, fingendo di non vederlo agli angoli delle strade, o nei corridoi al neon dei Grandi Santuari del Consumo.
Ma il saggio bambino diffuse il contagio, a poco a poco, con l’entusiasmo e la forza e l’ostinazione e la bellezza che solo i bambini sanno giocare. Poi la fortuna ci mise il suo zampino, ad aiutare la giusta causa. Il mondo sembrava stesse andando alla deriva, ci fu una crisi che distribuì a tutti ceffoni e paura, miseria e fatica. Ma anche occhi nuovi per guardare il mondo da un’altra prospettiva.
E un cesto di fantasia per riscrivere il tempo, un passo dopo l’altro. E quel laboratorio di riparazioni clandestine frequentato dai bambini della città e diretto da un aggiustacose sereno e felice, divenne il centro del mondo.
Di un mondo finalmente aggiustato.

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